martedì 20 dicembre 2011

Viaggio in India: un futuro pieno di speranza







19 dicembre
Mi accolgono con una ghirlanda di fiori gialli e arancio, mi pongono il minio sulla fronte per illuminarmi la mente, mi fanno danzare davanti una candela posta su un piatto di fiori per illuminarmi il volto… Mi trovo a Pune, nella sede del secondo scolasticato oblato dell’India. Sono partita in mattinata da Chennai con scalo a Bangalore. In volo sfoglio la rivista della compagnia aerea; c’è uno speciale di 40 pagine sul Natale: non una parola di Gesù! Che tristezza. L’aereo arriva in ritardo, ma i due Oblati mi aspettano all’aeroporto con pazienza, il tempo in India è relativo. In serata parlo a lungo con i sei scolastici e i due padri sugli studi oblati.

20 dicembre.
Presiedo la Messa nella cappella con la piccola comunità. Sulle spalle, come abito liturgico, lo scialle tipico indiano. Ho modo di conoscere meglio la vita della comunità. La comunità oblata più vicina è… quella Dacca nel Pakistan! Altrimenti bisogna andare a Bangalore: 24 ore di treno. Non si scherza con le distanze. Quando sono partito da Chennai, il provinciale, assieme a quattro dei nuovi diaconi, partiva per una delle nostre missioni al nord: avrebbe impiegato 40 ore, 30 in treno, 10 in pullman.
Sono esattamente 93 gli Oblati in India. Altri 20 che lavorano all’estero. Sono presenti in 9 stati dal sud al nord. Sono soprattutto in ambienti rurale e poveri, spesso con le tribù indigene. Un’altra volta andrò a trovarli, nell’India profonda…
Vi è inoltre un bel numero di giovani in formazione: 42 nel giuniorato, 57 in filosofia, 8 in stage, 6 novizi, 32 scolastici. Tutti e 145 si troveranno insieme dopo Natale a Chennai: chissà che festa. 
Questa mattina un amico della comunità viene a prenderci con la macchina per un breve giro della città (gli Oblati hanno soltanto biciclette). La prima impressione è di una città ordinata e vivibile (sempre secondo gli standard indiani!), almeno in confronto a Mumbai. Almeno qui non si vedono gli scenari di miseria scandalosa e brutale di Mumbai. Comunque anche qui per guidare occorre una patenta speciale, perché siamo nel regno della giungla pura: l’unica norma è l’assenza di norme; l’importante è cavarsela. Il clima è mite, essendo agli inizi della zona montana del Daccan.
Iniziamo la visita dal palazzo dell’Aga Kan, dove Gandhi fu imprigionato per più di due anni, da quando nel 1942 il Congresso invitò gli Inglesi a “lasciare l’India”. Nel grande parco vi sono le tombe della moglie e del segretario, morti lì in quegli anni, e le ceneri dello stesso Gandhi portate li dono la sua morte. Questa città, per 20 anni, fu la sede della sua azione politica.
Una lunga scalinata di pietra ci porta ad un antico tempio hindu su una collina al centro della città. A Pune sono pochi i templi così grandi, mentre la diffusione di quelli minuscoli, di una sola stanzetta lungo la strada, o di una semplice edicola, sono numerosissimi. Il tempio rimane comunque abbastanza secondario, essendo l’hinduismo una religione familiare: tutti in casa hanno l’angolo per il proprio culto quotidiano.
Infine il forte Shanwar Wada del grande eroe della regione, Shivaji.
Al ritorno una bevanda di canna da zucchero, rara in questa stagione, che mi preparano su una di queste bancherelle dove un marchingegno rudimentale tritura le canne e ne fa uscire il succo. Sui cibi occorrerebbe un capitolo a parte: sopravvivo egregiamente.
In serata evento culturale… me riparliamo domani.

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