sabato 10 marzo 2012

La bellezza del cielo… e di Cavaillon


L'isola d'Elba e il monte Capanne

Il chiostro e la cattedrale di Cavaillon in Provenza
Quanto volte ho spiccato il volo verso l’alto? È sempre un’esperienza nuova, il cielo non è mai lo stesso. A volte è limpido, a volte è cupo, a volte immerso nella foschia… E poi su, nell’azzurro, col sole che non si stanca di brillare e con un cielo dalle mille tonalità che non stancano mai. Vorresti salire ancora più su, più su…
Sotto, il mare di nubi, uniformi e piatte come un lenzuolo disteso, oppure distribuite come batuffoli ben ordinati o arruffati, magmatiche, o veli tesi, finissimi come trine…
Quando come oggi il cielo è terso e limpidissimo e il volo dell’aereo relativamente basso, mi incollo al finestrino e seguo le coste, le onde del mare, il disegno dei campi coltivati, i profili delle città e dei porti.
Riconosco luoghi visitati, a volte particolarmente cari: Ladispoli, il castello di Santa Severa, Santa Marinella, Civitavecchia, Orbetello con la Feniglia e il Monte Argentario, l’Isola d’Elba dominata dal monte Capanne (dove ho affinato la tecnica di sopravvivenza!), la Capraia, poi il mare aperto finché riappare la Costa Azzurra e infine Marsiglia, inondata di luce.
All’aeroporto vedo da lontano un grande catello: OMI. Non ce n’era bisogno, avrei riconosciuto a mille miglia di distanza i due Oblati che mi aspettano, anche se non li ho mai incontrati prima d’ora: hanno il marchio di fabbrica.
Fa ancora freddo anche se è mezzogiorno, ma il solo splende, come ci si aspetta che faccia sulla Provenza Provenza, e colora di rosso le catene di rocce basse che dominano il panorama. I noccioli in fiori annunciano la primavera vicina e la selvaggia macchia mediterranea disegna il panorama lungo la strada che ci porta verso nord.
Mi lascio attirare dall’indicazione di un arco romano e chiedo di seguire la freccia ed entrare nel centro della piccola cittadina che stiamo attraversando, Cavaillon. Due modesti archi di trionfo che anche qui i Romani hanno voluto innalzare, sulla strada che passava proprio sotto le rocce. Adesso che siamo qui perché non uno sguardo anche alla cattedrale, che già da lontano appare un gioiello d’arte romanica.
Siamo nel mezzo del giorno, ma la chiesa è aperta. Sono subito attratto da una cappella dorata con il busto del beato Cesare de Bus. “Cosa ci fa qui Cesare de Bus?”, domando ad una signora che fa la custode e la guida nella chiesa deserta. “Ma è nato qui!” “Non avevo mai pensato a dove poteva essere nato e poi non conoscevo Cavaillon. Conosco i membri della sua famiglia religiosa. Il superiore generale era mio compagno d’università”. “In effetti i padri che sono qui sono italiani…”. Ora naturalmente la cattedrale non è più tale, ma una semplice chiesa parrocchia (la cittadina, 25.000 abitanti, è un’unica parrocchia).
Il chiostro, silenzioso e raccolto, mi inviterebbe a restare… Così inizia la mia nuova avventura provenzale.

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