martedì 6 settembre 2011

Viaggio in Ucraina / 3 – Il monastero ortodosso e le sue icone


Nelle due “ore d’aria” del pomeriggio mi sono diretto alla ricerca della chiesa ortodossa che ieri aveva intravisto dall’altura. Mi avvio sulla strada regionale, ottima per una bella camminata: attraversa la foresta ed è percorsa da poche macchine. Quando trovo il cartello con l’indicazione del monastero (le scritte in caratteri cirillici non sono facili da decifrare, ma almeno la parola “monastero” la capisco) lascio la strada maestro e vado verso il nuovo paese. Passo lungo povere case di contadini, incontro donne con i grandi fazzoletti, ragazzi che giocano nei campi, fino ad un avvallamento dove si erge una chiesa bella, completamente restaurata da sembrare nuova. Nuovo è invece il monastero, costruito nello stesso tempo di libertà di quello degli Oblati. Entro nella chiesa, splendente di colori come tutte le chiese ortodosse, ascolto i canti e le preghiere della comunità di monaci, tutti giovani, bacio le icone, immagini della parola di Dio (nel linguaggio orientale l’icona si “scrive”, non si “dipinge”).
Dopo che il Verbo si è fatto visibile nella nostra natura umana, abbiamo bisogno di “vedere” anche con gli occhi del corpo, oltre che con la fede. Secondo Giovanni Damasco «Gli apostoli videro corporalmente il Cristo, le sue sofferenze ed i suoi miracoli, ed udirono le sue parole: ed anche noi desideriamo vedere, udire ed essere proclamati beati. Quelli videro faccia a faccia, poiché egli era presente corporalmente. Ma noi, poiché egli non è presente corporalmente, attraverso i libri udiamo le sue parole. Così, allo stesso modo, attraverso la pittura delle immagini contempliamo l’effigie della sua figura corporea, dei suoi miracoli e delle sue sofferenze, siamo santificati e confermati, gioiamo, siamo proclamati beati e prestiamo rispetto, onore e venerazione alla sua figura corporea… E perciò, come attraverso le parole sensibili noi udiamo con orecchie corporee e pensiamo le cose spirituali, così attraverso la visione corporea ci eleviamo alla visione spirituale».
Oriente e Occidente, scrive Daniel Ange, in questo devono tenersi per mano. «L’Oriente mi dice: “Vieni e vedi!”; l’Occidente: “Ascolta e cammina!”. L’Oriente: “Noi lo vediamo come Egli è!”; l’Occidente: “Sappiamo ciò che siamo!”. L’Oriente: “Ciò che i nostri occhi hanno visto”; l’Occidente: “Ciò che le nostre mai hanno toccato”».

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