venerdì 3 giugno 2011

Viaggio in Sud Africa / 7 – Durban



L’autostrada scende da Cedara verso Durban. 1000 metri di dislivello. Dalla montagna al mare. Da una temperatura di 0 a 26 gradi. Non vi sono né viadotti né gallerie. La strada serpenteggia seguendo i rilievi delle colline con discese ripide. I monti si perdono in distanza, con sfumature di colori, nelle foschie del mattino. Abeti, pini, boschi di eucaliptus assieme ai caratteristici alberi delle zone aride, con la parte superiore della chioma dal netto taglio orizzontale. Dopo alcuni chilometri lasciamo l’autostrada per seguire l’antica via tra le “1000 colline”, una delle più belle zone paesaggistiche, tra le principali attrazioni turistiche della zona.
Ci fermiamo a Inchanga, dove gli Oblati, nel 1920, aprirono la prima parrocchia della zona. Nel 1928 divenne la prima sede del noviziato. Due anni dopo costruirono una scuola. Ad accoglierci il giovane parroco oblato. La vecchia chiesa è ormai in pessime condizione e una nuova è stata costruita accanto. Fuori della porta un gruppo di donne prega e canta. “Perché non vanno dentro”, domando. “Perché sono più contente di pregare fuori!”.
Nella vecchia grande casa degli Oblati c’è ora una comunità di suore domenicane zulu a servizio della parrocchia: si occupano di ragazze in difficoltà, di ragazze madri, dei poveri, seguono un centro per malati terminali… Il giovane Oblato zulu ha altre cinque cappelle da seguire, disseminate sulle colline e nelle vallate. Altre sette parrocchie dei dintorni, affidate agli Oblati, hanno ognuna altrettante o più stazioni missionarie.
Riprendiamo il viaggio addentrandoci sempre più tra le colline che si distendono in paesaggi da cartolina. Le attrazioni turistiche propongono manufatti, danze e canti zulu, ma noi puntiamo dritti verso Durban, fermandoci soltanto, per un salutino, dalle Canonichesse Agostiniane. “Noi”, ossia p. Alain e io. P. Alain: nativo di Durban; la famiglia originaria del Mozambico; ha studiato in Inghilterra, Francia, Stati Uniti, Italia; professore di storia all’Istituto teologico di Cedara (un pezzo grosso…  in tutti i sensi!).
Tappa obbligatoria il monastero di Mariannhill, alle porte di Durbn. Nel 1888 vi arrivarono i Trappisti, dall’Austria, e si trasformarono in missionari, utilizzando il metodo benedettino: fattorie, falegnamerie, tipografie, sartorie… proprio “ora et labora”. Staccatisi dai Trappisti si sono sparsi in mezza Africa e in altre parte del mondo. L’originario monastero, con chiesa, chiostro e laboratori, sembra proprio trapiantato di sana pianta dell’Austria.
È già primo pomeriggio quando a Pinetown, una cittadina alle soglie di Durban, vado a visitare la famiglia di Eliana, una ragazza che ha frequentato per quattro estati il corso dell’ISC e che ora è focolarina a Roma. Una piccola bella rimpatriata presso i genitori di origine italiana, venuti qui quando, una quarantina d’anni fa, l’industria tessile era al massimo del suo apogeo.
Quanti ce ne entrano in una macchina?
Finalmente ecco Durban, la grande città. Con i suoi più di 3 milioni di abitanti, si distende lungo la grande baia, uno dei più grandi porti naturali. Andiamo dritti alla cattedrale, costruita dal secondo vescovo della diocesi, Oblato come il primo. Tutti i vescovi di Durban sono stati Oblati, fino a Mons. Denis Eugene Hurley, che si ritirò nel 1992, dopo una cinquantina di anni di episcopato. Aveva guidato la Chiesa del Sud Africa, come presidente della conferenza episcopale negli anni esaltanti del Concilio Vaticano II e in quelli drammatici dell’Apartheid. Il successore, l’attuale cardinale Mapier, per la prima volta non è un Oblato, ma un Francescano (ma è Oblato il vescovo ausiliare!). Nella cattedrale c’è anche una vetrata con Santa Caterina de Ricci (qui con una sola “c”).
Sono impressionato dall’affollarsi della gente lungo le strade e dalla loro vivacità. Cerco inutilmente di vedere se c’è in giro un “viso pallido”. Un po’ di mosche bianche le trovo invece sul lungo mare… ossia, sul lungo oceano, l’Oceano Indiano! Una bellissima passeggiata di oltre un chilometro, prima di venire alla casa provinciale degli Oblati.
Mi fa un certo effetto festeggiare oggi, proprio qui in Africa, il martirio di Carlo Lwanga, arso vivo il 3 giugno, assieme ai compagni in Uganda. Aveva promesso al giovanissimo Kizito: “Io ti prenderò per mano, se dobbiamo morire per Gesù moriremo insieme, mano nella mano”. Così ci si fa santi, mano nella mano.

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