martedì 3 aprile 2012

Il turbamento di Gesù: perché non provassimo turbamento



Nel Vangelo di oggi mi ha colpito il turbamento profondo di Gesù davanti al pensiero che poche ore più tardi sarebbe stato tradito. Giovanni usa il verbo tarassō: essere turbati, nell’inquietudine, in agitazione. Lo stesso verbo per quando Gesù vede Maria che piange per la morte di Lazzaro, o quando pensa alla sua morte: “L’anima mia è intensamente turbata”. Un sentimento molto umano che anche Gesù prova. Lui, Dio, è proprio uomo come noi, e si è fatto uomo perché altrimenti, rimanendo solo Dio, non avrebbe mai provato ciò che possiamo provare noi.
Gli altri evangelisti usano verbi altrettanto drammatici per dire quello che Gesù ha provato davanti alla morte: essere impietrito (Marco), angosciato (Matteo), cadere in agonia (Luca), gridare e piangere, singhiozzare (Lettera agli Ebrei).
Proprio mentre nel Vangelo di Giovanni prova un profondo turbamento, trova la forza per dire ai suoi discepoli, per ben due volte: “Non sia turbato il vostro cuore”; “Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore” (14,1. 27). Ma non è una contraddizione? Cone fa a dire di non essere turbato quando lui ho è “profondamente”? O non è piuttosto logica conseguenza di quel suo turbamento? Ha preso su di sé ogni turbamento perché noi non fossimo più turbati da niente, neppure dalla morte.

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