giovedì 31 marzo 2011

Cammino verso la Pasqua: Sempre avanti!

Allora passo dopo passo, senza scoraggiarsi (Paolo ripete due volte, nelle sue lettere, la stessa frase: “Non lasciatevi scoraggiare nel fare il bene”), anche se la meta non sembra arrivare mai. “La vera perfezione consiste in questo - scrive Gregorio di Nissa -, nel non fermarsi mai nella propria crescita”. Di qui la famosa massima: chi non va avanti va indietro. Sant’Agostino scrive: Mai dire basta!, dire mi accontento di dove sono arrivato: “cammina sempre, procedi in avanti di continuo: non fermarti lungo il cammino, non voltarti, non deviare”.
Si può sempre crescere nell’amore. C’è sempre posto per il nuovo.
Sembra fare a pugni con un’altra realtà: la perseveranza (che sembra statica) e la fedeltà (che sembra fissa al passato). E invece non si progredisce se se non si è ben saldi nel presente e nel passato. Anche su questo una mia paginetta di una volta:

Fedeltà.
Quanto imbarazzo davanti a questa parola. Sembra passata di moda. L’odierna mobilità con la rapidità degli spostamenti, il vorticoso succedersi degli eventi, il repentino cambio delle mode, delle correnti di pensiero, spinge con forza in avanti verso un futuro sempre nuovo e creativo, alla ricerca di emozioni sempre diverse.
La fedeltà sembra rimasta indietro. Fa pensare ad un’esistenza statica, fossilizzata nel tempo, ad una virtù stoica, ad un fissismo anacronistico davanti al dinamismo che caratterizza la vita moderna.
Eppure un amore senza storia, effimero in durata e intensità.
Memoria dell’amore, la fedeltà ne richiama le radici lontane, ben piantate nel passato: garanzia di vita anche in tempi d’arsura. Gusto della continuità.
Fedeltà è promessa d’amore che si apre al futuro e ha il coraggio di dire: per sempre. È speranza certa, che dilata spazio e tempo all’infinito, ebbrezza di perennità.
Non conosce la noia perché senza immutabile o ripetitiva stabilità. Apre percorsi inediti, inventa, fantasia dell’amore, creatività dinamica, ogni giorno rinnovata.
È la crescita dell’amore. 

mercoledì 30 marzo 2011

Cammino verso la Pasqua: Passo dopo passo

Allora, abbiamo ricominciato. Ma il cammino è lungo e non si può fare tutto di corsa. Bisogna mantenere il passo, a ritmo costante, giorno per giorno. Gesù ci insegna a chiedere il cibo solo per l’oggi: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano» (Mt 6, 11). Domani chiederemo il cibo per domani: «Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena» (Mt 6, 34).
Come non ricordare Giovanni XXIII che normava la propria vita - e per questo fu semplice e affascinante - su un presente fatto di gesti usuali ma compiuti con solennità e interezza: «Io devo fare ciascuna cosa, recitare ogni orazione, seguire quella regola, come se non ci avessi altro da fare, come se il Signore mi avesse messo al mondo solo per fare quella azione».

Anche per questa tecnica del passo dopo passo ho un ricordo di qualche anno fa, in vacanza all’isola d’Elba.
Monte Capanne
La mattina mi piaceva partire da Marciana, sul mare, e salire fin sulla cima del Monte Capanne, poco oltre i 1000 metri. Il silenzio esaltava gli impercettibili rumori del bosco. Contemplando la natura potevo meditare. Unica distrazione (ma è poi tale?) il rufolare del cinghiale, o lo scatto veloce del capriolo. Sulla cima mi fermavo e l’orizzonte si apriva all’infinito, fino a Pianosa e Capraia. Respiravo l’aria dei sassi e delle ginestre. Da lassù ridiscendevo al mare, dall’altra parte dell’isola.
Un giorno decido di lasciare il solito sentiero. Vado già dritto, tra massi e crepacci, la zona più impervia del monte. Me la voglio gustare tutta la natura. Soltanto i cinghiali si avventurano tra questi anfratti. Procedo lento, guardando bene a dove metto i piedi. Fino a quando mi trovo in una zona cosparsa di massi molto più alti di me caduti dalla cime del monte. Dall’alto non si vedevano perché avvolti dalla vegetazione. Il fondo è irto di spuntoni di alberelli bruciati in un incendio forse un paio d’anni addietro. Mi muovo a fatica, anzi è così intricato che quasi non riesco più a muovermi.
Il sole del primo pomeriggio, picchia forte. Ho lo zaino vuoto. Ho finito anche l’acqua. Mi sto disidratando. Vedo il mare davanti a me. Mi pare così vicino da toccarlo con un dito, e rimane infinitamente lontano. Le forze mi vengono meno. Devo venirne fuori in qualche modo. Emergo dall’intrico e mi siedo su una roccia. Guardo attorno con calma. Vedo, sulla sinistra, una zona con vegetazione più verde: è segno che lì scorre un torrente. Mi basta arrivare lì, avrò l’acqua e poi mi sarà facile seguire il torrente. Ma ce la farò ad arrivare lì? Mi pare impossibile.
Mi invento una tecnica di sopravvivenza. Fino al torrente non ci arriverò mai, ma dieci passi in quella direzione riuscirò pure a farli. A fatica avanzo tra sassi e rami appuntiti come lance: uno, due, tre… Ho fatto dieci passi! Allora, forse, posso farne altri dieci. E poi altri dieci… Sono al ruscello. Sono salvo!
È una tecnica che va benissimo anche per l’altro tipo di sopravivenza. Superare certe prove? Impossibile. Soddisfare a tutti gli impegni? Impossibile? La santità? Impossibile… Ma forse un passo… Basta che sia nella direzione giusta.

Faccio mia la preghiera di Teresa di Gesù Bambino
La mia vita non è che un istante, un’ora passeggera,
la mia vita è un giorno che fugge,
tu lo sai, o mio Dio!
Per amarti sulla terra non ho che quest’oggi.
T’amo, Gesù, e verso te la mia anima si protende,
mio dolce appoggio per questo mio unico giorno.

martedì 29 marzo 2011

Cammino verso la Pasqua: ricominciare



Una volta smarrita la strada? Si ricomincia! Quanto il cammino si fa difficile e duro la tentazione è quella di arrendersi, di tornare indietro: è finita!
Invece... si può sempre ripartire.

Una volta ho scritto una piccola storia al riguardo:

Quand’ero bambino il quaderno di scuola mi si apriva su due pagine immacolate. Un campo infinito si stendeva davanti, desideroso di essere arato, promessa di messi abbondanti.
Ricominciare, come ogni primavera
Inzuppavo il pennino nell’inchiostro, lo detergevo lievemente sull’orlo del calamaio ed iniziavo il sentiero delle parole. La pressione della penna sulla carta doveva essere uniforme. Se premevo poco la parola restava inespressa, se troppo scivolava giù un flusso eccessivo d’inchiostro, bagnava il foglio e vi lasciava una fossettina nera: la macchia, la tanto temuta macchia. Per quanto piccola pareva un mare di pece.
Altri ostacoli inceppavano il percorso fluente del pennino. Una consonante in più da depennare, una in meno da recuperare. Il segno restava come una ferita inflitta alla parola che non si sarebbe mai più rimarginata.
A insidiare l’orizzonte del cammino ci pensava, inavvertitamente, anche l’avambraccio destro. Tutto proteso all’ardua opera delle dita che stringevano la penna e la facevano danzare con ritmo lento, non si accorgeva che andava arricciolando la punta estrema del foglio di quaderno, che si vedeva spuntare un orecchio.
Al termine della sudata impresa che mi portava alla fine della pagina i due fogli di quaderno avevano assunto l’aria triste di un campo di battaglia e non dell’ordinata campagna, ben coltivata, che mi ero sognato.
Quei due fogli mi facevano pena e mi comunicavano tutta la loro tristezza.
Proprio allora, dal fondo di quella inarticolata mestizia, fioriva una speranza inattesa. Bastava voltare la pagina e splendeva un nuovo sole: un oceano mi si presentava davanti, purissimo, del tutto ignaro di quanto era accaduto nella pagina precedente.
Il foglio bianco aveva fiducia in me e mi invitava ad iniziare di nuovo.
Non ho smesso di essere bambino.
Continuo a voltare pagina, ogni giorno.
Mi dai fiducia, una volta ancora.
E non ti stanchi mai.
Si può ricominciare.
Si può sempre ricominciare.


Commenti: Grazie Fabio è di una bellezza unica questo racconto! Elio Giannetti
Grazie per questo moderno quaresimale, ora sei un vero missionario che annuncia la parola di Dio alle folle, buona quaresima. Rosaria

lunedì 28 marzo 2011

Riprendiamo il viaggio?

Dal Brasile mi è arrivato un power point che riprende le cinque parola del cammino quaresimale (della vita) di cui ha parlato giorni fa sul blog. L’ho colto come un invito ad andare avanti nello scoprirne altre. “Fallimento”, ad esempio. La parola americana più famosa, che ne traduce la cultura, è “successo”. Si studia, si lavora, si lotta, si vive… per il successo. Non è soltanto cultura d’oltre oceano: è anche la nostra.
Eppure in un viaggio succede che si sbaglia strada e ci si ritrova persi per campi. Quante sbandate, quanti sbagli, quanti… fallimenti. Bisogna metterli in conto, fanno parte del rischio della vita. Anche il viaggio di Gesù, proprio all’ultimo, senza finire in un fallimento. È come se egli avesse voluto seguirci fuori strada, per esserci accanto anche nei momenti più bui. Nella sua parabola, se una pecora del gregge ha perduto la strada e s’è smarrita il pastore non l’abbandona, ma va da lei nel luogo perduto… Con la sua presenza il vuoto si riempie, il buio si illumina, la solitudine si popola. 

Nipoti, un dono di Dio

domenica 27 marzo 2011

Per avere un po' di idee chiare sulla situazione libica

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Commento: grazie per il blog: "per aver chiare le idee sulla situazione libica!" La verità che si può leggere è quel " senza luce"ed  è sacrosanta!!! Però chiediamo che torni la luce e la pace! Buona giornata! 1 Mariba

venerdì 25 marzo 2011

L'annunciazione di Lorenzo Lotto e la nostra

In Toscana, dal 1200 fino all’unità d’Italia, l’inizio d’anno si è sempre celebrato il 25 marzo: il Verbo di Dio viene nel mondo, nel grembo di Maria, ed è l’inizio della storia!
Per festeggiare il nuovo anno questi giorni mi sono lasciato attrarre dai manifesti di cui è tappezzata Roma e sono andato alle scuderie del Quirinale a godermi le pitture di Lorenzo Lotto. La maestria dei ritratti è presente anche in ogni sacra rappresentazione, dove angeli, santi e madonne possiedono il realismo di volti veri.
Tutte e tre le annunciazioni esposte ritraggono Maria nella sorpresa dell’evento inatteso: una volta sembra voler scomparire, un’altra sfuggire a tanto compito… Nella più famosa, dipinta del 1532 e scelta come icona della mostra, Maria si rivolge verso di noi per condividere lo smarrimento o forse la gioia per l’improvvisa incursione nella sua stanza dell’Angelo e più ancora per il messaggio stravolgente di cui è egli portatore.
L’angelo, ancora scarmigliato per il volo rapido, la guarda intensamente, conscio di chi ha davanti e dell’annuncio che le sta trasmettendo. Vi può essere evento più immenso e stupefacente? Dio sta per entrare nella nostra storia! Quasi a scusarsi – lui non è responsabile di quanto sta accadendo – indica il Padre da cui tutto ha origine.
Eppure la scena, resa in tutta la sua folgorante immediatezza, in un’istantanea capace di rivelare le più intime reazioni emotive dei protagonisti, è ambientata nella quotidianità di un ambiente normale, descritto analiticamente con oggetti e arredi domestici: l’inginocchiatoio, la clessidra, i libri, l’asciugamano… Il giardino all’italiana, con le luci e le ombre che diffonde nella stanza, trasmette l’aria primaverile, tepida e silenziosa. Anche il gatto, spaventato dall’improvviso arrivo dell’angelo, per alcuni simbolo del male messo in fuga dall’immanente incarnazione, forse è messo lì, proprio al centro della scena, a sottolineare che l’evento straordinario avviene in un momento e in un ambente ordinario.
Quello sguardo di Maria sembra volerci coinvolgere nel suo mistero, che può avvenire anche in noi, proprio oggi, proprio qui. Anche noi, come lei, possiamo accogliere il Dio che viene e diventarne suo tempio. Basta il nostro Sì: “Si compia in me quello che tu vuoi”.

giovedì 24 marzo 2011

Ancora in Texas, nel Deserto del Cavallo Selvaggio…

… alla scoperta di territori dove gli Oblati hanno portato il vangelo.
Il Rio Grande riposa immobile tra le sponde basse. Sembra impossibile, guardandolo adagiato nella sua apatica calma tropicale, che regolarmente si risvegli e trovi la forza di inondare la pianura, trasformando il deserto in terra fertile. Le palme, pigre come il fiume, si rispecchiano nelle sue acque, mentre il tramonto tinge il cielo di colori irreali.
Il tempo sembra fermarsi. L’argine sinistro è bordato da una cortina di ferro che segue il fiume per chilometri e chilometri; e anche oltre, fino al Pacifico, come barriera di difesa degli Stati Uniti contro l’immigrazione incontrollata dal Centro e Sud America.
Leggi tutto l’articolo sul sito di Città Nuova

Nel frattempo è giunto il seguente messaggio con foto:


Thanks, Fabio, Beautiful article. I am attaching a picture of the last member of the cavalry of Christ. David


A cavallo oggi come allora!

mercoledì 23 marzo 2011

Giovanni Santolini: un niente pieno d'amore

La domenica delle Palme Giovanni Santolini era andato a celebrare l’Eucarestia dalle Carmelitane, non lontano da casa sua, a Kinshasa. Poi era rientrato in comunità, - il tempo i prendere gli appunti che aveva preparato - forse di sbrigare qualche altra cosetta, e poi eccolo di nuovo in strada, sul suo motorino rosso, per andare alla giornata dei gen a parlar loro della Via Mariae. Gli avevano telefonato dicendogli di riposare un po’ prima di partire e chiedendogli se voleva che andassero a prenderlo. Ma lui, al solito, aveva risposto: «No, non sono stanco, vengo subito, anzi vengo volentieri perché sono proprio contento di fare questo tema ai gen!»
Pur essendo pericoloso, date le condizioni delle strade, quel motorino gli rendeva grossi servizi. Gli amici non volevano vederlo andare in giro con questo mezzo e gli avevano anche procurato un’automobile usata, che avevano in programma di consegnargli proprio l'indomani! Uscito di casa, dopo circa un chilometro, si è scontrato frontalmente con un pulmino che veniva in senso inverso e che si era improvvisamente spostato sulla sua corsia. Era pronto per dare ai gen la Via Mariae, via che passa per lo stare ai piedi della croce e che termina in cielo tra gli angeli e i santi. Giovanni l’ha percorsa e conclusa di corsa insieme a Maria! Aveva 43 anni. Era il 23 marzo 1997.

Giovanni possedeva una grande personalità. La ricchezza delle sue doti umane gli permetteva di entrare subito in rapporto con ognuno, di affrontare ogni tipo di situazioni, di dirigere spiritualmente le persone, dai seminaristi alle Carmelitane, dalle famiglie ai giovani. Eppure Giovanni ha progressivamente guadagnato l’ultimo posto. È sceso gradatamente dal piedistallo di quella santità che si era immaginato di raggiungere quando era ancora ragazzo. Non pensava più di dover diventare un santo o un eroe.
Pur avendo tanti posti di responsabilità, era diventato sempre più semplice, sempre più nulla: "un anti-eroe". Per questo una morte come quella a cui è andato incontro, banale, senza gloria, era forse quella che più gli si addiceva. Le lettere più recenti testimoniano del profondo cammino interiore che Dio gli faceva percorrere per chiamarlo presto a Sé. «Oggi avverto forte la realtà di essere "un vuoto pieno di luce" - scriveva, il 3 febbraio 1997 -, nel senso che nessuno dovrebbe vedermi. Che attraverso questo vuoto possa passare tutta la luce e l’amore di Dio».
La sera prima di morire aveva mandato l’ultimo messaggio E-Mail via Internet. Mi sembra che meglio di ogni altra parola possa dire chi era Giovanni: «Continuiamo a tenere Gesù in mezzo tra di noi nell’amore reciproco: sarà lui che ci proteggerà da ogni pericolo e saprà costruire tutto per il bene e la crescita della nostra opera e della Chiesa. Oggi dalle suore ho parlato di Maria desolata, del suo stabat ai piedi della croce... Lei è la risposta a tutti i nostri problemi e timori. In quello stabat troviamo la ragione del nostro stare fermi, sereni, fiduciosi nel Padre e nel Suo disegno...».

lunedì 21 marzo 2011

Enzo Bianchi, Ogni cosa alla sua stagione

Sembrava che con il fortunato libro, Il pane di ieri, Enzo Bianchi avesse detto tutto sul mondo contadino nel quale è nato e vissuto. Aveva dipinto un quadro straordinariamente vivo delle langhe del Monferrato e della sua gente.
Ma la cella del monaco di Bose, quella esteriore con la quale apre il nuovo libro, e quella interiore con la quale lo chiude, è di una tale profondità che, nel suo vuoto, essa è capace di accogliere e far rivivere le persone incontrate lungo la vita; è di una tale trasparenze che dilata lo sguardo su colline e villaggi; è talmente silenziosa che può dar voce alla riflessione sapiente sul senso della vita e della morte, della giovinezza e della vecchiaia. Le stagioni evocate sono soprattutto l’autunno e l’inverno, le più adatte alla contemplazione, ad uno sguardo sereno e pacato che abbracci i sapori della vita, dal barolo chinato all’amicizia sincera, ma anche alla “com-passione” per persone e fatti, rievocati fino a renderli vivi davanti al lettore, e insieme decantati e sublimati dal passare del tempo. Caduto l’effimero, col passare degli anni, resta il gusto delle cose vere.
È un libro di colline e vigneti, tavole e focolari, feste e riti familiari, proverbi e gesti misurati. Un libro di ritratti essenziali di uomini e donne che ti pare di avere sempre conosciuti.
Un libro che insegna, evocando soltanto, come ci si rapporta con le cose e le persone e come essere grati a cose e persone, nella convinzione che “avere qualcuno che crede in noi è decisivo affinché possiamo a nostra volta credere negli altri, è determinante per riuscire a trovare senso nella vita”. Un libro che suscita la voglia di vivere appieno la propria umanità.

domenica 20 marzo 2011

Maratona di Roma

Un’altra grande occasione per stare con la gente e godere Roma: la maratona!
Per gli atleti 40 km, per la gente come me 40 senza lo zero: una passeggiata nel centro, in migliaia, con bambini e anziani, rallegrati dalla banda, da un complessino jazz, da gruppi folcloristici e da un solicino ormai primaverile. Il mondo è fatto di tragedie come quelle del Giappone e della Libia, ma anche di una gran voglia di ritrovarsi insieme, di riappropriarsi della città, di ritrovare rapporti semplici.

sabato 19 marzo 2011

Il ritratto di una spiritualità / 2 - Seguire Gesù

A seguito della prima puntata apparsa sul Blog il 19 febbraio.

Nel quadro che ritrae p. Jean Bretault, in basso, si legge: “Si vis perfectus esse, veni sequere me”. Un latino facile, le parole che Gesù rivolse al giovane ricco: “Se vuoi essere perfetto… vieni e seguimi” (Mt 19, 21). Da questo invito di Gesù nasce ogni spiritualità, anche quella oblata. Una spiritualità è infatti un modo di seguire Gesù, una risposta alla sua chiamata: Vieni e seguimi.
Come si fa a sentire l’appello di Gesù? La vocazione, ogni vocazione, è una delle realtà più misteriose e più belle. Ognuno ha la sua storia segreta. Quale la storia del nostro padre Jean, o meglio Jean Maria Giuseppe Francesco, secondo il nome di battesimo? Ce lo racconta un altro Oblato, p. Paul Hally, che stette con lui alcuni mesi, dal luglio 1908 al gennaio 1909. Allora p. Jean viveva nel ranch de La Lomita e la sera, nel più assoluto silenzio della natura, aveva tutto il tempo per narrare a p. Paul come aveva sentito la voce del Signore e come aveva deciso di seguirlo.

Un cammino difficile e tenace - Era nato il 22 ottobre 1843 nel nord ovest della Francia, nell’antica regione della Lorena, a La Fournerie di Le Fief Sauvin, una località senza storia, a parte il terribile indimenticabile eccidio del 13 marzo 1794, quando le bande della rivoluzione francese trucidarono 178 persone, tra cui 53 bambini. Jean era il primo figlio, di Jean-Marie, contadino e di Anna Maria, tutta dedita a tirar su la famiglia e aiutare il marito nei lavori dei campi. Dopo di lui quattro fratelli e tre sorelle. Jean Maria frequentò la scuola elementare, diretta da un maestro laico e poi da un Fratello di San Gabriele. Della scuola non conservava  particolari ricordi, mentre invece amava raccontava di quando, a otto anni, assieme al fratelli si arrampicò su un albero per strappare l’edera per foraggiare la mucca. Che caduta rovinosa! Si slogò la mano, che continuò a fargli male per parecchie settimane.
Come gli venne l’idea di diventare sacerdote? Come capita spesso, la voce di Gesù si fa sentire attraverso la voce di qualcun altro. Un giorno il parroco lo trovò nei campi a lavorare con il padre: “Ragazzino, ti piacerebbe studiare per diventare prete?”. A Jean l’idea piacque. Il parroco trovò due benefattori per la retta e Jean, a 13 anni, entrò nel seminario minore di Beaupreau, a cinque chilometri dal suo villaggio. Dopo un anno uno dei benefattori morì e la vedova non rinnovò il pagamento della retta. Fu così che Jean si trovò con 200 franchi di debito che avrebbe dovuto saldare una volta ordinato sacerdote. Ma nel frattempo gli era nata in cuore la vocazione missionaria. Ogni anno, a settembre, vedeva i Missionari Oblati venire al suo paese per predicare il ritiro a tutta la gente. Gli piacevano. Un giorno si decise di andare a trovarli nella casa di Angers. Il superiore lo accolse con gioia e gli suggerì di scrivere al superiore generale, che allora era p. Fabre, il primo successore di sant’Eugenio de Mazenod. Ne ricevette una bella letterina che lo invitava a raggiungere gli Oblati. Ma per il momento Jean preferì proseguire gli studi nel seminario diocesano.
Finito il liceo, a 24 anni, entrò nel seminario maggiore della diocesi ad Angers. Qui il padre spirituale riconobbe la verità della chiamata missionaria e lo invitò a raggiungere gli Oblati. Ma prima c’erano i 200 franchi di debito verso il seminario. Alla fine dell’anno il padre spirituale gli diede 75 franchi, 25 ne ricevette durante le vacanze da una brava signora, ma gli altri 100? Non avendo i soldi per lasciare in seminario, alla fine delle vacanze dovette tornarvi. Il padre spirituale rimase sorpreso nel vederlo ancora lì, e gli diedi i 100 franchi mancanti. Il giorno dopo Jean lasciava il seminario diocesano diretto al noviziato di Nancy, dove fece la sua vestizione il 14 ottobre 1868.
Intanto in Francia la situazione politica, con le elezioni del 1869, si stava deteriorando. Fu così che, terminato il noviziato, Jean fu mandato a casa in attesa che le cose si chiarissero. Non aveva neppure emesso i voti, come si faceva abitualmente alla fine del noviziato, perché era un atto un cambiamento delle Regole degli Oblati che avrebbe riorganizzato il noviziato e introdotto i voti temporanei; ma bisognava attendere il 1870 per vedere approvate le proposte di cambiamento. Soltanto dieci mesi più tardi, il 15 agosto 1870, Jean poté finalmente emettere la professione allo scolasticato di Autun. Ma il “sì” di Jean alla chiamata di Gesù era nuovamente ostacolato da fattori esterni. Giuseppe Garibaldi, presente nella guerra franco-prussiana, occupò lo scolasticato di Autun e lo lasciò in uno stato pietoso…  Bisognava quindi emigrare verso un altro scolasticato, Notre Dame de l’Osier. A causa della guerra le ferrovie erano nel caos e Jean fu obbligato a passare una notte intera, al freddo, in una piccola stazione, prendendosi una bronchite che si portò dietro fino a quando giungerà in Texas, 30 mesi più tardi. Per sfuggire l’arruolamento nell’esercito venne subito ordinato suddiacono e finalmente sacerdote il 25 maggio 1873. Era giunto il tempo di partire per la missione. La salute era in condizioni disastrose, forse non sarebbe arrivato neppure nel Texas, dove era destinato… Andrò avanti per altri 60 anni!

Gesù, il Salvatore - Gesù chiama alla sua sequela perché ha una missione da affidare. Per padre Jean aveva riservato il Texas. Per altri… lo si scopre sempre dopo. L’importante è ascoltare quella voce e dirgli di sì, seguirlo, senza preoccuparsi di dove ci porterà.
Il primo passo è un’adesione incondizionata al “segui-mi”, segui me! C’è la persona di Gesù da scoprire e da seguire, come hanno fatto Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, tutti gli apostoli, Paolo.
La Regola degli Oblati inizia proprio con queste parole: «La chiamata di Gesù Cristo… li invita a seguire il Signore… Gli Oblati abbandonano tutto per seguire Gesù Cristo». È il cammino a cui sono chiamati tutti i membri della grande famiglia oblata: stare con il Signore, conoscerlo sempre di più, entrare in intimità con lui, scoprire il suo amore personale per ciascuno, imparare a rispondere a tanto amore.
Al cuore di ogni vocazione e di spiritualità c’è la persona di Gesù. Ogni spiritualità scopre uno degli infiniti aspetti del suo mistero, un suo volto. Sant’Eugenio ha trovato in lui il Salvatore: si è sentito amato più di ogni altra persona perché più di tutti bisognoso della sua misericordia e del suo perdono. Ha capito che egli è il tesoro per il quale vale la pena vendere tutto pur di possederlo. È la vita della nostra vita, l’unico capace di colmare il cuore mai sazio d’amore. Per questo pregava: «Tu, tu solo ormai sarai l’unico oggetto a cui tenderà ogni mio affetto, ogni mia azione. Piacere a te, agire per la tua gloria sarà la mia occupazione quotidiana, l’occupazione di tutti gli istanti della mia vita. Io voglio vivere solo per te, voglio amare te solo e amare tutto il resto in te e per te».
Così lo ha fatto conoscere ai suoi Oblati: «Cristo Salvatore. È questa l’angolatura da cui dobbiamo contemplare il nostro divin Maestro». Così lo ha fatto conoscere a tutte le persone che incontrava, convinto che questa fosse la sua missione: rivelare l’infinito amore misericordioso e salvatore di Gesù: «Che io viva e respiri solo per lui, mi consumi nel suo amore servendolo e facendo conoscere quanto egli è amabile e quanto gli uomini sono insensati a cercare altrove il riposo del loro cuore, riposo che potranno trovare soltanto in lui...».
Ogni cammino spirituale inizia da questo incontro con Gesù e termina con l’incontro ultimo e definitivo con lui, quando lo vedremo faccia a faccia e saremo introdotti nel suo Paradiso, nel seno della Trinità, con gli angeli e i santi.
Possiamo anche noi pregare con le parole di sant’Eugenio, perché il desiderio di incontrarlo dilati sempre più l’anima, e da poterlo accogliere come egli è, il nostro Salvatore: «Voglio amarti non solo quanto posso amarti, è troppo poco. Voglio amarti come ti hanno amato i santi, come ti amò e ti ama la tua santissima Madre. Mio Dio questo non mi basta ancora, perché vorrei amarti come tu ami te stesso. Lo so che è impossibile, ma desiderarlo non è impossibile perché io lo desidero con tutta la sincerità dell’anima. Sì, mio Dio, vorrei amarti come tu stesso ti ami».

Nella foto: La chiesetta del ranch de La Lomita dove la sera p. Jean (foto-ritratto) narrava la sua storia.

venerdì 18 marzo 2011

Il crocifisso, simbolo d’amore universale

Notizia del giorno: la Corte Europea dei diritti dell'uomo ha assolto l’Italia: il Crocifisso nelle classi non viola il diritto all'istruzione

Tanti santi raccontano che nella loro vita era giunto un momento in cui chiudevano ogni altro libro per leggere solo il Vangelo, dove trovavano “parole di vita eterna”. Più tardi chiudono anche il Vangelo per “leggere” solo il Crocifisso, che racchiude tutto il Vangelo.
Il crocifisso è il simbolo per eccellenza del cristianesimo. Più ancora per il cristiano il crocifisso è una Persona! Se è un simbolo lo è in quanto Persona, è Gesù, il Figlio di Dio che si mette dalla parte del dolore, dell’ingiustizia, della fragilità umana per dare pieno valore ad ogni singola persona, segno eloquente di un dono di sé estremo e disinteressato, “immagine della rivoluzione cristiana – come scriveva la “laica” Natalia Ginzburg – che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini fino allora assente. Non  conosco - aggiungeva - altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Il crocifisso fa parte della storia del Mondo”.
Anche Guttuso, il pittore espressione del partito comunista, non poté non dipingere una crocifissione, che rimane il suo capolavoro. Accingendosi a dipingere, nel 1940, scriveva nel diario: "Questo è tempo di guerra: Abissinia, gas, forche, decapitazioni. Spagna, altrove. Voglio dipingere questo supplizio del Cristo come una scena di oggi… come simbolo di tutti coloro che subiscono oltraggio, carcere supplizio per le loro idee... ".
Per noi cristiani il crocifisso è ancora di più: l’espressione dell’amore di Dio per l’umanità intera, di cui condivide ogni sofferenza. Lo possono capire anche persone di altre fedi, come il monaco tailandese Thongrattanathavorn (Luce ardente). La rappresentazione di un suppliziato inchiodato nel legno era per lui un segno orribile, che contrasta con l’icona sempre serena e gloriosa del Buddha. Il Crocifisso è teso e insanguinato, con sputi e ferite e quindi impuro, grida straziato… Venuto a Nemi, vicino a Roma, amava sostare a lungo nella chiesa dei Mercenari, in contemplazione di un antico crocifisso a grandezze naturali, ritratto con crudo realismo. Quella immagine gli si rivelò come il libro dei libri, condensato della rivelazione cristiana, un Vangelo tutto spiegato. E Luce ardente scoprì che Dio è Amore. Tornando in Tailandia scrisse: «Ad un amore così grande di Gesù che ha voluto dare la sua vita per tutti noi non si può rispondere che con l’amore!».
Che il crocifisso rimanga appeso nelle nostre case, nelle nostre scuole a ricordarci che non siamo soli nei momenti di dolore personali e dell’umanità che ci circonda. Nessuno come lui può mostrarci cos’è l’amore e come si ama.

Nelle foto: Luce ardente e il Crocifisso di Nemi

giovedì 17 marzo 2011

Compimento

Il senso della mia vita?
La scopro giorno per giorno, vivendo la vita.
Mi sospingo sempre al di là di quella collina e dell’altra
e dell’altra ancora…
E sempre manca il tocco nuovo
che coglierò domani.

È questa l’inquietudine?
Anelito di totalità e di pienezza.

Coglierò mai il senso della mia vita?
Solo quando non ci sarà più un’altra collina ancora
a rubarmi l’orizzonte.
Solo quando non ci sarà più il domani con la sua novità.
Il senso è nell’attimo del suo compimento.

Ed è già l’eternità.

Felici di essere italiani

Che bella una notte  romana,
con la gente felice di essere italiana!

martedì 15 marzo 2011

Armonia del bello

Prima di esplorare altre parole che ci aiutino nel cammino verso la Pasqua, raccogliamo insieme le prime cinque. Mi piacerebbe una maglietta con stampato davanti questo quadro a ricordarmi la strada!

Nella pausa uno sguardo alle meraviglie del palazzo della Cancelleria a Roma, uno dei più belli della Roma rinascimentale, con il cortile di loggiati di una forma perfetta, del Bramante, e la suntuosa sala dei 100 giorni, affrescata dal Vasari in soli 100 giorni, da cui il suo nome. Costruito tra il 1400 e il 1500, tra l’attuale Corso Vittorio Emanuele II e Campo de’ Fiori, biancheggia immacolato, rivestito con i marmi di cui è stato spogliato il Colosseo e il Teatro di Marcello.
È qui che ieri si è tenuta una splendida serata nel ricordo di Chiara Lubich a tre anni dalla sua partenza. Oltre agli amici Roberto Catalano,  cristiano, Lisa Palmieri Billig, ebrea, Shahrzad Houshmand, musulmana,  un cast formidabile di musicisti, pittori e registi, tra cui Carlo Lizzani e Matteo Garrone, a rendere omaggio alla nostra grande Chiara e alla sua straordinaria capacità di mettere insieme persone di religioni e culture così diverse. Bellezza, arte, religione, fratellanza… che combinazione vincente, antidoto necessario a brutture e volgarità. Ti convinci che davvero il bello salverà il mondo.

lunedì 14 marzo 2011

Cammino verso la Pasqua: il passaporto

Se il viaggio è all'interno della zone Schengen dell’Europa non ci sono problemi. Ma se il nostro viaggio è fuori di questa area ci vuole il passaporto.
Il viaggio della Quaresima ci porta proprio in un altro mondo! In quello della Resurrezione. La meta ultima del viaggio è addirittura il Paradiso, zona estra-europea. Ci vuole proprio il passaporto. Quale? Il modulo ce l’ha dato Gesù nel vangelo che abbiamo letto nella messa di oggi, primo lunedì della settimana di Quaresima. Lui si mette lì, alla “frontiera”, e domanda i dati: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare… ero ammalato e siete venuti a visitarmi…”: passaporto a posto, possiamo entrare. “Avevo fame e non mi avete dato da mangiare… ero ammalato e non mi avete visitato”: il passaporto non è valido, non si entra! “Alla fine della vita saremo giudicati sull’amore”, è quello il passaporto per il nostro viaggio.

La consegna di Chiara alla vita consacrata


Accogliendo nella sua Opera religiosi e religiose di ogni Istituto, quali autentici membri di essa, Chiara Lubich ha potuto parlare con competenza dei loro carismi e dei dinamismi di rinnovamento e di crescita. Ha così lasciato un ricco magistero che le ha meritato un Dottorato honoris causa in Teologia della Vita Consacrata.
Nel terzo anniversario della partenza per il cielo di Chiara Lubich: leggi

domenica 13 marzo 2011

Cammino verso la Pasqua: la guida

Se non sappiamo la strada, la mappa è utilissima. Ma se abbiamo una persona che già conosce il percorso, una guida, è tutta un’altra cosa! Non dobbiamo preoccuparci di decifrare i segnali; ci mettiamo nelle sue mani e siamo tranquilli di arrivare alla meta.
Così è con te, Gesù. Tu la strada la conosci bene: siamo diretti verso la tua casa, da dove sei venuto. Più che una guida sei proprio la “Via”!!! Basta ascoltare la tua voce, seguirti, metterci nelle tue mani. Il cammino sarà sicuro e certa la meta.

sabato 12 marzo 2011

Cammino verso la Pasqua: la mappa

Una volta scelta la meta e i compagni di viaggio, se non conosciamo bene la strada si studia la mappa. La si tiene poi sottocchio durante il cammino, per non perdersi.
Per il nostro cammino verso la Pasqua, tappa per quello che ci porterà ben più in là, alla meta ultima, il Paradiso, la mappa sicura è il Vangelo. Ci indica per dove passare, i luoghi pericolosi da evitare, le soste più adatte… Lo consultiamo ogni giorno per vedere se davvero siamo sulla strada giusta e per capire i passi da fare.
Non è un caso che all’inizio del viaggio, proprio la prima domenica di Quaresima, Gesù ci ricordi che “non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Il “pane quotidiano” è il cibo d’ogni giorno, come lo è la parola di Dio, da mangiare, masticare, gustare, assimilare ogni giorno, proprio come il pane, fino a farla diventa vita della nostra vita.

venerdì 11 marzo 2011

Cammino verso la Pasqua: i compagni

Che tristezza un viaggio da soli. Si può intraprendere per affari, per andare a trovare qualcuno… Ma un viaggio vero, verso una bella meta, di quelli che si preparano con cura, di quelli che non ci dormi la notte prima perché sei eccitato all’idea di andare in un posto nuovo, dell’avventura, Va fatto insieme: il tempo passa più in fretta, ci si aiuta, ci si incoraggia se capita di sbagliare strada, si condividono le nuove scoperte, le gioie, le difficoltà.
Così anche per il cammino della Quaresima e più ancora per il grande viaggio della vita. Bisogna organizzarsi con degli amici, mettersi d’accordo con loro e diventare compagni di viaggio. Insieme è più bello, più sicuro e la meta è certa. Il nostro è un  cammino di Chiesa!
Poi ci sono quelli che sono già arrivati e fanno il tifo per noi, ci sono accanto… È così parlare con loro di tanto in tanto, chiedere una mano…
L’importante è non essere mai soli.

Queste due sere, dopo cena, sono stato a parlare alla gente delle parrocchie vicine, convenute insieme per il ritiro di inizio quaresima. Partecipa anche la parrocchia degli Oblati del SS. Crocifisso. Un uomo è arrivato subito dopo che mi avevano presentato; non sapeva quindi chi fossi. Alla fine, si è avvicinato all’Oblato con quale stavo parlando e gli ha detto, riguardo a me: “Parla proprio come uno di voi! Semplice, con calma… Sembra proprio un Oblato!”. Che ci vuoi fare, abbiamo il marchio di fabbrica.

giovedì 10 marzo 2011

Cammino verso la Pasqua: la meta

È bello uscire di casa per sgranchirsi le gambe, prendere una boccata d’aria, divagare la mente, camminare per le strade, senza meta, guardare il cielo, la gente che passa, gli alberi in fiore, le vetrine della città. Ma non è un viaggio!
Un viaggio, perché sia tale, si protende innanzitutto verso una meta; nasce dalla domanda: “Dove andiamo?”. È la meta che attira con la sua potente suggestione. Più la meta è bella, lontana, più il viaggio si preannuncia allettante.
Come il viaggio appena iniziato della Quaresima, che corre verso la Pasqua, verso l’incontro con il Risorto. È lì che attende, come attendeva Maria di Magdala quella mattina presto, prima del sorgere del sole. Il cuore è giù puntato lì, sulla meta, su Lui.
Troppo seducente la meta per non protendersi verso di essa, per perdersi per strada, per non accendersi del suo desiderio e bruciare dall’ansia di incontrarLo.

Nel pomeriggio solenne celebrazione al Collegio di Propaganda Fide, con il cardinal Diaz e Tomko per ricordare i 10 anni dalla morte di p. Marcello Zago. Presenti il superiore generale OMI, i parenti, tantissimi concelebranti. «La missione era tutto per Mons. Zago – ha detto il card. Tomko all’omelia –. Quale missione e perché? Nel periodo in cui si discuteva molto sull'essenza della missione e sull'identità del missionario, per lui la Missione, quella con maiuscola, quella unica cosa che egli cercava nella vita, consisteva nella cooperazione al disegno salvifico di Gesù Cristo, anzi, era la continuazione della missione redentiva di Cristo stesso, come l'ha delineata e voluta il Salvatore: “Come il Padre ha mandato me (misit me - ha mandato me in missione), anch'io mando voi" (Gv 20, 21) . "Andate dunque e ammaestrate tutte le genti... Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28, 19-20). Per Mons. Zago la missione a cui si è consacrato era l'opera di Dio. Lui stesso lo confessa nel suo testamento: "Tutto quello che ho potuto compiere nella vita, è in realtà opera della Trinità, e noi siamo semplici cooperatori"». Per leggere tutta l’omelia clicca qui

mercoledì 9 marzo 2011

Con Lui

La Quaresima ravviva il senso del cammino, dello scorrere della vita.
Soprattutto del camminare con Gesù.
Non è tutto vano senza questo stare con lui?

martedì 8 marzo 2011

La coralità del carisma di Chiara Lubich


Oggi, volando, ho letto un piccolissimo straordinario libro, un gioiellino: Chiara mia sorella. Appaiono due profili sinceri e schietti, soprattutto quello di Gino Lubich. Lo ricordo soprattutto per la semplicità e “umiltà” con la quale mi accolse una volta che andai a trovarlo a casa, per preparare insieme la biografia di sant’Eugenio de Mazenod.
A causa della mia deformazione professionale mi piace riportare quello che dice della “spiritualità collettiva” come di una dimensione fondamentale dell’esperienza di Chiara e del suo movimento:
La differenza rispetto ad altri [fondatori] sta forse nella coralità. Cioè, se si dovesse scrivere la storia del movimento, mi pare che dovrebbe venire in evidenza la comunità. Ecco perché tante volte a me dava un po’ fastidio che si accennasse sempre ad una sola persona: mi pareva eccessivo, toglieva valore ad una storia che è stata comunitaria fin dall’inizio e non fatta solo da seguaci che fanno corona ad uno soltanto…
Io vedo il movimento come qualcosa di unito, di solido, in cui tutti hanno un loro ruolo importante, a parte quello di chi ha avuto l’ispirazione, tutti sono assolutamente necessari per capire il fenomeno. Togliere Chiara come il più sconosciuto dei focolarini nelle Filippine è inferirgli una ferita difficile da cicatrizzare. Forse non siamo ancora in grado di valutare questa realtà comunitaria, ma questa è la differenza secondo me tra l’Ideale dell’unità e tutti gli altri carismi. (p. 36-37)

lunedì 7 marzo 2011

Un tuffo nella storia.

Gli archivi possono essere una tomba, oppure sorgente di vita. Oggi sono stato nell’archivio degli Oblati a Marsiglia. Un tuffo nel passato, una ricchezza sconfinata di documenti, la testimonianza di due secoli di una divina avventura: un libro donato a sant’Eugenio dal suo primo compagno, con tanto di dedica; gli appunti di sant’Eugenio sulle visite alle prime comunità; i sigilli con il suo stemma; i documenti e gli scritti pieni di sapienza di un migliaio di Oblati che l’hanno seguito; le testimonianza dei missionari dell’Africa e dell’Asia… Ti senti parte di una vita che ha attraversato il tempo e che oggi giunge a te e che ti domanda di essere continuata e trasmessa. È una spinta forte che ti viene dal passato, da tanti fratelli, che ti incoraggio a prendere il testimone e a proseguire la corsa.

domenica 6 marzo 2011

Sotto il sole di Provenza

Sotto un sole radioso oggi Aix sfolgora i colori accesi della Provenza. Per le strade festose si respira aria di domenica. In uno dei controviali del corso le bancarelle espongono i prodotti artigianali e della terra, con tutta l’eleganza francese e il caratteristico tocco di una fine trasandatezza. I libri usati, esposti nella piazza del municipio, la rendono ancora più chic.
In mattinata il nostro “Colloque” si trasferisce in uno dei saloni dell’episcopio. Il vescovo non abita più nel palazzo vescovile che ha conosciuto Eugenio: un palazzo con i fiocchi; non per niente era l’unica dimora a chiamarsi “palazzo”, mentre tutte le altre case nobiliari erano “hotel”! Oggi quel palazzo storico è un museo. 
Frank Santucci ci fa conoscere l’intenso straordinario lavoro pastorale di sant’Eugenio vescovo di Marsiglia, Lorraine Sainte Marie l’evoluzione dell’insegnamento pastorale dell’università St-Paul, Luc Tardif l’impulso missionario dato da Sant’Eugenio ai suoi missionari in Canada.
Pomeriggio, ultimo trasferimento del “Colloque”, questa volta nella sala de Mazenod che dà sul chiostro degli Oblati, ed è il momento di un ampio dialogo tra tutti. Colloquio e giornata terminano con la messa nella chiesa della Missione, dove si canta in provenzale!!!
Sant’Eugenio continua a vivere e a spingerci a trasmettere la fede con coraggio e fantasia. 

sabato 5 marzo 2011

La trasmissione della fede nella vita e nel ministero di Sant’Eugenio de Mazenod


La signora Chéline-Pont, professore di storia all’università di Aix, ha aperto la mattinata con una lezione brillante sulla situazione della Chiesa dopo la Rivoluzione francese. Quando parlava di sant’Eugenio le brillavano gli occhi dalla gioia.
È così iniziato il nostro “Colloque” sul tema “La trasmissione della fede nella vita e nel ministero di Sant’Eugenio de Mazenod”. Organizzato da fr. Dominique Dossolin, responsabile del centro di spiritualità oblata ad Aix, il Colloquio apre le celebrazioni per i 150 anni della morte di sant’Eugenio. Seguiranno altre iniziative: il pellegrinaggio a Marsiglia, l’Oratorio su sant’Eugenio… vedi: www.150ans.oblatsaix.org
L’incontro si tiene nell’anfiteatro della Città del Libro, un grande centro culturale con al centro la biblioteca cittadina La Méjanes; una biblioteca nella quale forse sarà custodita la ricca collezione di scritti sulla Provenza e Aix che negli anni sono stati raccolti nella casa degli Oblati. A La Méjanes sono già custoditi tutti i documenti della famiglia de Mazenod, dal bisnonno del Fondatore in avanti, compresi tanti manoscritti di sant’Eugenio, come le lettere al padre; alcuni, assieme a delle stampe, sono esposti per l’occasione.
Il pranzo, a cui prendono parte molti dei convegnisti, è servito nel chiostro della casa oblata stupendamente restaurato.
Nel pomeriggio il programma riparte con il vescovo di Aix che parla della trasmissione della fede oggi a Aix. Nella mattinata era presente il vescovo di Marsiglia.
Nella seconda parte del pomeriggio con una conferenza a tre voci: Frank Santucci su come de Mazenod, da vescovo, ha trasmesso la fede nella sua diocesi di Marsiglia; io su come oggi gli Oblati continuano l’azione missionaria degli inizi: dove sono, cosa fanno, come lo fanno; la professoressa Lorraine Sainte Marie sul lavoro dell’università St-Paul a Ottawa per la trasmissione della fede. Lorraine, arrivata ieri sera dal Canada, è vestita modestamente, come è arrivata… la valigia si è persa in qualche aeroporto!
Circa 200 i partecipanti, che intervengono, durante tutta la giornata, con domande e contributi. Tra loro amici e intellettuali. Conosco in particolare la responsabile del patrimonio culturale di Marsiglia, interessatissima a sant’Eugenio. A lei non interessa tanto la sua santità; per lei de Mazenod è soprattutto un grande urbanista che ha dato un timbro alla città di Marsiglia e sotto questo aspetto c’è ancora tutto da studiare… Verrà a Roma a consultare l’archivio della Casa generalizia!

Nella foto in alto: Chéline-Pont
Nella foto in basso: Lorraine Sainte Marie, Luc Tardif (parlerà domani), Frank Santucci, Dominique Dossolin