domenica 5 febbraio 2012

La prima volta in Guinea Bissau


3 febbraio 2012
Alle 5 del mattino mi sveglio con la nenia del muezzin che trasmette con l’altoparlante a tutto volume un disco che declama le sure del Corano; continua per una buona mezzora, accompagnato dal raglio degli asini, dal canto di galli.
Albeggia appena quando ci rimettiamo in viaggio. Destinazione Guinea Bissau, un Paese che non ho mai visitato prima d’ora.
A Tambakunda puntiamo verso sud. Me l’avevano descritta come la grande città dell’est. A me Tambakunda sembra una distesa di case e baracche disseminate ovunque senza un apparente ordine. Le strade sono in terra battura; soltanto la via principale che percorriamo è asfaltata, percorsa da un gran traffico di carretti triati dagli asinelli. Bastano pochi minuti e l’abbiamo già lasciata alle spalle.
Entriamo nella regione di Casamance. La natura si fa sempre più ricca di vegetazione e di verde, nonostante siamo nella stagione secca. La strada invece sembra un cratere lunare. Il traffico è quasi inesistente. D’improvviso sulla strada deserta appaiono soldati armati fino ai denti che pattugliano la zona, appoggiati da mitragliatrici montate su mezzi blindati. Tutti i militare incontrati ai posti di blocco sono stati gentilissimi.
Appena attraversato il fiume ci fermiamo nel villaggio di p. Daniel Mane. I carré delle diverse famiglia sono separati da stuoie intrecciate con canna di bambù. Al loro interno una capanna per ognuno dei figli con la rispettiva famiglia.
La mamma di Daniel, che parla francese, ci accoglie con grande festa. Lentamente il parentato si raduna. Gironzolo un po’ attorno per vedere la vita quotidiana del villaggio: i piccoli fuochi, le donne che battono il miglio o che tornano dal pozzo con la bacinelle d’acqua sulla testa, i bambini in perenne festa… La povertà si legge ovunque, la stagione della pioggia è stata scarsa, come scarso è stata la raccolta del miglio.
Ripartiamo in fretta perché la strada è ancora lunga.
Appaiono intanto le prime risaie, ancora aride, in attesa della stagione della pioggia, quando si rivestiranno di verde.
Giunti a Tanaf voltiamo a sinistra e siamo su confine con la Guinea Bissau. Il controllo dei militare è semplice e sbrigativo. Penso saremo gli unici a passano il confine in tutta la giornata. Bastano poche centinaia di metri e la scena cambia: i militari del nuovo Paese sembrano usciti dell’armata Brancaleone. Il controllo dura più di un’ora e passiamo indenni soltanto dopo l’intervento dell’ufficiale maggiore da cui dipende questa postazione che siamo riusciti a rintracciare per telefono. La strada ora non è più asfaltata ma una semplice pista di terra battuta.
È pomeriggio inoltrato quando finalmente siamo arrivata alla meta di oggi: Farim. Padre Carlo e fr. Étienne ci accolgono con grandissima festa. La casa ha il timbro artistico di p. Carlo, arredata con gusto, pulita, ordinatissima, con tante piante attorno. Che contrasto con la città di Farim.
Farim, la dicono città, ma secondo i nostri parametri è un povero villaggio di 5000 abitanti. Al tempo dei portoghesi, essendo un porto fluviale, costituiva un grande centro, ma adesso le antiche case coloniali cadono a pezzi e le nuove sono costruite con mattini di fango e tetti di lamiera. Nella strada principale ci sono ancora i lampioni di cinquant’anni fa, prima dell’indipendenza, ma la Guinea Bissau non ha più una rete elettrica come non ha una rete telefonica. Neppure nella capitale c’è l’elettricità. Ognuno deve industriarsi con gruppi elettronici, pile, candele… La prima compagnia per i cellulari è apparsa quattro anni fa. Tutte le strade della città sono sterrate. Non circola un’auto. Sembra di essere ripiombati indietro di un secolo.
Ma Dio Padre è buon con tutti e a questo popolo ha donato una natura meravigliosa: i grandi manghi sono in fiore e ogni altra frutta è a disposizione di ognuno; la vegetazione esplode ovunque in tutta la sua ricchezza, che compensa la povertà delle abitazioni e diffonde il senso della bellezza.
Dopo cena passeggio con Carlo per la cittadina, alla luce della luna. Andiamo fino al porto. Per strada poche persone che si intravedono appena. Qualche luce tenue appare da una finestra. Il bar dell’angolo è aperto e da qualche parte suona una musica. Il caldo nella giornata si è stemperato e in cielo brillano le stelle.

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