lunedì 15 aprile 2024

A Tor de' Specchi con Francesca Romana

Oggi lezione a Tor de’ Specchi. Una mattinata d’incanto in uno dei luoghi più belli, più ricchi di storia e più segreti di Roma. Con la guida eccezionale di Alessandra Bartolomei Romagnoli, la più grande conoscitrice di Francesca Roma, di cui ha pubblicato le fonti.

Gli anni di santa Francesca Romana sono quelli dello scisma d’Occidente (1378-1449). Dopo che il papa ha fatto ritorno a Roma, ad Avignone si installa un antipapa e poco dopo ne sorge un terzo. In questa situazione lo Stato pontificio e in modo speciale la città di Roma, sono politicamente ed economicamente allo sbando. L’Urbe, per ben tre volte occupata da Ladislao di Durazzo, re di Napoli, è messa a ferro e fuoco, ridotta a un misero borgo con poche migliaia di abitanti. In quest’ambiente e in tale squarcio di storia si svolse la vita di Francesca Bussa.

Dodicenne, fu data in sposa a Lorenzo de’ Ponziani, la cui famiglia risiedevano in un palazzo di Trastevere. Una volta sposata, Francesca andò ad abitare nel palazzo dei Ponziani. Con la cognata Vannozza inizia a soccorrere poveri e ammalati. Percorre le strade per chiedere l’elemosina per i poveri, per assistere gli ammalati, le puerpere…

Alla morte del suocero, Andreozzo Ponziani, pur continuando le visite private e domiciliari ai poveri, si prende cura dell’Ospedale del Ss. Salvatore, che egli aveva fondato nel 1391 utilizzando la chiesa di Santa Maria in Cappella, in disuso. Veniva chiamata “la poverella di Trastevere”.

Quando aveva 25 anni, nel 1409, il marito, comandante delle truppe pontificie, durante una battaglia contro l’invasore Ladislao di Durazzo re di Napoli, è gravemente ferito rimanendo semiparalizzato per il resto della vita. Lei lo accudisce assieme al figlio.

Nel 1410 la casa è saccheggiata e i beni espropriati, il marito è costretto a fuggire e il figlio Battista preso in ostaggio.

Prese a dirigere spiritualmente il gruppo di amiche che la aiutavano nella carità quotidiana e che si riunivano ogni settimana nella chiesa di Santa Maria Nova. Il 15 agosto 1425, festa dell’Assunta, davanti all’altare della Vergine, assieme a dieci compagne si costituiscono in associazione con il nome di “Oblate Olivetane di Maria”. Nel marzo del 1433 vanno ad abitare a Tor de’ Specchi, dove sorge un piccolo villaggio. Il papa concede loro di «abitare insieme in qualche casa in questa città che fosse adatta e con­veniente allo scopo, di mettere in comune tutti i beni, che Dio aveva dati loro, e con questi di vivere in comune e in carità sotto l’obbedienza di una di loro, che esse giudicassero adatta a questo compito e che eleggessero nel tempo opportuno».

Conducevano una vita austera, povera e casta, fatta di lavoro nei campi, di preghiera, di condivisione dell’altrui sofferenza. La differenza di questo tipo di vita rispetto al monachesimo femminile tradizionale era radicale, per la semplicità dell’organizzazione comunitaria, per la libertà di vincoli gerarchici di subordinazione, per l’assenza di formalismo: una comunità aperta. Non erano né monache né laiche. Nelle intenzioni di Francesca Tor de’ Specchi doveva rimanere un monastero aperto, in grado di mantenere un rapporto vivo con il mondo circostante.

L’esperienza delle Oblate di Tor de’ Specchi fu caratterizzata dalla forte personalità di Francesca e dal suo eccezionale carisma.

La vita solitaria, monastica, è la tentazione segreta che segna tutta la sua esistenza, ma alla quale sa di non dover cedere. Quando il demonio le si presenta davanti sotto le sembianze di sant’Onofrio in veste di pellegrino, invitandola a seguirlo nel deserto, gli risponde con durezza, dicendo che vuole vivere nel luogo che Dio le ha assegnato, perché non bisogna andare in giro alla ricerca di false consolazioni spirituali e anche restando nel mondo è possibile santificarsi: «Miserabile, vigliacco, credi di prendermi con questa tua falsa luce, vuoi portarmi con te nel deserto, pensando di ingannarmi. Ma io voglio restare nel luogo che piace al Signore, e non desidero altro se non quello che piace a lui. Allora, in nome di Gesù Cristo crocefisso, vattene, torna nell’abisso».

Si recava ogni giorno nel monastero, continuando ad abitare nel Palazzo Ponziani, per accudire il marito malato. Dopo la morte del marito, con il quale visse per 40 anni, si unì alle compagne a Tor de’ Specchi dove fu eletta superiora.

Il popolo romano la considerò sempre una di loro chiamandola familiarmente “Franceschella” o “Ceccolella”.

Morì il 9 marzo 1440 nel palazzo Ponziani, dove si era recata per assistere il figlio Battista gravemente ammalato. La ricorrenza del giorno della sua morte, con decreto del Senato del 1494, fu considerato giorno festivo.

domenica 14 aprile 2024

Il mio "io" è Dio

 


Mi capita sottomano una frase di Caterina da Genova. Troppo arditi questi mistici. Parla del proprio io in maniera esagerata. Non lo nega, come abitualmente si pensa, per contrappore ad esso Dio. Lo trasfigura piuttosto, lasciando che venga assunto in Dio, indiandolo: «Se pure accade che per il vivere del mondo, ho bisogno del mio “io”, che non fa altro che parlare, quando mi nomino ovvero da altri sono nominata, dentro di me dico: il mio “io” è Dio: non conosco altro che il mio Dio».

sabato 13 aprile 2024

Non siamo “un branco di pecore”

Non siamo “un branco di pecore”, dove i singoli sono anonimi e amorfi. Nel gregge del Signore ogni persona è unica, ha un inestimabile valore, costituisce il bene più prezioso che egli possiede, al punto che per ognuno egli è pronto a dare la vita, tanto gli siamo cari.

Il Pastore buono ha un rapporto personale con ognuno. Di ognuno di noi conosce la storia, i sogni segreti, le prove e i dolori, le gioie intime. Ci conosce come nessuno ci conosce. Più ancora, è pronto a farsi sbranare dal lupo rapace pur di salvarci. Il suo morire per noi non è un fatalismo, un tragico incidente; è il frutto di una libera scelta: nessuno gli toglie la vita con violenza, la dà da se stesso, perché ci ama veramente.

Instaura con noi quei rapporti di conoscenza e d’amore che vive in cielo con il Padre, dove la conoscenza, l’amore, la generazione sono reciproci.

Vuole coinvolgerci nello stesso gioco d’amore. Fa scattare così la medesima dinamica che lo muove verso di noi. È la nostra vocazione: conoscerlo a nostra volta, sapere i suoi sogni segreti, penetrare il suo mistero, possederlo come il dono più prezioso. Rivivere con lui il rapporto trinitario di reciprocità che egli vive con il Padre, fino a che si dilati e giunga a coinvolgere, ad una ad una, anche le altre pecore vicine e lontane, quelle nel recinto e quelle fuori dal recinto, così da diventare un solo gregge, una sola famiglia, che rispecchi l’unità che si vive in cielo.

 

venerdì 12 aprile 2024

Suor Clara

 

Quando arrivai a Vermicino, 50 anni fa, la trovai all’asilo, con i bambini. Una donna mite, umile, mai appariscente, in seconda fila. Eppure c’era! Sempre sorridente. Sempre positiva. 

In questi ultimi anni suor Clara è sparita completamente, in una casa per anziani infermi, nell’anonimato. Almeno esteriormente. E dentro? Chi entra nel mistero di una persona? 

Ha aperto uno spiraglio quando ha lasciato scritto che vedeva la sua vita espressa nelle parole di Gesù: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore”. Oggi è stata sicuramente accolta dal suo Maestro, di cui è stata una buona discepola e da cui ha imparato molto.

Grazie anche a nome di tutti gli Oblati a cui per tanto tempo hai dato il suo aiuto prezioso e silenzioso.

giovedì 11 aprile 2024

Ancora sul Diario di Chiara Lubich


Una presentazione dopo l'altra...

https://www.youtube.com/watch?v=m9Gm4A_vn18

Il diario di Chiara Lubich è un po’ particolare – spiega ancora p. Ciardi – perché nasce non come diario personale, ma nasce proprio per coinvolgere tutti i membri del Movimento nei suoi viaggi. (…) . All’inizio parte subito con la descrizione di quello che avviene, quindi è un diario di una cronaca, ma presto, subito diventa un diario intimo. Perché quello che lei deve comunicare non sono soltanto semplicemente i fatti che lei sta vivendo, ma come li sta vivendo”.

I Diari ripercorrono sedici anni  e, per aiutare il lettore a meglio collocare e capire i testi della Lubich, p. Ciardi ha fatto una precisa scelta editoriale:  “Dopo aver fatto un’introduzione generale a tutto il Diario, anno per anno, propongo una introduzione a quell’anno, collocandola anche… contestualizzandolo nella vita della Chiesa, nella vita del mondo, in maniera che si possa cogliere quello che sta vivendo Chiara Lubich, però con l’orizzonte più ampio della vita dell’Opera, della Chiesa e dell’umanità”.

A chi vuole sapere come è meglio leggere questo libro e da dove iniziare, P. Fabio risponde così: “Allora la prima cosa che consiglierei è aprire a caso. E leggere una pagina.  Sicuramente sarà coinvolgente. E allora sarà un invito a leggerne un’altra e un’altra. Non importa leggerlo, diciamo, in maniera continuativa. Si può aprire a caso e leggere un giorno, un altro, un anno, un altro. E poi questo forse farà venire il desiderio di cogliere il filo. E allora ricominciare dall’inizio, piano piano e percorrere questo cammino, che è un cammino… Non è facile il cammino di Chiara. È un cammino travagliato. Ci sono dei momenti di prova, momenti di malattia. Sono dei momenti in cui non scrive il diario. E perché non lo scrive? Perché forse vive un momento di buio. Quindi anche ripercorrere cronologicamente tutto il percorso aiuta a capire questo mondo. Però per iniziare, forse si può aprire a caso e leggere qua e là. Poi verrà la voglia di una lettura continua e completa”.
“Il diario è suo, è personale, è la sua vita. – conclude il curatore – E questo lo si desume soprattutto dal colloquio costante che c’è nel Diario con Dio, con Gesù, con Maria, con i santi. (…) Ci fa vedere la sua anima, ci fa vedere quello che lei ha dentro. E questo ha in me una risonanza perché è come un invito a fare lo stesso viaggio, ad avere anch’io la stessa intimità; quindi, leggendo Chiara in fondo io mi rispecchio anche non in quello che sono, purtroppo, ma in quello che sento che dovrei essere”.

“Il diario è suo, è personale, è la sua vita. – conclude il curatore – E questo lo si desume soprattutto dal colloquio costante che c’è nel Diario con Dio, con Gesù, con Maria, con i santi. (…) Ci fa vedere la sua anima, ci fa vedere quello che lei ha dentro. E questo ha in me una risonanza perché è come un invito a fare lo stesso viaggio, ad avere anch’io la stessa intimità; quindi, leggendo Chiara in fondo io mi rispecchio anche non in quello che sono, purtroppo, ma in quello che sento che dovrei essere”. 




martedì 9 aprile 2024

La moltitudine e il singolo

Nella lettura degli Atti degli Apostoli di oggi mi ha colpito il contrasto tra la “moltitudine” dei cristiani e il racconto di Barnaba. Da una parte ci sono tanti che fanno comunione di bene, dall’altra c’è il racconto di un’esperienza singola, particolare, quella di Barnaba che vende il suo campo e mette in comune i soldi. La moltitudine presuppone sempre l’esperienza personale.

Lo stesso per il Vangelo di oggi. Dopo aver parlato nel tempio alle folle Gesù fa un colloquio personale con Nicodemo. È una costante: continua a parlare alle folle e poi singolarmente con la Samaritana, Zaccheo, Maria Maddalena…

Tutti e ognuno.

Domenica ho parlato a un bel gruppo di persone… poi ho avuto la ventura di colloqui personali. E' bello sentirsi dire: "Mi hai aiutato ad attizzare la fiamma!". Ci vuole l’uno e l’altro: amare tutti, amare ognuno. E ognuno è un unicum, è un mondo.