lunedì 18 aprile 2011

Il ritratto di una spiritualità / 3 - Semplicemente Oblato



Il quadro che ritrae p. Juanito ha un titolo: “Oblatus est quia ipse voluit”. È la frase che in alto domina la pittura, ma può essere considerato anche il nome di colui che vi è ritratto. Non è il nome di battesimo, Jean Maria Giuseppe Francesco, e neppure quello di famiglia, Bretault, ma piuttosto il nome che definisce la sua intera vita: Oblato! Quello che p. Joseph Rose ha voluto dipingere è semplicemente il ritratto di un Oblato.

La frase, “Si è offerto (questo il significato di Oblato) perché l’ha voluto lui stesso”, è tratta dal libro del profeta Isaia (53, 7), che parla del “servo del Signore” che prende su di sé i peccati del popolo e si lascia immolare, come un agnello innocente e silenzioso, al posto dei peccatori e dei malvagi. Sono parole che riprenderà Giovanni il Battista quando vede arrivare Gesù sulle rive del Giordano: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo” (Gv 1, 29). Oggi, la nuova traduzione della Bibbia, redatta sui testi originali, non usa più la parola “Oblatus”; dice piuttosto che “Maltrattato, si lasciò umiliare”, ma la sostanza è la stessa: quell’uomo misterioso di cui parla Isaia, preannuncia il Salvatore che, venendo nel mondo, si offre al Padre per compiere la sua opera, a costo della propria vita. Nessuno gli toglie la vita, dice Gesù parlando della propria morte, egli stesso la dona liberamente, lo vuole lui stesso, si offre tutto al Padre per noi. Gesù, così potremmo tradurre liberamente le sue parole, senza tradirle, è un “Oblato”, ha dato tutto e si è dato tutto al Padre, senza risparmio, per amore nostro, espressione dell’amore più grande, quello che sacrifica la vita per gli amici.

Cinquant’anni di donazione

Sul quadro, in alto, sono segnate due date: 1870-1920. La prima ricorda l’anno nel quale p. Jean Bretault, nello scolasticato di Autun in Francia, fece la sua professione perpetua o, come si diceva e si dice ancora tra gli Oblati, l’oblazione. Quel giorno, come ogni anno dal 1844, si cantò “Sacrificio d’amore”, nel quale che diceva, fra l’altro: “Un cuore ardente e puro s’immola a Dio. / Vittima di salvezza, / Dio Salvatore dell’umanità, / per seguirti sul Calvario / alla mia libertà rinuncio. / La tua croce sarà la mia speranza, / il tuo esempio la mia legge: / amore e sofferenza / possano crocifiggermi con te!”.
La seconda data, 1920, ricorda i cinquant’anni d’oblazione. Fu in quella occasione che p. Joseph Rose dipinse il quadro del più anziano missionario del Sud, ormai famoso, come si legge in un articolo di quell’anno, pubblicato sul “Southern Messenger”: “Il nome di Francesco Saverio non è più famoso in Asia di quello di p. Juanito sulle sponde del Rio Grande”. In un altro articolo dello stesso giornale è riportata la cronaca del giubileo d’oro. La festa  si tenne al noviziato, dove il vecchio missionario si trovava a riposo dal 1929. Era “ultima reliquia della famosa squadra di Padri nota come la cavalleria di Cristo, che per cinquant’anni, a prezzo di incredibili sacrifici, ha tenuta viva nei cuori dei poveri Messicani la scintilla della fede che covava sotto la cenere. (…) Le sue esperienze non sono mai state messe per iscritto, ma costituiscono uno dei più straordinari capitoli del Libro della Vita. Quarant’otto anni a cavallo attraverso cactus e boscaglie desertiche, poi trasformate in una magica valle dall’intraprendenza degli Americani”.
Con stile poetico il giornale continua a narrare della celebrazione, tenuta il 15 agosto: “Se gli Oblati non avessero celebrato quell’anniversario, le pianure e le colline della Valle dei Rio Grande, attraversate in lungo e in largo sul fedele destriero, le antiche acacie e gli alberi spinosi alla cui ombra cucinava il suo magro pranzo e riposava con la sella per cuscino, avrebbero protestato contro tanta ingratitudine. Gli Oblati invece hanno celebrato la festa, e che celebrazione! P. Juanito apparve grande e venerabile, quella mattina del 18 agosto 1920, indossando vesti nuove, con un calice nuovo in mano, dono dei suoi fratelli Oblati. Come cantò, nonostante i suoi settanta sette anni. Trenta Padri a far corona attorno, decorazioni di muschio spagnolo, messa del glorioso giubileo, pranzo di festa… tutto per Padre Juanito”.
Un gruppo di compagni di p. Jean Bretault
allo scolasticato di Autun
in occasione della loro ordinazione sacerdotale
nel 1867

Il senso dell’oblazione

Mentre p. Joseph Rose dipingeva il quadro avrà pensato anche alla propria oblazione, avvenuta il 19 agosto 1897, a Hünfeld, in Germania. La sua, a differenza di quella di p. Juanito, a seguito dei nuovi ordinamenti canonici, era stata preceduta da un anno di professione semplice. L’oblazione lo aveva segnato per tutta la vita, informando il suo sacerdozio missionario. Proprio in occasione dei 50 anni dalla sua ordinazione sacerdotale, scriverà al superiore generale che, “essendo prima Oblato e poi prete”, aveva potuto comprendere quale fosse il suo “dovere”: “consacrare la mia vita, come Oblato, all’evangelizzazione dei poveri”.
Questa parola, oblazione, ha finito per indicare non soltanto l’azione di consacrazione attraverso i voti, ma la persona stessa dei missionari – Oblati – come pure la loro vita e la loro missione.
Gli Oblati, sotto una spinta misteriosa della grazia dello Spirito, e in risposta all’appello di Gesù che li chiama a seguirlo, si donano completamente a Dio, amato sopra ogni cosa, si abbandonano alle sue mani. La totale donazione a lui si trasforma in donazione altrettanto totale alla Chiesa, alla gente, alla missione, diventando espressione del lor amore verso tutti.
Siamo nella più pura spiritualità cristiana: ognuno è chiamato ad essere un altro Gesù che tutto si dona: tutti Oblati, come lo è lui! Il “tutto è compiuto” di Gesù sulla croce è la prova di come l’intera sua vita sia stata un’oblazione di tutto se stesso al Padre e al suo progetto d’amore, fino all’ultimo istante. Sono le parole che sentiamo riecheggiare nella Regola di sant’Eugenio: “sacrificarsi… fino alla morte”.
Si può lavorare alla salvezza del mondo soltanto se si è Gesù il Salvatore. Egli ci ha salvato non quando ha parlato o fatto miracoli, ma quando, nella croce, si è offerto senza né parole né miracoli, ma con l’oblazione della vita. Così la nostra oblazione: essere uniti al Signore al punto da divenire un altro lui e come lui “vivere” in una costante offerta di sé, fino a poter dire al Padre, insieme a lui: “Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte… Ecco, io vengo a fare la tua volontà” (Eb 10, 8-9). Così si diventa veramente corredentori di Cristo: si è missionari perché si è Oblati.

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