giovedì 28 marzo 2024

Il Venerdì santo di p. Mario Borzaga

Venerdì santo. Oggi mi è arrivato un link che mi ha portato a Trento, nella casa del beato p. Mario Borzaga, martire nel Laos. A raccontarne la vita, in 15 minuti, la sorella Lucia.

L’ideale del martirio! Così presente fin dai primi anni di questo giovane. Niente di più adatto per guardare al martirio di Gesù.

Nel 1953 – Mario ha 21 anni – scrive alla sorella: «La nostra vita sarà breve, e dovremo in poco tempo fare moltissimo bene per noi e per gli altri, sacrificandoci per Gesù come egli si è sacrificato per noi, il premio poi verrà abbondante in Paradiso».

Il Venerdì Santo 1957 annota nel diario: «I martiri vanno imitati, non lodati! I martiri? Gesù primo e più grande martire! Oggi è la sua Festa. Spero, credo che per me non sia morto invano. “Vado ad immolarmi per voi”».

Il 21 gennaio dello stesso anno, nella festa di sant’Agnese, scrive: «Agnese: una fanciulla che non ho mai visto, con la quale non ho mai parlato, ma che sento d’amare; le sue guance era­no color del latte, solo ingentilite un po’ dal sangue dello Spo­so: lo amava con tenerezza di fanciulla tredicenne, con la forza d’un eroe che non teme la morte. Agnese potrebbe essere il modello del mio martirio, poiché sono debole di temperamento e timido, eppur devo essere forte».

Quatto giorni prima aveva scritto: «Un’idea mi ha colpito: che bisogna far presto a santi­ficarsi nelle attuali circostanze. (…) Non c’è tempo da per­dere: bisogna bruciare le tappe (…). I martiri sono quelli che nella via della santità hanno bru­ciato le tappe e sbaragliato le difficoltà. Per giungere ad un eroico amore a Gesù non hanno avuto tempo di informarsi sui gradi della vita contemplativa, di farsi una bibliotechina di bei libri spirituali, di consultare periodicamente il Direttore; quan­do hanno udito il richiamo di Gesù, l’urlo disperato dei fratel­li, sono accorsi sulla prima linea e sono morti con un immenso amore nel cuore. Del resto, per farsi santi, ci vuole più coraggio che tempo; dunque, in queste circostanze, bisogna far presto. Nessuna oc­casione mi deve sfuggire per esser santo al più presto possibile: dall’Eucaristia ad un qualsiasi Kyrie eleison, da un atto di cari­tà al silenzio, tutto deve essere raccolto per far presto. E so­prattutto amare, amare con la lettera maiuscola. Perciò oggi ho studiato la morale con un ardore che mi era finora ignoto. Anche alla scuola di dogma sono stato atten­tissimo prendendo appunti».

Allora rivediamo questo breve intenso racconto della sua vita:

https://www.telepacetrento.it/puntate/luoghi-e-volti-della-fede-3a-puntata-beato-mario-borzaga-08-02-2024/

 

mercoledì 27 marzo 2024

Giovedì Santo: le quattro realtà inscindibili

Il Giovedì santo è caratterizzato dall’istituzione dell’Eucaristia: “Questo è il mio corpo… questo è il mio sangue…”, e del sacerdozio: “Fate questo in memoria di me”. Come mai allora la liturgia in questo giorno non ci fa leggere questo racconto, comune ai tre Vangeli sinottici, e invece, seguendo il Vangelo di Giovanni, ci fa leggere il racconto della lavanda dei piedi?

Perché c’è un legame profondo tra l’Eucaristia e la lavanda dei piedi. La lavanda dei piedi è la spiegazione del significato ultimo dell’Eucaristia.

Gesù inizia col togliersi la veste. Per indicare tale azione Giovanni usa un verbo inusuale, tìthēmi, “depose”, lo stesso che Gesù aveva impiegato per parlare del buon pastore che “dà” (tìthēmi) la vita e per parlare di sé quando aveva detto che la vita non gliela avrebbe tolta nessuno, perché egli stesso l’avrebbe “data” (tìthēmi) da sé (cf. Gv 10, 11-18). Ora dà la vita dandosi nell’Eucaristia, segno del dono totale di sé sulla croce.

Per introdurre questo gesto della lavanda dei piedi, così povero e feriale, Giovanni riserva un’intonazione solennissima: «sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava...». Quel gesto è rivelatore del grande evento a cui Gesù, in obbedienza al Padre, sta dando compimento: con la sua morte e risurrezione lava i peccati del mondo. La lavanda dei piedi non è un atto isolato nella sua vita, è il simbolo dell’intera vita di Gesù: è venuto non per essere servito ma per servire (cf. Mc 10, 45). Anche i Sinottici, pur non raccontando la lavanda dei piedi, nella narrazione dell’ultima cena riportano le parole che la interpretano: «Io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22, 25-27).

Il gesto di Gesù non è soltanto un esempio, è anche un comando: «Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come ho fatto io» (Gv 13, 14-15).

C’è dunque anche un legame profondo tra il sacerdozio ministeriale e la lavanda dei piedi: la lavanda dei piedi è la spiegazione del significato profondo del sacerdozio ministeriale e l'indicazione di come esso deve essere esercitato.

Il comandamento di Gesù, “fate questo in memoria di me”, va sempre affiancato dal comandamento “lavatevi i piedi gli uni gli altri”. Il sacerdote per fare l’Eucaristia in memoria di Gesù deve indossare la stola, e per fare la lavanda in memoria di Gesù deve cingersi dell’asciugamano. Sono le due vesti liturgiche che è chiamato a rivestire, mai l’una senza l’altra, come sono inscindibili liturgia e carità. Allora mostrerà la grandezza della sua vocazione ed agirà “in persona Christi”, dando come lui la vita per il gregge, continuando la sua missione di Maestro e di Pastore. Così i presbiteri diventano «strumenti vivi di Cristo eterno sacerdote, per proseguire nel tempo la sua mirabile opera» (Presbyterorum ordinis 12).

Il comandamento di Gesù, “fate questo in memoria di me”, va inoltre sempre affiancato all’altro comandamento dell’ultima cena: “amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”. Non si può fare l'Eucaristia se contemporaneamente non "si fa" l'amore reciproco, di cui la lavanda dei piedi è una parabola.

Lavare i piedi agli ospiti, si sa, era un gesto umile, riservato ai servi. Gesù lo fa assurgere a espressione di ogni tipo di servizio e di attenzione verso l’altro. Se egli ha dato la vita per noi – e l’amore consiste proprio in questo – «anche noi – conclude Giovanni – dobbiamo dare la vita per i fratelli… non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità» (1 Gv 3, 16.18).

Eucaristia, sacerdozio, lavanda dei piedi, amore reciproco: realtà inscindibili l’una dall’altra. Sono queste che fanno il Giovedì santo.

Riguardano soltanto i presbiteri? Mio papà Leonello era convinto che riguardassero tutti! Era estasiato all’idea che anche lui, semplice laico, fosse coinvolto da Gesù nella sua missione. Scriveva: «Gesù non poté fare da solo l’opera della redenzione, ma tutta la Sua vita fu coinvolta col popolo e tutti furono protagonisti, chi in bene chi in male. Dicendo “fate questo in memoria di me”, vuole coinvolgere anche noi nella Sua opera redentrice. Ha bisogno di Apostoli per la diffusione del Suo Regno in ogni parte del mondo; di anime che lo ascoltano, lo comprendono, lo amano, lo consolano nell’angoscia: “Restate qui e vegliate con Me”. Allora aveva bisogno di Pietro, Giacomo e Giovanni, oggi ha bisogno di noi. Noi siamo Pietro, Giacomo e Giovanni…»

Nella cena eucaristica il presbitero prende il pane e il vino e, in sua memoria, ne ripete i gesti e le parole, ma ognuno dei commensali, a sua volta, deve ripetere ciò che il Signore ha fatto, deve donarsi a tutti, in sua “memoria”. Se davvero l’eucaristia ci fa Cristo, altri lui, allora siamo chiamati anche noi a diventare per gli altri pane spezzato, pane donato. Chi si asside alla mensa eucaristica deve poter dire, a quanti incontra: io sono “per te”. La chiamata è ad amare con l’amore stesso di Cristo che «ci amò e consegnò se stesso per noi, offerta e vittima a Dio in odore di soavità» (Ef 5, 2).

 

martedì 26 marzo 2024

E noi quanto valiamo?

Quanto vale Gesù? 30 o 300 denari? 

A questa mia domanda di ieri una fedele lettrice ha risposto, bypassando la domanda: “Per Gesù noi valiamo milioni”. 

E ha continuato: “Entriamo nella settimana Santa con questo sentimento, mettendo da parte tutto il resto. È la settimana dell'Amore di Dio per noi e noi siamo lì. È l'evento della nostra vita, perché la passione non è senza di noi. Entriamo in questo tempo, fissiamo qui i nostri cuori. Null'altro ci attiri in questa settimana".

lunedì 25 marzo 2024

Quanto vale Gesù? 30 o 300 denari?

 

Nella lettura della Passione di Marco, in questa domenica delle Palme, mi ha colpito la differenza di prezzo. Per tradire Gesù vengono pattuiti 30 denari d’argento; dicono che equivarrebbero a circa 3.000 euro di oggi.

Per ungere il capo a Gesù nella casa di Simone a Betania la donna anonima (la cui azione sarà tuttavia raccontata per sempre) ha speso 300 denari. Una bella differenza: Gesù per Giuda vale 30 denari, per la donna 300.

L’amore è sempre generoso, e non calcola… L'amore non ha prezzo, è gratis, dona tutto.

E noi, quanto valiamo per Gesù? La sua stessa vita!



domenica 24 marzo 2024

Roma bella e santa

Che grazia vivere a Roma! Nei mesi che vi trascorse, a più riprese, sant’Eugenio de Mazenod non faceva altro che passare da un luogo all’altro per conoscerne le bellezze e soprattutto i suoi santi e i suoi martiri.

Lo stesso faccio anch’io!

Come ad esempio sabato scorso.

La mattina con la mia comunità eccomi a santa Agnese sulla Nomentana: i resti dell’antica basilica costantiniana, il mausoleo di Costanza, la “nuova” basilica della martire, le catacombe… Un’immersione nella storia e nell’arte dell’antica Roma e di quella medievale. Un’immersione nella santità, testimoniata dalla piccola Cecilia e della sua sorella di latte e amica Emerenziana, ambedue martiri.

La mattina del nostro ritiro mensile consiste nella contemplazione della testimonianza di santità offerta da queste due fanciulle: ci ricordano la bellezza dell’impegno verginale come espressione del rapporto di amicizia con Gesù, il coraggio e la fermezza nell’annuncio della fede, il valore dell’essere insieme per mantenersi fedeli nel cammino dietro al Signore...

Anche la catacombe parlano e raccontano la speranza nella vita eterna dei primi cristiani espressa da mille simboli lasciati sulle loro tombe, la quotidiana della loro semplice fede, l’unità che le legava al di là della diversità delle condizioni sociali.

Per chi sa ascoltarla Roma parla e si rivela ancora cristiana.

Mentre i miei fratelli nel pomeriggio continuano il loro ritiro, io mi sposto, questa volta con una trentina di bambini che, assieme ai loro genitori, accompagno alla scoperta di altri luoghi di santità.

Ed eccoci alla trappa delle Tre Fontane, con la testimonianza di san Bernardo e del suo rapporto con Maria. Più avanti il luogo del martirio di san Paolo che parla di questo testimone d’eccezione. Infine, poco più avanti, la piccola sorella Maddalena, con sue sorelle di Gesù. 

Ed è qui che avviene l’incredibile. Entriamo nella cappella delle suore. Tante di loro sono sedute per terra, come loro consuetudine, in adorazione davanti all’Eucaristia. I bambini entrano e si mettono anche loro in ginocchio o seduti sul pavimento. Poche parole da parte mia per spiegare cosa stanno facendo in quel momento le suore… Poi cala un silenzio assoluto e i bambini rimangono immobili. Soltanto una piccolina avanza da sola fino a raggiungere la statua della Madonna, vuole semplicemente toccarla o forse vuole toccare Gesù Bambino che la Madre tiene in braccio.

“Adesso possiamo uscire”, dico infine. Ma nessuno si muove… Gesù li ha attirato e inchiodati a sé…




sabato 23 marzo 2024

Quando Gesù guardò Pietro

Quest’anno durante la liturgia della domenica delle Palme si legge il Vangelo di Marco. Tutti e tre i Sinottici concludono il racconto del triplice rinnegamento di Pietro nell'atrio della casa di Caifa con il canto del gallo che ricorda la profezia di Gesù “mi rinnegherai tre volte”, seguito da un pianto a dirotto. Dei tre evangelisti soltanto Luca annota che subito dopo il canto del gallo “il Signore si volse e guardò Pietro”.

Il racconto della Passione non richiede commenti. Tante volte ad esso non si fa seguire neppure l’omelia, tanto è eloquente. Basterebbe anche solo soffermarsi su quello sguardo di Gesù. 

Non era un rimprovero, né tanto meno una minaccia. È significativo che a riportarlo sia proprio Luca, l’evangelista della misericordia. Sì, è uno sguardo di misericordia, una delle espressioni più belle dell’amore: dice. comprensione, fino a scusare…

Povero Pietro, sembra dire Gesù con quello sguardo, come ti capisco. Hai avuto paura, ma anch’io ho paura. Sembri forte e coraggioso, ma in fondo sei fragile come ogni essere umano.

In Pietro Gesù vede ogni uomo, ogni donna, d’ogni tempo, d’ogni luogo. Ci coglie nella nostra povertà, nella nostra miseria e non pronuncia una parola. Non soltanto non pronuncia nessuna parola di condanna, ma non pronuncia proprio parola. E Pietro non aveva bisogno di parole. Gli è bastato quello sguardo per farlo rientrare in se stesso, per fargli prendere coscienza della propria piccolezza, del proprio peccato, per fargli provare un immenso dispiacere per il suo comportamento codardo… per farlo piangere. Un uomo che piange, e un uomo della tempra di Pietro! Quel pianto è un’invocazione di aiuto: Sì, sono così, solo tu puoi tirarmi fuori da questo baratro, solo tu puoi farmi vivere nella verità.

Quando fui solennemente bocciato all’esame di liceo i miei genitori non mi dissero una parola: non ne avevo bisogno, non l’avrei sopportata, avevo bisogno soltanto di un silenzio che fosse espressione di comprensione e d’amore. Gliene fui immensamente grato.

“il Signore si volse e guardò Pietro”. Per guardare Pietro dovette voltarsi. Aveva cose ben più importanti cui guardare, eppure si dimentica, non guarda più se stesso, lascia da parte il processo, e si volta verso Pietro, per guardare lui, per pensare a lui, per interessarsi di lui…

Potrebbe essere una chiave di lettura di tutto il racconto della Passione: Gesù che non vive per se stesso, ma per l’altro, per il peccatore, al punto da offrire per lui la sua vita. Guarda Pietro, ma dietro di lui vede Caifa e il sinedrio, Erode e la sua corte, Pilato e i suoi soldati, Barabba e il popolo che invoca la crocifissione, i passanti che lo deridono, gli uomini e le donne di allora, di oggi, di domani…

Quando incontrò il giovane ricco, leggiamo nel racconto di Marco, che meglio di tutti descrive le sfumature delle emozioni e degli affetti di Gesù, “fissò lo guardò su di lui e lo amò”. È questo sguardo, questo amore, che guarisce, che redime, che rende nuovi. Tutta la passione e morte di Gesù ne è l’espressione.

venerdì 22 marzo 2024

Tramonto su Roma

«Sono contento del bello spettacolo che scopro dalla mia finestra da dove spazio su tutta la città vedendo davanti a me, sotto il giardino della casa dove abito, i giardini di Palazzo Colonna; di fronte, a poca distanza, le cupole del Gesù e di altre chiese; un po’ più lontano S. Andrea della Valle; a sinistra la Colonna Traiana, a poca distanza da lì il Campidoglio, a destra S. Ignazio, il Collegio Romano e l’osservatorio; più lontano la Colonna Antonina, Montecitorio, piazza del popolo e tanti altri notevoli edifici; al di sopra di tutto questo bel Vaticano e questa incomparabile cupola di S. Pietro: tutta la città insomma». Così sant'Eugenio quando giunse a Roma nel 1825.

A 200 anni di distanza anch’io potrei scrivere come lui. Anch’io dalla mia finestra vedo lo spettacolo straordinario di Roma, con in primo piano la cupola di san Pietro e la torre san Giovanni del Vaticano…

Sto preparando il corso universitario fra quindici giorni, visitando in città i luoghi dove hanno vissuto alcuni fondatori: sei mattinate intere per sei luoghi e sei fondatori. Gli studenti iscritti sono una sessantina…

Inizieremo con san Francesco a Ripa, il luogo della sua permanenza a Roma, di cui lui stesso ci racconta nel suo Testamento: “E dopo che il Signore mi dette dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. Ed io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor Papa me la confermò”.

Intanto continuo a contemplare albe e tramonti sulla città eterna…