domenica 31 luglio 2011

Sei sempre presente

La terra vista del cielo? È sempre bellissima. Anche oggi ho navigato nel cielo d’Italia, su terre e mari… Per la prima volta ho ammirato la laguna davanti a Ronchi dei Legionari, in Friuli dove terra e mare si confondo. Com’è bello il creato!
Poi in macchina da Trieste a Calje in Slovenia, attraverso selve e boschi verdi e freschi, con le montagne che salgono maestose in lontananza… Come sono belle le creature.
Poi arrivi qua a ritrovi vecchi amici venuti da tutto il mondo… Com’è bella l’umanità creata.
E infine, al chiudersi della giornata, entri nella cappella e qua, lontano da casa, ti ritrovi a casa perché è Lui è qui che ti aspetta, come in ogni angolo del mondo. Com’è bello il Creatore!

sabato 30 luglio 2011

Ciò che sazia l'anima

“Non il molto sapere sazia e soddisfa l’anima, ma il sentire e gustare le cose internamente”. Queste parole degli Esercizi spirituali appaiono sulla quarta di copertina del libro 100 pagine di Iganzio di Loyola, tutte gocce di sapienza che scendono dritte al cuore e saziano la mente, Il titolo del libro, Cristo come un sole, richiama l’immagine simbolo della Compagnia di Gesù. Sul sito di Città Nuova, ella presentazione del libro, vi è la domanda di rito: “Ma, chi è Ignazio? Un pellegrino, tutto proteso alla ricerca della volontà di Dio? Un grande riformatore della Chiesa?”. Non c’è invece la domanda: “Chi è Paolo Monaco, curato del libro?”. Questa domanda non si pone neppure perché è a tutti noto che Paolo Monaco è il redattore della rivista internazionale “Unità e Carismi”. Domani sera, 31 luglio, nella festa di sant’Ignazio, le otto differenti redazioni linguistiche si incontreranno in Slovenia per il loro consueto attesissimo convegno.

venerdì 29 luglio 2011

Il Crocifisso del Novecento

Jean-Michel Alberala parlando delle terribili crocifissioni di Francis Bacon, dove Gesù è ridotto a carne da macello, afferma: “Per me, non si tratta più della crocifissione nel cattolicesimo, è semplicemente il corpo dell’uomo occidentale dopo Auschwitz”.
È così. Nel Novecento il Crocifisso, nella maggior parte dei dipinti, non esprime più il divino, ma l’umano. È lo specchio dell’umanità devastata dal senso di smarrimento davanti alle guerre, dai genocidi, dalle ingiustizie.
Edvard Munch nel 1893, quando dipinse il suo quadro più famoso, Il grido, sembrò anticipare il sentimento tragico del Novecento. L’artista ne rievoca le origini: «Passeggiavo con due amici quando il sole tramontò. Il cielo divenne all’improvviso di un rosso sangue. Io mi fermai, mi appoggiai stremato a un parapetto. Il fiordo di un nero cupo, bluastro, e la città erano inondati di sangue e devastati dalle fiamme. I miei amici proseguirono il cammino, mentre io, tremando ancora per l’angoscia, sentii che un grido senza fine attraversava la natura». All’inizio del nuovo secolo,  nel 1900, in Golgota, ritrae se stesso nel Cristo sulla croce: il grido che aveva sentito mentre passeggiava lungo il fiordo, lo sente riecheggiare nuovamente nel grido di Gesù sulla croce.

giovedì 28 luglio 2011

La Crocifissione di Renato Guttuso

Quale pittore si è sottratto al fascino, al mistero, al dramma, all’ossessione dell’uomo dei dolori che si è addossato il patire del mondo condividendolo con le persone più emarginate e dolenti? Sembra l’attuazione della profezia di Zaccaria “Guarderanno a colui che hanno trafitto” (12, 10), che Giovanni ricorda nel suo vangelo proprio quando vede la crocifissione di Gesù (19, 37).
Ci saremmo aspettati una crocifissione da Renato Guttuso, pittore ufficiale del partito comunista italiano? Nel suo diario, datato ottobre 1940, annota: «Questo è tempo di guerra: Abissinia, gas, forche, decapitazioni. Spagna, altrove. Voglio dipingere questo supplizio del Cristo come una scena di oggi. Non certo nel senso che Cristo muore ogni giorno sulla croce per i nostri peccati... ma come simbolo di tutti coloro che subiscono oltraggio, carcere, supplizio, per le loro idee... ». Nel disegno preparatorio uno dei carnefici a cavallo presenta le fattezze di Hitler. 

mercoledì 27 luglio 2011

Chagall: l'ossessione del Crocifisso

A Roma avevo visitato una mostra di Chagall. Avevo l’impressione di essere rapito in aria, come la sua fidanzata, e di volteggiare nel cielo, legato alla terra appena da un filo, di mirare i paesaggi dall’alto, di confondermi tra uccelli e violini.
Mi ha colpito un piccolo quadro nascosto dietro una colonna: un carro passa veloce davanti a un casolare di campagna quando, d’improvviso, da dietro la casa appare un Crocifisso in una strana posizione orizzontale.
Il Crocifisso - un ebreo confuso tra gli altri ebrei, con il talled come perizoma - appare spesso nei suoi quadri, quasi un’ossessione: ti può apparire ovunque e quando meno te lo aspetti. Infatti il quadro che ha attirato la mia attenzione si intitola L’ossessione.
«Per me Cristo – spiega il pittore – ha sempre simboleggiato il vero tipo del martire ebreo. Ciò è quanto ho compreso nel 1908, quando ho utilizzato l’immagine per la prima volta... Ero sotto l’influenza dei pogrom. Poi l’ho dipinto e disegnato nelle raffigurazioni dei ghetti, circondato dai tormenti ebraici, da madri ebree che corrono terrificate tenendo in braccia dei figlioletti».

martedì 26 luglio 2011

Gioacchino e Anna, nonni materni

Gioacchino e Anna, i nonni materni di Gesù!
Anche per lui i nonni erano sempre i nonni.
Se non ci fossero bisognerebbe inventarli.
Anch’io, come Gesù, ho quelli materni. Non sono belli?

lunedì 25 luglio 2011

Sulle isole Frioul

L’aereo che mi riporta a Roma parte soltanto a sera. Ho una giornata per poter visitare Marsiglia. Dalla stazione san Carlo mi dirigo verso la Canebière. Sono subito alla grande chiesa di san Vincenzo de Paolo, che fa da cattedrale. È una delle ultime chiese costruite da sant’Eugenio. Entro, e con grande sorpresa (non siamo nella Francia scristianizzata?) la trovo gremita di gente per la messa domenicale. Cantano accompagnati dall’organo, partecipano con convinzione… Una grande bella testimonianza di un popolo che crede.
Scendo lungo la Canebière verso il porto. “Se Parigi avesse la Canebière, sarebbe una piccola Marsiglia”, dicevano una volta. In effetti è un bel corso, affollato in questa domenica mattina piena di sole. Tra africani e nordafricani si può incontrare ancora qualche francese.
Sarei voluto andare alla cattedrale per celebrare sulla tomba di sant’Eugenio, ma la domenica la cattedrale di Marsiglia è chiusa…
Mi hanno consigliato di visitare le isole di Frioul, pochi chilometri davanti alla città. I battelli fanno la spola in continuazione. Appena lasciamo il vecchio porto e ci immettiamo in mare aperto le onde burrascose danno inizio alle danze dell’imbarcazione. Il blu del cielo si confonde con quello delle acque, mentre il Mistral (il nostro maestrale) fa da re. 
Passiamo accanto alla prima isola, quella di If, resa famosa grazie al romanzo di Alexandre Dumas, Il conte di Monte Cristo. Il castello dal quale il conte” riuscì a fuggire la domina e la occupa quasi tutta. Sbarchiamo nel porticciolo turistico di Frioul, creato nel 1974: solo qualche ristorante e tante barche. Parto subito all’esplorazione, con un vento così forte che a momenti è difficile rimane in piedi senza aggrapparsi a un appiglio. L’isola è un luogo ancora incontaminato, riarso, i rilievi tormentati: calanche, spiagge e insenature, calette isolate, strapiombi, rocce e terreni aridi.
Salgo in alto, fino al forte militare abbandonato: le rovine sono maestose. Da lassù vedo quello che rimane dell’antico ospedale Caroline, dove nel 1800 le navi che provenivano dall’Africa con ammalati di febbre gialla si fermavano per la quarantena. L’aveva benedetto il vescovo sant’Eugenio.
Ma soprattutto da lassù la vista sulla città di Marsiglia, dominata dal santuario di Nôtre Dame de la Garde. Il vento ha reso l’aria tersissima. Lo spettacolo è di una bellezza impagabile.
È ora di tornare. Una visita brevissima alla Madonna de la Garde, il santuario della città fatto costruire da sant’Eugenio, e poi via all’aeroporto… dove l’aereo per Roma non arriva. Va bene lo stesso, voleremo su un piccolo aereo dell’Air Corse! 

domenica 24 luglio 2011

Aix-en-Provence, che città!


Aix-en-Provence, missione compiuta. Tre giorni con questo straordinario gruppo di giovani a parlare della nostra vocazione, prima che prendano la decisione per tutta la vita. Giorni intensi, che non mi hanno impedito, la sera, di fare una passeggiatina per questa città elegantissima, tutta zona pedonale, ricca di palazzi, negozi, bancarelle, ritrovi, punti d’incontro. Sembra che la gente – forse i turisti, ma non solo – non abbia altro da fare che godersi la città. Sant’Eugenio ha scelto proprio bene la città dove nascere e dove vivere.

sabato 23 luglio 2011

Una svedese a Roma


22 luglio, festa di santa Brigida di Svezia.
Chiesa e casa di santa Brigida a Roma, in piazza Farnese
Madre di otto figli, una volta morto il marito e sistemati gli otto figli poté obbedire alla sua vocazione e partì per Roma. I motivi erano molteplici: partecipare al giubileo, sol­lecitare presso la Curia romana la conferma papale dell’ordine a cui aveva dato vita, e soprattutto lavorare per il ritorno del papa da Avignone. La partenza avvenne all'inizio dell'autunno del 1349: Brigida non avrebbe più rivisto la sua patria.
I Paesi che Brigida attraversò erano in quel tempo sconvolti dalla peste nera. In Italia la prima tappa fu a Milano, poi Pavia e Genova dove i pellegrini si imbarcarono e prosegui­rono il viaggio per mare fino a Ostia. Da Ostia i pellegrini raggiunsero Roma a piedi, fa­cendo sosta alla basilica di San Paolo. Brigida e i suoi trovarono alloggio all'albergo del­l'Orso, sulla riva sinistra del Tevere, di fronte a Ca­stel Sant'Angelo. Il fratello di papa Clemente VI, allora ad Avignone, la invitò nel gran­de palazzo adiacente alla chiesa di San Lorenzo in Da­maso.

Brigida accettò l'invito e si trasferì con i suoi accompagnatori nel vasto appartamento al primo piano, dove abitò per quattro anni.
Come trascorreva le sue giornate a Roma la princi­pessa svedese? Dormiva otto ore, le quattro ore prima della mezzanotte e le quattro dopo la mezza­notte. Quat­tro ore per pregare. Due ore per il pasto di mez­zogiorno. Sei ore a lavori neces­sari, consentiti o richiesti. Due ore per i vespri, la preghiera della sera e altre pre­ghiere. Ampio spazio avevano nella sua giornata an­che le visite ai luoghi sacri romani, in particolare le sette chiese' e le catacombe della via Appia.

Nel XIV secolo Roma era una città trascurata e in decadenza. Alle devastazioni del terremoto del 1348m che aveva provocato pesanti danni ai monumenti e al­le abitazioni, si aggiungeva la difficile situazione in­terna: ruberie, brigantaggio, estrema libertà di costu­mi. Ciò era in gran parte dovuto all'assenza del papa e all'anarchia che ne conseguiva. Roma era anche di­laniata dalle lotte tra i Colonna e gli Orsini e coinvolta nelle sommosse di Cola di Rienzo.
I pellegrini che visitavano le tombe degli apostoli venivano aggrediti e derubati, alle donne veniva usa­ta violenza. Le chiese di Roma erano in rovina. In San Pietro e in Laterano le greggi pascolavano nell'erba che arrivava fino all'altare. Sulle colline del Campidoglio veniva coltivata la vite, il Foro era stato trasformato in orto e pascolo, gli obelischi egiziani giacevano a ter­ra, spezzati e semisepolti. “I santuari della città – scrisse la santa -, dopo che i tetti sono crollati e le porte di­velte, sono divenuti le latrine di uomini, cani e bestie. Un tempo c'erano dei santi… Oggi però si è colti da tristezza vedendo come sono degradate e non più seguite queste rego­le che un tempo Agostino, Domenico e Francesco sta­bilirono per ispirazione dello Spirito Santo…”
Faceva molte elemosine ma altre volte lei stesse aveva bisogno di chiedere elemosina. Non si vergognò di farlo insieme ad altri mendicanti davanti alla chiesa di San Loren­zo in Panisperna.
Dopo quattro anni di soggiorno nel palazzo del car­dinale Hugo di Beaufort, Brigida fu costretta a cercare un nuovo alloggio per sé, la figlia – santa Cristina – e il seguito: Un in­viato del cardinale le comunicò infatti, piuttosto bru­scamente, di liberare l'appartamento nel giro di un mese. 
Nella Chiesa di santa Brigida
Una vedova romana di nome Francesca Papazzuri le offrì la propria casa nelle vi­cinanze di Campo dei Fiori e della chiesa di San Lo­renzo in Damaso. In questa casa, comoda, spaziosa e cinta da un solido muro, Brigida vis­se fino alla morte con la figlia e con i sacerdoti che l'accompagnavano.

Domenica scorsa sono stato in piazza Farnese dove si trova la casa. Entro nella chiesa. Le suore brigidine sono in preghiera, cantano il vespro con solennità e calma. Chiedo di visitare le stanze della santa. Mi invitano a suonare alla porta accanto alla chiesa. Una suora angelica (l’accento tradisce la provenienza nordica della suora, è finlandese) mi introduce nella stessa casa dove ha vissuto la santa, ora ampliata e ri­strutturata. Del 1300 sono rimaste soltanto due stanze, quella di Brigida e quella della figlia Caterina, entrambe trasformate in cappella. Il soffitto è quello di allora, per il resto le due stanze sono affrescatissime il gusto è decisamente romantico) con scene della vita della santa. Tutto è ovattato da un’atmosfera rarefatta, quasi da favola. La suora diafana non mi permette assolutamente di fotografare. Lo capisco, guasterei quel clima d’incanto. E ricordo le parole della rivelazione: Io stesso voglio abitare nel tuo cuore. Ecco fin dove ti amo. I cieli e la terra e tutte le cose in essi contenute non possono contenermi; eppure voglio abitare nel cuore tuo, ch'è solo un pezzo di carne. Che dunque potrai temere allora e di che aver bisogno, se avrai in te Dio potentissimo, nel quale è ogni bene?”

venerdì 22 luglio 2011

Il più bello dei dialoghi: “Maria”, “Maestro”

Maddalena, nella chiesa della Maddalena
a Roma
Maddalena, nella chiesa della Missione
ad Aix-en-Provence

Ad Aix, come in tutta la Provenza, c’è una grande devozione per santa Maria Maddalena. Anche noi, nella chiesa della Missione, la ricordiamo con gioia. Nella nicchia accanto all’altare c’è una sua bella statua. Non posso non ricordare un’altra sua bellissima statua che ho visitato pochi giorni fa nella chiesa della Maddalena a Roma, proprio accanto al Panteon. Anche qui ad Aix c’è una chiesa della Maddalena, purtroppo chiusa per restauro. È lì che sant’Eugenio, sacerdote novello, iniziò la sua predicazione alla gente semplice del popolo, la mattina presto, con quell’esordio famosissimo: “Poveri di Gesù Cristo, afflitti, disgraziati, sofferenti, infermi, piagati..., voi tutti oppressi dalla miseria, fratelli miei, miei cari fratelli, miei rispettabili fratelli, ascoltatemi. Voi siete i figli di Dio, i fratelli di Gesù Cristo, i coeredi del suo Regno eterno, la porzione scelta della sua eredità; voi siete, come dice S. Pietro, la nazione santa, voi siete re, voi siete sacerdoti, voi siete, in qualche modo, dèi”
Cominciò la sua opera di missionario nella chiesa della Maddalena perché era la sua chiesa parrocchiale, ma forse anche perché Maria di Magdala è stata la prima missionaria, “Apostola degli Apostoli” come la chiama la chiesa ortodossa. A lei apparve per primo il Risorto e a lei affidò l’annuncio di dire ai suoi discepoli che era risorto. Perché proprio a lei? Forse perché amava il Maestro come pochi l’amavano. Quel dialogo tra i due, nell’orto, è il più bello dei dialoghi: “Maria”, “Maestro”; un solo chiamarsi per nome tra due che si amano.

giovedì 21 luglio 2011

Ci sono ancora giovani che si donano a Dio

Perché di nuovo ad Aix? Perché sono qui radunati 21 giovani Oblati si preparano alla loro professione perpetua, o come diciamo noi, all’oblazione. Provengono dall’Europa, dagli Stai Uniti, dallo studentato internazionale di Roma. Analoghi incontri si stanno svolgendo in Africa, Asia, Sud America. Sto con loro tre giorni soltanto e parlo loro proprio dell’oblazione, parola che traduce l’esperienza dello Spirito della nostra Famiglia religiosa, il nostro modo particolare di vivere la consacrazione, la comunità e la missione. Essa è l’atto fondamentale della vita dell’Oblato, il momento in cui egli si dona totalmente e per sempre a Dio, in risposta alla sua chiamata e si lascia da lui consacrare in un mistero di alleanza e di amore sponsale che trova la sua fecondità nel ministero apostolico dell’evangelizzazione. È l’atto con il quale si dona alla Chiesa, ai poveri, alla missione.
Ho letto loro una lettera di sant’Eugenio ad un giovane che si era appena consacrato a Dio: "Eccoti consacrato a Dio per la vita e anche oltre, con la tua oblazione… Nostro Signore Gesù Cristo, nostro comune maestro, ha ricevuto i tuoi giuramenti, ti ha adottato e ti ha segnato col sigillo che ci costituisce quello che siamo, perché i legami della più intima carità ci uniscano… Mio caro figlio, abituati subito ad avere una fiducia senza riserva in Dio. Bisogna essere completamente generosi con questo Padre così buono che, nello stesso tempo è così grande e così potente. Nessuna riserva quando ci si dà a Lui. Egli conosce i tuoi bisogni, conosce i legittimi desideri del tuo cuore e non c’è bisogno di nient’altro. Con ragione vuole che ci reputiamo tanto onorati, che siamo tanto felici di essere ammessi nel segreto dell’intimità dei discepoli privilegiati che, in cambio e per riconoscenza, ci diamo a lui senza riserve e senza condizioni… Ti sei consacrato a Dio, alla sua Chiesa, alla Congregazione. Affidateti a Lui per tutto il resto. Egli saprà ispirare ciò che è giusto a chi di dovere" (18 agosto del 1843).

La mia stanza dà sul corso Mirabeau. Spettacolo bellissimo!

mercoledì 20 luglio 2011

Ritorno ad Aix-en-Provence

A Roma l’aereo parte con notevole ritardo perché all’aeroporto di Bordeaux stanno facendo dei lavori su una pista. Perché poi dovrò passare per Bordeaux, sull’Atlantico, per arrivare a Marsiglia sul Mediterraneo? Misteri dell’Air France. Sul mare uno spettacolo d’incanto, in pieno sole, con le nostre isole. L’assistente di volo viene a tranquillizzarmi: anche se siamo in ritardo nessun problema, tanto l’aereo che va a Marsiglia è quello su cui stiamo viaggiando. A Bordeaux invece piove e fa abbastanza fresco. Ma sto lì giusto in tempo di scendere dall’aereo e risalire, tutto a piedi, sotto l’acqua. Ma verso Marsiglia ecco di nuovo il sole che illumina montagne e coste.
Sono di nuovo ad Aix-en-Provence. Cosa mi riserveranno questi giorni? Penso proprio una bella sorpresa!!! Vedremo…
Intanto padre Celso dall’Africa ma manda una solo foto: è proprio lui, in piena sintonia con la natura!

Tutte di Dio e piene di gioia

La Cassia mi porta su è giù per valli e colline versi e assolate. Gli antichi paesi si disegnano sugli speroni di rocce: Sutri, con le sua tombe scavate nelle rocce, Capranica, fino a Vetralla, cittadina dalle lontana origine etrusca, risale al X ed il IX secolo a.C. Quando i romani la distrussero tra il V ed il IV secolo, la popolazione si rifugiò nella vicina Forum Cassii. La Vetralla di oggi è quella risorta in periodo altomedievale. Gli Orsini e molte delle più importanti famiglie delle Tuscia se ne contesero il possesso, gli Anguillara, i Borgia i Cybo, i Farnese.
Circondata dai boschi che si arrampicano sulle falde del Monte Fogliano e del Monte Panese, Vetralla si inserisce armoniosamente nell’ambiente aumentandone il fascino un po’ misterioso.
Pochi passi nel borgo medievale con la piazza della Rocca, il Duomo, la chiesa di San Francesco, con l’antica cripta a sei navate, i Palazzi della nobiltà cittadina, il Palazzo Comunale…
Ma la meta è appena fuori paese: il Carmelo. Dalla metà del 1600 era ubicato nell'antica Rocca dei Vico, superbo castello medievale, prima di essere totalmente distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale. Fu ricostruito nel 1945, adattando la villa dello scultore Canonica. Le Carmelitane avevano avuto profondi rapporti spirituali con san Paolo della Croce, fondatore dei Passionisti. Un segno dell’attuale fecondità spirituale delle carmelitane vetrallesi è la fondazione del Monastero S. Giuseppe di San Giovanni La Punta (CT). Sì, ci sono ancora le monache! Ci sono ancora donne che si danno tutte a Dio… e sono piene di gioia!!!

lunedì 18 luglio 2011

19 luglio, Roma brucia

19 luglio 64, Roma brucia, L’incendio è scoppiato nella notte tra le baracche di legni presso il Circo Massimo. Divampa per cinque giorni  distruggendo 10 dei 14 distretti che costituiscono la città.
Le voci dicono che sia stato l’imperatore, Nerone, ad appiccarlo. Qualcuno afferma di aver visto dei pretoriani nel cuore della notte passare per le strade con torce in mano. Per porre fine alle dicerie, Nerone getta la colpa sui cristiani. Il base alle Leggi delle dodici tavole, gli incendiari erano puniti con la pena capitale. Lo storico Tacito racconta che per uccidere i cristiani “si ricorse a mezzi pieni di scherno, quali: rivestirli di pelle di animali selvatici per farli divorare dai cani, crocifiggerli, o dare loro fuoco e lasciarli ardere come fiaccole a tarda notte, fino all’alba”. Paolo e Pietro sono rinchiusi nel carcere Mamertino (andremo a trovarlo), da dove vengono prelevati per l’esecuzione della pena capitale. Sulla via Ostiense vengono separati (in quel luogo un tempo sorgeva la chiesa della Separazione): Pietro viene crocifisso, Paolo decapitato. Andremo sui luoghi del loro martirio.
Quale la data del loro martirio? Bisognerà andare sui luoghi del martirio per saperlo. Ma a noi piace che il calendario romano pone la festa dei santi il 29 giugno: era la festa dei fatidici fondatori di Roma, Romolo e Remo, ora sostituiti dai fondatori della Roma cristiana.

domenica 17 luglio 2011

Grano e zizzania

Lasciate che grano e zizzania crescano insieme fino alla mietitura
Vorremmo una Chiesa di puri e di giusti. Così come vorremmo ogni nostra famiglia, ogni nostra comunità, ogni nostro ambiente di vita e di lavoro composti da persone a modo, brave, giudiziose. Quante volte vorremmo distinguere nettamente grano e zizzania, buoni e cattivi, e operare una giusta separazione per liberarci una volta per tutte dallo scandalo del male.
Mi chi ci ha costituiti giudici dei nostri fratelli e sorelle?
Siamo poi così sicuri di sapere dove passa la demarcazione tra bene e male, tra buoni e cattivi?
Gesù, che sapeva discernere a colpo sicuro il grano e la zizzania, invece di strappare quest’ultima si è posto dalla sua parte: andava in cerca dei peccatori.
Almeno il suo campo avrebbe potuto ripulirlo! Invece no. Ha saputo convivere con i peccatori. Ha lasciato che Giuda restasse tra i Dodici, fino all’ultimo.
Nel suo campo ha lasciato anche i due ladroni. Proprio all’ultimo uno di loro, zizzania, si è convertito in grano. Prima che avvenga la mietitura possono accadere tante cose, anche che la zizzania si converta in grano..
Siamo chiamati a convivere con tutti, con pazienza e tolleranza, con amore e speranza.

sabato 16 luglio 2011

Quell’esperienza continua

Dopo il blog di ieri...

Grazie Fabio per questo messaggio. Forse potevi citare anche il mio fondatore, Giuliano Eymard. Alla fine della sua vita disse che la più grande grazia della sua vita era stata una fede viva nell'Eucaristia. Ma nell'esperienza di Chiara c'è in più la relazione con gli altri.

Stamattina ho fatto questa esperienza: entrando in chiesa per la messa pensavo all'entrata di Chiara in Paradiso e mi chiedevo cosa sarà stato?!?! Dopo aver fatto la comunione Gesù mi ha rapita, mi ha fatto sentire il suo amore di sposo, un tempo breve ma intensissimo, un granellino di Paradiso che avrei voluto non finisse, poi mi è tornato alla mente quando Chiara non voleva tornare a Roma e ciò che Foco le disse.
In Chiara per Gesù possiamo fare anche noi la stessa esperienza, mi è rimasta nel cuore un' immensa gratitudine.

venerdì 15 luglio 2011

16 luglio 1949: Il frutto di un rapporto sponsale

La cappella di Chiara a Rocca di Papa

All’origine di un carisma, c’è una luce che fa scoprire dimensioni nascoste del Vangelo, un’ispirazione per attuarlo in modo nuovo, un impulso a rispondere alle attese dell’umanità. È così che nasce un’opera nuova nella Chiesa. Ma da dove viene quella luce? Spesso dall’Eucaristia. In tutte le cappelle dei Paolini e delle Paoline sparse nel mondo, accanto al tabernacolo, campeggia la scritta: «Di qui voglio illuminare». Sono le parole che il fondatore, il beato Giacomo Alberione, si sentì rivolgere da Gesù. «Dal tabernacolo – racconta lui stesso – la luce, la grazia, i richiami, la forza, le vocazioni…». Ma anche Ignazio di Loyola nel Diario racconta che proprio dall’Eucaristia gli venivano le ispirazioni su come avrebbe dovuto camminare la sua Compagnia. La stessa Chiara Lubich potrebbe raccontarci le straordinarie illuminazioni che ebbe nel 1949 sulla sua “Opera di Maria”. Quelle grazie mistiche ebbero inizio il 16 luglio 1949 proprio come frutto dell’Eucaristia e continuarono nella comunione e nell’adorazione quotidiane. «Guardando il tabernacolo attendevo sul vuoto di me che Dio mandasse la sua Luce», ella scrive, chiamando quella luce “cibo” per l’anima sua e per quella di tutti i suoi seguaci, tanto la nutriva.

Eppure quando Chiara si volge indietro a guardare il proprio cammino carismatico non si sofferma ai momenti straordinari che Dio le diede di sperimentare nel 1949, ma ad un rapporto molto più semplice, quotidiano con Gesù Eucaristia. Ricorda episodi concreti, incantevoli, come d’una innamorata, che lasciano intravedere una convivenza intima, un colloquio ininterrotto. Si accorge, con sorpresa, che l’opera alla quale ha dato vita è il frutto d’un legame sponsale con quel Gesù che ogni giorno si è donato a lei per farla carne della sua carne, sangue del suo sangue, anima della sua anima. Lui è diventato la sua vita e la sua luce.
Potrebbe essere la storia di ognuno di noi, perché tutti siamo chiamati a dar vita a qualcosa di bello. Basterebbe lasciarsi illuminare dalla “luce del mondo”, nutrici del “pane di vita”, intrattenersi a tu per tu con Colui dal quale sappiamo essere amati. Il lavoro, la scuola, la famiglia, l’esistenza stessa, da situazioni monotone e insignificanti, diventerebbero luoghi creativi, capaci di suscitare opere grandi o di far compiere gesti semplici, sempre comunque atti a edificare una società più bella. Anche noi potremmo raccontarci ciò che è nato dal rapporto d’amore con Gesù eucaristia, quell’“affare tra lui e noi”.

giovedì 14 luglio 2011

Se si è fatto santo lui…

Nato da una donna di sessant’anni (!), con un padre il giro per il mondo a fare il capitano di fanteria nella tristemente celebre masnada di Fabrizio Maramaldo (aveva partecipato al Sacco di Roma), praticamente nessuno riuscì ad educarlo.
A tredici anni Camillo era già un piccolo ribelle irriducibile. Morta la madre il padre se lo portò dietro da un presidio militare all'altro e gli trasmise la passione per il gioco dei dadi e delle carte, l’atteggiamento da bravaccio involgarito.
Quando il padre morì, mentre a 70 anni suonati cercava di arruolarsi nella guerra contro i Turchi, lasciò soltanto la spada e il pugnale.
Camillo era considerato da tutti "fantastico, liberotto e bizzarro". Scendendo sempre più in basso, finì con l’arruolandosi in bande malfamate.
A Napoli, scampato ad un naufragio, si giocò tutto: la liquidazione del congedo, la spada, l'archibugio, i fiaschi della polvere il mantello.
Finì randagio come un cane, vagabondando senza meta, rubando, elemosinando davanti alle chiese con "infinito rossore".
Prova a fare l’infermiere nell'Ospedale romano di S. Giacomo, ma avevano dovuto cacciarlo via perché era soprattutto "malato di molto terribile cervello": attaccabrighe, prepotente, negligente, sempre alla ricerca di soddisfare la passione del gioco. Di notte si calava dalle finestre per andare a giocare a carte fino all’alba con barcaioli e facchini.
Che ci fai con una persona così? Un santo!
Se si è fatto santo Camillo de Lellis possiamo farci santi tutti!

Nella giorno della sua festa sono stato a celebrare nella chiesa della Maddalena, vicino al Panteon, dove san Camillo è sepolto. Perché san Camillo è un mio amico da vecchia data! Ho concelebrato con altre due amici, Donato, figlio di san Camillo, e Joao de Aviz, il nuovo prefetto della congregazione dei religiosi in Vaticano.

Nell’affresco della volta nella sagrestia Camillo è accolto in cielo da San Filippo Neri… ma in terra le cose non sono andate così bene.
Quando Camillo disse a Filippo che voleva fondare un ordine per il servizio dei malati questi, che era suo confessore non ne volle sapere; lo conosceva bene, cosa poteva venir fuori di buono da uno come Camillo… Se si è fatto santo lui…

mercoledì 13 luglio 2011

Non quanti, ma come

Rina ha compiuto 99 anni, e li porta bene! “Perché mi fanno tutta questa festa?”, mi ha chiesto questa mattina. “Non lo sanno che non conta il numero degli anni, ma come si vivono?”

martedì 12 luglio 2011

Un monumento per un acquaiolo

La storia è fatta di grandi e piccole storie. I monumenti di solito rappresentano i grandi fatti, ma ci sono monumenti anche per quelli piccoli, come la fontana del facchino in via Lata.
Il Vanvitelli l’attribuisce a Michelangelo, ma sembra di Jacopo Del Conte, su incarico della Corporazione degli Acquaroli. Rappresenta infatti uno di quegli uomini che, fino a quando, alla fine del ’500, Gregorio XIII ripristinò gli acquedotti, prendeva l’acqua dalle fontane pubbliche e la rivendeva porta a porta.
Pare che un tempo vi fosse un'iscrizione latina che diceva: "Ad Abbondio Rizio, incoronato sotto le pubbliche grondaie, espertissimo nel legar bagagli e caricarseli sulle spalle, che trasportò quanto volle, visse quanto potè, e mentre portava un barile di vino dentro e un altro fuori, senza volerlo morì". Anche un ignoto acquaiolo (il nome Abbondio Rizio è forse una delle tante fantasie popolari) merita il suo monumento.  
Spesso di notte (di giorno bisognava pagare la tassa), come i suoi colleghi, andava a riempire botti e botticelle dell'acqua alla fontana di Trevi e di giorno andava ad offrirla per le strade e le case risparmiando alla gente, dietro modesto compenso, la fatica e la scomodità di rifornirsi.
Con tutte le fontane di Roma e romani avevano bisogno d’acqua? Sì perché nel 537 quando i Goti non riuscirono ad espugnare la città interruppero tutti gli acquedotti che, benché in seguito fossero riparati, non 
furono più efficienti come al tempo della Roma antica.
Quando passate per via del Corso non dimenticatevi di bere l'acqua buona di questa fontana... e pensate alla gente piccola...

lunedì 11 luglio 2011

Sopra una scorza di betulla

La febbre aveva mietuto vittime e il povero missionario Oblato, p. Bonnald, si era moltiplicato invano per assistere la sua gente Trascinato nella slitta dai cani, dopo giorno di viaggio, era giunto in un villaggio che pareva il regno della morte. In una capanna c’erano undici cadaveri, ognuno dei quali aveva in mano una scorza di betulla, la carta dei paesi polari. Tema un residuo di superstizione… poi guarda meglio e legge: “Solo il Padre deve leggere le linee seguenti”. Non potendo confessarsi avevano tracciato su quel fragile foglio di betulla i loro peccati.


Mi è capitato tra mani un vecchio libro sugli Oblati, del 1920, dove ho letto questo racconto, noto, ma sempre commovente.

domenica 10 luglio 2011

Il seminatore uscì a seminare...

“Un contadino che non sa il suo mestiere!”, avrà detto la gente sentendo Gesù che raccontava la parabola del seminatore: Parte cadde lungo la strada, parte sul terreno sassoso, parte sui rovi… “Proprio non sta attendo a dove getta il seme…”
È davvero così. Strano seminatore Gesù: si rivolge a tutti, semina la sua parola nel cuore di tutti, senza distinzione di persona, senza puntare al risultato (che verrò comunque, perché la Parola di Dio è più forte, ha in sé la vita, nessuno e niente possono fermarla: “è viva e porta effetto”).
Chi lo sa poi qual è il terreno buono e quello cattivo? Mai lasciarsi condizionare dalle apparenze. 
Ama, donati, servi tutti, senza preferenze, senza esclusioni. Nel campo del Signore un sasso può trasformarsi in terra buona, un rovo può morire e lasciar posto al grano… Noi seminiamo, al resto ci pensa Lui!



venerdì 8 luglio 2011

Zdenek Cizkovsky, pittore e altro

Durante la guerra era stato in campo di concentramento in Germania, ma era riuscito a fuggire. Nel 1948 lascia la sua patria, la Cecoslovacchia, ormai in mani sovietiche: tre anni di tour in Europa lavorando come pittore, pianista, nel circo, talvolta facendo anche l'accattonaggio. Poi in cerca d’oro e di diamanti in Sud Africa, dove rimane 40 anni. Lì diventa Oblato, lavora come missionario tra gli Zulu, diventa cappellano in un ospedale di Durban, e infine parroco nella parrocchia di Pinetown. È qui, a Pinetown, in casa di una famiglia della sua parrocchia, che trovo due dei suoi quadri. Scopro così un altro Oblato pittore. Dopo il 1990, caduto il muto di Berlino, torna al suo paese e si dedica a ripristinare la presenza degli Oblati a Kromeriz e Klpkoty.

“In Sud Africa, racconta lui stesso, non ho trovato né oro, né diamanti, ma a poco a poco ho scoperto una fede più profonda. Ero già credente prima: andavo in chiesa, ogni tanto pregavo il rosario con mia mamma, ma per il resto nulla. In Sud Africa, ho deciso di studiare per diventare sacerdote! Ho fatto il noviziato dagli Oblati, ha studiato teologia e sono stato ordinato. Ha imparato l'inglese da donna nera; credo di essere stato il suo primo e ultimo studente bianco. Ho migliorato il francese, il tedesco, lo zulu.
Il termine Zulu significa Cielo. In realtà gli zulu sono persone celestiali. Gli uomini sono belli, robusti, grandi, come pure le belle donne. Sono entrato nella loro vita, nella loro mentalità, ho lavorato con i neri, vissuto tra loro. Una volta sono andato in ritiro da qualche parte e ho dimenticato di chiudere la casa. Quando sono tornata, ho trovato qualcuno che dormiva davanti alla porta: ogni sera avevano dormito lì in modo che nessuno potesse. Mi piace molto l’Africa.
Ho vissuto una vita drammatica ma non sono un avventuriero, non ho mai desiderato terre lontane. Tutto è accaduto per caso. Anche il mio sacerdozio. Mia madre era convinto che mio fratello sarebbe diventato prete, ma alla fine si sposò. Allora le chiesi: "Che dici di me, mamma, sarò prete?". "Non dire bestemmie!", mi rispose”.

Dopo la sua morte (26 novembre 2004) è apparso un libro sulla sua vita e la sua esperienza in Sud Africa: PALÁN, Aleš. Než krokodýl spolkne stín. Kostelní Vydří: Karmelitánské vydavatelství, 2005.

mercoledì 6 luglio 2011

La prima foto di santa Maria Goretti

Famiglia Cristiana ci regala la prima foto di Maria Goretti, appena ritrovata.
E Pio XII un suo bellissimo pensiero su di lei:
“Come tutti sanno, questa vergine inerme dovette sostenere un'asprissima lotta:
improvvisamente contro di lei si scatenò una torbida e cieca bufera, che cercò di macchiare e violare il suo angelico candore. Impegnata in tanta battaglia avrebbe potuto ripetere al Redentore divino le parole dell'aureo libro dell'Imitazione di Cristo: «Se sarò tentata e tormentata da molte tribolazioni non temerò finché sarà con me la tua grazia. Essa è la mia forza; essa mi dona consiglio e aiuto. È più forte di tutti i nemici». Così sostenuta dalla grazia divina, a cui corrispondeva generosamente, donò la sua vita, ma non perse la gloria della verginità”.
(Dal «Discorso per la canonizzazione di santa
Maria Goretti» di Pio XII)

martedì 5 luglio 2011

La storia vera

La mamma Assunta
davanti alla salma di Maria
Il 5 luglio 1902 il quotidiano L’Avvenire cambiava testata e si intitolava L’Avvenire d’Italia. Quante cose su un giornale ogni giorno. Chi poteva dare notizia, il giorno seguente, di uno di quei 4000 omicidi che si commettevano ogni giorno in Italia, con metà popolazione di quella attuale. Proprio quel 5 luglio si era compiuto una di quei tanti delitti passionali, ma tra gente di nessun valore, in una campagna povera dell’agro romano… “Mi accostai a Maria e la invitai a venir dentro – confessò Alessandro. Essa non rispose, né si mosse. Allora l’afferrai… per un braccio e, facendo essa resistenza, la trascinai dentro la cucina… Essa intuì bene quello che io volevo e mi diceva: “No, no, Dio non vuole; se fai questo vai all’inferno”. Vedendo che non voleva accondiscendere…, andai sulle furie e, preso il punteruolo, cominciai a colpirla… Lei mi rimproverava e si dimenava…, esclamando sempre: “Che fai, Alessandro? Tu così vai all’inferno…”. Io ricordo di aver visto anche del sangue sulle vesti e di averla lasciata mentre essa ancora si dimenava, ma capivo bene che l’avevo colpita mortalmente”. Chi ricorda più le tante notizie sulla prima pagina dei giornali di quel giorno… Tutti ricordiamo santa Maria Goretti. Chi è che fa veramente la storia?

lunedì 4 luglio 2011

Macché piramide d’Egitto!

A Roma, come ti muovi, ti vedi sbalzato attraverso i secoli. Oggi pomeriggio mi è bastato recarmi in un ufficio al Testaccio ed eccomi d’improvviso nel cimitero inglese acattolico, detto anche “Cimitero degli stranieri”, “Cimitero dei protestanti”, o “Cimitero degli artisti e dei poeti”, gestito da rappresentanti di 14 ambasciate. Tra pini, cipressi, mirti, allori e piante scolpite, quattromila lapidi raccontano altrettante storie degli ultimi tre secoli, dal fisico Pontecorvo a uno degli assassini di Rasputin, dal ragazzo tedesco ucciso da Vittorio Emanuele di Savoia a uno dei ragazzi di Via Panisperna, da Antonio Gramsci a John Keats, Percy Shelley, Antonio Labriola…
Da questo luogo d’incanto una visione straordinaria della piramide fatta costruire da Caio Cestio come suo mausoleo, tra il 18 e il 12 a.C. Alta 37 metririvestita con marmo di Carrara, sta lì, addossata alla porta san Paolo, silenziosa e misteriosa tra il traffico rumoroso della città, oasi di pace, punta al cielo e richiama, insieme ai sepolti tra il verde, all’eterno, che davvero mai non passa. 

domenica 3 luglio 2011

Un amore puro

Era una mattinata movimentata, quando un anziano gentiluomo di un'ottantina di anni arrivò per farsi rimuovere dei punti da una ferita al pollice. Disse che aveva molta fretta perché aveva un appuntamento alle 9. Rilevai la pressione e lo feci sedere, sapendo che sarebbe passata oltre un'ora prima che qualcuno potesse vederlo. Lo vedevo guardare continuamente il suo orologio e decisi, dal momento che non avevo impegni con altri pazienti, che mi sarei occupato io della ferita. Ad un primo esame, la ferita sembrava guarita: andai a prendere gli strumenti necessari per rimuovere la sutura e rimedicargli la ferita. Mentre mi prendevo cura di lui, gli chiesi se per caso avesse un altro appuntamento medico dato che aveva tanta fretta. L'anziano signore mi rispose che doveva andare alla casa di cura per far colazione con sua moglie. Mi informai della sua salute e lui mi raccontò che era affetta da tempo dal morbo di Alzheimer. Gli chiesi se per caso la moglie si preoccupasse nel caso facesse un po' tardi. Lui mi rispose che lei non lo riconosceva già da cinque anni. Ne fui sorpreso, e gli chiesi: «E va ancora ogni mattina a trovarla anche se non sa chi è lei?». L'uomo sorrise e mi batté la mano sulla spalla dicendo: «Lei non sa chi sono, ma io so ancora perfettamente chi è lei». 
Ho letto questa esperienza sul sito di Città Nuova. Mi è sembrata troppo bella per non condividerla. Un amore puro.

sabato 2 luglio 2011

Cuore accanto a Cuore

Duecento anni fa, il 1° maggio 1810, sant’Eugenio mandava una lettera alla mamma con tre immagini dei Cuori di Gesù e di Maria: «… Ne ho messe tre nella carta velina: una per voi, una per nonna, una per Eugenia. Le tirerete fuori l’una dopo l’altra e, se volete, le metterete nei vostri libri di devozione, ricordando che, onorando il Sacro Cuore di Gesù, andiamo ad attingere l’amor di Dio alla fonte e, rendendo omaggio al cuore di Maria, è come ricordarle tutta la tenerezza che ci ha dimostrato sul Calvario quando il suo divin Figliolo ci ha consegnati a lei per essere suoi figli…».
La Chiesa, ogni anno, continua a inviarci una lettera con questo duplice dono, il Cuore di Gesù e il Cuore di Maria. È arrivata puntuale anche quest’anno! Amare il Cuore di Gesù con il Cuore di Maria...

Un grazie particolare a Habel Nsolo, Oblato del Congo, che con la poderosa tesi dottorale difesa in questi giorni al Marianum (“Alle origini della spiritualità mariana de Missionari Oblati di Maria Immacolata”) ci ha aiutato a riscoprire la bellezza della nostra vocazione. È una risposta alla richiesta che Giovanni Paolo II aveva rivolto agli Oblati nel 1986: “Vi invito a considerare di nuovo il posto della Vergine Immacolata nella vostra vita personale, nelle nostre comunità e nel nostro lavoro missionario”.

venerdì 1 luglio 2011

Ama col Cuore

Oggi, uno di quei giorni che non vorresti passassero mai, 
perché mette a fuoco l’amore infinito di Dio, 
di un Dio che ama col Cuore!