sabato 4 febbraio 2012

Ritorno in Senegal


2 febbraio 2012
Ieri sera riparto da Casablanca. È poco più dell’una di notte quando arrivo all’aeroporto di Dakar. Sono in anticipo sull’orario, non è venuto ancora nessuno a prendermi. Sono assalito da chi vuole aiutarmi e mi si attaccano come mosche. Chi vende schede telefoniche, chi offre il cambio di moneta senza commissione, chi vorrebbe prestarmi il cellulare per chiamare chi deve venire a prendermi, chi vuol trascinarmi verso il taxi o a cercare la macchina di chi pensano mi stia aspettando… Cosa non farebbero per un soldo!
Torno in Senegal dopo 25 anni, quante cose sono cambiate. A cominciare dalla casa degli Oblati nel quartiere Mermoz, dove arrivo in piena notte; 25 anni fa non c’era.
25 anni fa...
È il 2 febbraio, festa della presentazione di Gesù al tempio. Al mattino, a messa, rinnovo la mia donazione, assieme a tutti i religiose e le religiose del mondo.
Alle due del pomeriggio partenza: Pippo Giordano, superiore della delegazione, suo cugino don Michele in visita dalla Sicilia, Danilo Ceccato e io. Carichiamo il Toyota all’inverosimile, non soltanto con i nostri bagagli, ma con cassette di frutta, pomodori, sacchi di patate, materiale elettrico… niente in confronto a come sono cariche le auto e gli autobus che incontriamo in viaggio.
Prendiamo la strada n. 1, l’unica che porta fuori da Dakar. L’unica, per una città di 5 milioni di abitanti! C’è anche l’autostrada, ma si è fermata dopo 4 chilometri. È costata dieci volte di più di quanto costa in Algeria o in Tunisia: effetto corruzione; il terreno sul quale l’autostrada dovrebbe proseguire se lo sono già venduto per costruire abitazioni….
Occorrono due ore per uscire dalla città. Si cammina a passo d’uomo, consentendo agli ambulanti di affollarsi lungo la strada e vendere arachidi, biscotti, carte telefoniche, occhiali da sole, pezzi di ricambio per auto, caricatori di cellulari…
Per chilometri e chilometri la strada è fiancheggiata da un  mercato senza fine. Procedendo su corsie parallele abbiamo tutto il tempo di dialogare con i bigliettai dei minibus che stanno in piedi, sul predellino esterno, di dietro, e di salutare le persone che si affacciano ai finestrini e che ritroviamo tutte le volte che ci sorpassiamo a vicenda...
Puntiamo ad est, verso l’interno del Paese, continuando a seguire la nazionale n. 1. È la via più lunga per arrivare in Guinea Bissau, dove siamo diretti, ma l’unico modo per non attraversare il Gambia e il sud della successiva regione di Casamanse, insicura a causa della guerriglia e del banditismo.
Mano a mano che ci si inoltra nel Paese diminuiscono le auto e aumentano i carretti trainati da cavalli o asini. I grandi camion continuano ad essere frequenti, specie quelli che provengono o sono diretti nel Mali, Paese senza sbocco sul mare, che ha nel porto di Dakar il più vicino e sicuro punto di approvvigionamento. I villaggi si fanno più poveri, con case di fango e tetti di paglia. La savana ha un fascino misterioso. La stagione secca ha inaridito i pascoli, gli alberi vengono su stentati, le mandrie di vacche brucano erba secca e scavano in cerca di radici. I baobab si ergono qua e là maestosi, solitari anche quando raccolti in bosco. Con il disboscamento selvaggio il deserto avanza paurosamente da nord.
Ci fermiamo ad una delle tante bancherelle che si assiepano lungo i villaggi sulla strada. Compriamo dei meloni. Mentre risaliamo in macchina una giovane mamma mi si avvicina con un bambino in braccio e sorridendo mi dice: “Perché non si compra anche questo? Glielo do volentieri!”. Più in là, attorno al pozzo donne e ragazze tirano su l’acqua, scherzano tra di loro, poi partono con in testa grosse tinozze piene d’acqua e si inoltrano per i sentieri verso le case o i villaggi vicini.
Si fa notte e la guida richiede maggiore attenzione. A decine i camion e gli autobus fermi sulla strada, segnalati da frasche da frasche disseminate per terra: semiassi rotti, pneumatici scoppiati, motori in panne… Molti autisti passeranno la notte su ciglio della strada e hanno acceso dei fuochi.
I villaggi che incontriamo lungo la strada sono al buio. Soltanto qualche lampadina illumina l’uno o l’altro negozio. La gente sta tutta seduta fuori casa, su marciapiede: cena, chiacchera...
Sostiamo un momento a Koungheul, quanto basta per consegnare un documento alle suore francescane dei poveri. Non entriamo neppure in casa, ma è l’occasione per un saluto veloce a sr. Francesca e sr. Teresa. Rivedo il cortile dove 25 anni fa mi feci scattare una foto con un bambino… Davanti alla casa si erge adesso un grande complesso scolastico con internato per ragazze, che le suore hanno costruito in questi anni.
Sono le 22.00 quando arriviamo a Koumpentoum per passare la notte. Troviamo soltanto p. André Sene che ci ha preparato la cena; gli altri ci hanno già preceduto nella Guinea Bissau. Anche qui i ricordi si affollano impetuosi e mi rivedo, come fosse adesso, con Tonino Mazzeo, quando tutto iniziava. Appoggiato a un angolo della cucina il vecchio fucile che più tardi il sorvegliante impugnerà per fare la guardia alla casa.

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