venerdì 13 maggio 2011

La Pasqua e gli amori di sant’Eugenio – La famiglia

«Adoro la mia famiglia – scrisse prima di entrare in seminario. Mi lascerei fare a pezzi per alcuni familiari, e questo vale per molti perché darei la mia vita senza esitare, per mio padre, mia madre, mia nonna, mia sorella e i due fratelli di mio padre»; «persone che amo di più di quanto pensino, anche se a volte devo essere distaccato da affetti troppo umani».
Il nonno da piccolo lo teneva sulle ginocchia ed era fiero di sentirgli dire: “Lo voglio”, con una determinazione che in quel bambino denotava già un carattere forte. “Ha stoffa – diceva –. È proprio di razza. Ne faremo un presidente!”. Eugenio lo amava.
La nonna lo adorava. Eugenio le era grato per le fette di salame che gli faceva trovare a colazione, per quando lo accompagnava a vedere le battute di caccia e soprattutto per la tenerezza del suo amore. Sognava di andare a vivere con lei, una volta diventato prete. «Vi amo più di me stesso – le scrive – e più di diecimila me stessi, perché darei diecimila volte la vita per voi… Potrebbero amputarmi braccia e gambe senza che io versi una sola lacrima, ma ne verserei molte al solo ricordo delle persone a me care…»; «E quale vedova mi è più cara della mia tenera e buona nonna; per la quale darei così volentieri la mia vita, e della quale dovrei accrescere la gloria in cielo e la gioia sulla terra, in proporzione del mio amore per lei?».
La madre
Quante lettere alla mamma, quante lettere al papà… Li ha amati e li ha amati ancora di più quando hanno dovuto separarsi tra di loro. Non era stata tenera la vita con la famiglia de Mazenod: l’esilio, la povertà, la lontananza forzata dei suoi membri. Quando, ventenne, Eugenio torna in patria, si riunisce alla madre, ma si stacca dal padre, al quale scrive: «Vi amo come me stesso, e amo gli zii come amo voi...». Come gli pesa questa lontananza, l’essere «separato dalle persone che sono parte di me stesso». «Non è vita, cari amici – scrive ancora al padre e agli zii rimasti a Palermo –, quella in cui vediamo passare i nostri giorni a trecento leghe gli uni dagli altri. Ci pensiamo? E possiamo a sangue freddo formulare il crudele progetto di rivederci solo nel giorno della risurrezione? Stiamo distruggendo per quanto è in noi l’ordine stabilito dall’Autore della natura che non ha potuto volere, facendoci dello stesso sangue, che noi ci ostinassimo a vivere separati…». Sentiva forti i legami di sangue.
Il padre
È cresciuto insieme con la sorella Eugenia. Da vescovo continuerà ad andare a trovarla spesso e lei sarà là, accanto al suo letto, nel momento della sua Pasqua. Una volta che lei si era allontanata da casa per passare qualche giorno nella casa di campagna di Saint-Julien le aveva scritto: «Oh! Mia cara amica, ritorna, ti supplico. Sono come un pesce fuor d’acqua. Non ho mai amato molto la campagna, ma oggi l’aborrisco perché tiene lontano da me tutto ciò che amo».
Con i parenti, gli amici. Ne ha avuti tanti, da César de Chastellux a Emmauel Gaultier de Claubry, da Forbin Janson a padre Tempier. Il mio cuore, annotava descrivendo il proprio carattere, «ha bisogno di amare, e siccome coltiva l’intimo sentimento dell’amore più perfetto, non sarà mai appagato dalle amicizie ordinarie di cui si accontenta la maggior parte degli uomini; tende ad un’amicizia che, per dirla in una parola, di due esseri ne forma uno solo».
Hai amato famiglia e amici, Eugenio. Vieni, benedetto dal Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per te fin dalla creazione del mondo.

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