sabato 21 aprile 2012

Il Cottolengo profezia di una socialità nuova

Con alcuni degli ex studenti


La “Piccola casa della divina Provvidenza” si è svegliata questa mattina al sorgere di un sole splendente che nel cielo limpido fa brillare le alpi innevate che abbracciano la città di Torino.

Il convegno, nella mattinata, entra nel merito del tema. P. Lino Piana, padre della Piccola casa, “racconta” il carisma e la spiritualità di san Giuseppe Cottolengo, di cui è il 15° successore. Da profondo studioso, che tra l’altro ha pubblicato le fonti, ci aiuta a cogliere la “parola” e il messaggio che lo Spirito Santo ha affidato al Cottolengo per la Chiesa.
Come tanti altri santi della carità il Cottolengo era un uomo dell’azione e non della riflessione, che parlava con i fatti più che con gli scritti. Eppure sono rimaste alcune parole chiave e detti famosi che continuano a ispirare i suoi discepoli. Nella formula dei voti del 1834 definisce ad esempio la suore di vita attiva: “fedele serva dei poveri”. Nella vita contemplativa nella Regola n. 30 per i suoi eremiti invita: “Mente e cuore devono essere occupati da Dio e da cose spettanti la vita dell’anima”.
O ancora: “La preghiera è il primo e più importante lavoro della Piccola casa”, “Presenza di Dio”, “Provvidenza”, “Carità, carità”, “i poveri”…
Significative anche le sintesi dei contemporanei o nei documenti pontifici: si ricordano i suoi “monumenti della carità”; si afferma che le sue opere mostrano la “veridicità dell’amore di Dio”…
Vi sono anche parole evangeliche particolarmente care al Cottolengo che ha incarnato con fede carismatica: “Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”. Non mancano tanti altri aspetti come il senso della  vita contemplativa, l’anelito crescente alla santità, il senso del distacco da tutto…
La chiave di comprensione del  Cottolengo rimane però l’esperienza del 2 settembre 1827, quando si trovò davanti a una famiglia che vedeva morire tragicamente la mamma perché nessun ospedale volle accoglierla. Lì, nella condivisione di quel dolore, avvertì la chiamata a esprimere in modo nuovo l’amore di Dio per i poveri: “L’amore di Cristo ci spinge…”, nell’abbandono fiducioso alla divina Provvidenza. Questa parola paolina, interpretata in un modo particolarmente concreto, tutto personale, è proprio il cuore del messaggio del Cottolengo.

Suor Elda Pezzuto, vicaria generale delle suore del Cottolengo, racconta il percorso del carisma del Cottolengo in questi 180 anni. Sr. Elda che ha fatto la sua tesi sul Cottolengo proprio con me al Claretianum (qui nella famiglia del Cottolengo ho la gioia di incontrare 4 suore e 2 fratelli tra i miei studenti di una volta).
Il Cottolengo, spiega la suora, si è immedesimato con la sua opera, si è identificato con essa al punto che oggi quando si dice “il Cottolengo” si pensa più alle case sparse nel mondo dove la carità diventa vita, che non alla persona di san Giuseppe Benedetto Cottolengo, dimostrazione che il carisma è un’esperienza condivisa, è vita che si diffonde e che ha saputo ed è ancora capace di coinvolgere migliaia e migliaia di persone, soprattutto donne, “sintonizzate” con il suo progetto caritativo evangelico, in vita contemplativa e apostolica.
“La nostra Regola – afferma ancora la suora – è la Piccola casa!”. La regola, piuttosto che in uno scritto, il fondatore l’ha lasciata in un’opera. Guardando ad essa si comprende il senso di una vita e il modo di vivere il Vangelo. La Piccola casa racchiude e custodisce l’ispirazione carismatica.
Il racconto dei 180 anni si articola in quattro percorsi:
- La fecondità del carisma del Cottolengo nella Chiesa e per la Chiesa
- La diffusione storico-geografica
- La fedeltà al carisma, al primato di Dio, alla carità, alla comunione evangelica
- Il costante sviluppo in aderenza ai tempi e alla vita della Chiesa.

Nel pomeriggio “fuochi d’artificio”: dai molti istituti che si sono ispirati al Cottolengo la testimonianza di quanto ha prodotto la medesima linfa della carità nella sua straordinaria creatività. La comunione dei carismi, in questo caso è favorita in maniera straordinaria.

Una suora anzianissima, mi ferma e con voce tremante mi ringrazia per l’intervento di ieri e mi esprime il suo assenso: “Con il nostro sì a Dio, come quello dei nostri fondatori, possiamo davvero farci santi”. Un’altra, di mezza età, mi avvicina per dirmi: “Da 45 anni lavoro con gli handicappati. Ho dato tantissimo, ma anche loro mi hanno dato tantissimo, proprio nella reciprocità. Vivendo con loro mi sono passate tutte le paure. Loro mi hanno fatto donna”.

Il saluto che riecheggia costantemente in questa città della carità è “Deo grazias”. Lo senti ripete da ogni persona che incontri, è il buon giorno, la buona sera, la buona notte, il grazie, il prego… È la testimonianza di una grande fede, che vede tutto proveniente dalle mani di Dio, tutto espressione del suo amore, senza distinzione tra gioie e dolori. È così che la “Piccola casa” è luogo del sorriso, non del dolore. Profezia di una socialità nuova, evangelica.

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