mercoledì 23 febbraio 2011

Più puro dove più turpe è la via

Coincidenza. Mi sono capitate tra mano due poesie scritte un secolo fa, lo stesso anno, da due poeti lontanissimi tra loro per cultura e geografia. “Pasqua a New York” di Blaise Cendrars e “Città vecchia” di Umberto Saba.

Hanno in comune la discesa nel ventre della città:
Saba:
prendo un'oscura via di città vecchia.
Cendrars:
Scendo a gran passi verso i quartieri più miseri,

Qui incontrano la povera gente:
Saba:
la gente che viene che va
dall'osteria alla casa o al lupanare,
dove son merci ed uomini il detrito
di un gran porto di mare
Cendrars:
la folla dei poveri
È qui, stipata come bestiame, negli ospizi.
Immense navi nere arrivano dagli orizzonti
E li sbarcano, a mucchi, sui pantani.
Vi sono Italiani, Greci, Spagnoli,
Russi, Bulgari, Mongoli, Persiani.
Sono bestie da circo che saltano i meridiani.
Si getta loro un pezzo di carne nera, come ai cani.

Fatti uno con questo mondo del male e della miseria entrambi sanno cogliervi la presenza di quel Dio che già prima di loro si era fatto accanto agli ultimi della terra
Saba:
sono tutte creature della vita
e del dolore;
s'agita in esse, come in me, il Signore.
Cendrars:
Signore, sono nel quartiere dei bravi ladri,
Dei vagabondi, dei mendicanti, dei ricettatori.
Penso ai due ladroni che erano con te al Supplizio,
So che ti degni sorridere della loro miseria.

Ciò che più mi ha toccato è la finale di Saba, che si fa puro proprio nella turpitudine, parabola di ogni discesa fatta con amore:
Qui degli umili sento in compagnia
il mio pensiero farsi
più puro dove più turpe è la via.

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