sabato 20 novembre 2010

Renata Borlone e la concretezza dell’amore


Questa mattina ho giurato, davanti al giudice e al notaio del tribunale ecclesiastico della diocesi di Fiesole, di aver compiuto il mio lavoro in coscienza e con rettitudine. Ho infatti consegnato il giudizio sugli scritti di Renata Borlone che ho preparato in vista del processo di beatificazione.
Presto sarà pubblicata la sua Autobiografia: la si legge come un romanzo. Alla fine si rimane convinti che la sua “avventura”, scritta con parole essenziali, incisive, senza enfasi, è stata guidata dallo Spirito Santo; se ne rimane coinvolti.
Da tutti i suoi scritti la prima nota che mi ha colpito è stata è quella di una vita interamente tutta intrisa d’amore: «La nostra vita deve somigliare a quella di Gesù: arrivare ad amare come Lui ha fatto» (1990); «Ho compreso di dover amare il prossimo, come mai avevo fatto, così come ci ha insegnato Gesù» (1989). «Un piccolo atto di Carità vale più di qualsiasi altra cosa al mondo» (1972).
Renata non parla mai di un “prossimo” generico, ma sempre di persone concrete a cui darsi con altrettante concretezza, puntando «sullo sviluppo di tutte le nostre potenze, non sull’inibizione (non fare questo o quello)», sicura che penserà poi Dio, eventualmente alla “potatura”, «a rendere sempre più puro il nostro amore per gli altri, a non permettere la confusione se noi ci lasciamo lavorare» (1976).
Si tratta di un amore che si dirige alla persona così com’è, «che sa andare al di là dei limiti dell’altro… che sa dare anche la vita» (1974); un amore che dona senza nulla pretendere: «So che la natura giustamente reclama la sua parte, eppure al di fuori di questo non c’è vera gioia, perché la nostra gioia è nell’Amore di Dio, e Dio ci ha amati per primo! Lo stesso dobbiamo fare anche noi» (1965).
Si tratta di un amore concreto, fatto di accoglienza di ragazze in difficoltà, di giovani spesso senza avvenire, drogati, dalla condotta immorale che ritrovano la forza di cominciare una vita nuova; di aiuti di tipo logistico, economico, di sostegno morale e spirituale, fino ad interessarsi di onorari notarili, imposte di registro, lavori di restauro, allacciamenti all’acquedotto, problemi di arredamento, di illuminazione, di discariche, e altro ancora...
Non è mai filantropia. Ciò che spinge a tale amore concreto è la fede nella presenza di Gesù nel prossimo: «Gesù che si è potuto beneficare nel prossimo è certamente contento!» (1980). È così che «gli atti d’amore, che rivelano l’Amore più grande, resteranno per sempre fissi in Cielo» (1990); la carità «è l’unica cosa che resta e che ha veramente valore» (1966).
Di qui la comprensione di come deve essere compiuto un atto d’amore: «Amare vuol dire donare, e non si può donare se non ciò che si perde, come ha fatto Gesù, che per “riguadagnarci” ha perso la certezza d’essere figlio di Dio (“Dio mio…”)» (1972). Per questo «… quel che conta quando parliamo non è tanto quello che diciamo, ma l’amore con cui lo diciamo. A volte quello che colpisce le anime è il più modesto atto di carità fatto magari con enorme fatica» (1967).

1 commento:

  1. parole sante...che fanno riflettere e andare oltre a tutto alla visione ristretta che si ha della giustizia o di altri valori...cio' che conta e' l'amore nel parlare anche se si devono dire verita' scomode ,la comprensione anche se non si condivide un atteggiamento buono...ed altro ancora ma nel cuore nell'intenzione,nei gesti ,solo amore ,solo carita'.chi la possiede puo' tutto.RENATA e' ed e' stata maestra,madre in questo.Chi l'ha conosciuta oltre alla enorme riconoscenza,ha anche ricevuto un grande dono da ridonare agli altri.

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