sabato 21 luglio 2012

A Montemurlo, alla ricerca di Maria Maddalena de Pazzi


Maddalena,
al tempo in cui era nella villa,
quando si chiamava ancora  Caterina
Villa Pazzi al Parugiano

Prima del Mille vi sorgeva una torre di guardia e poi un castello dei Conti Guidi. Una storia di 1000 anni, quella della villa del Parugiano, a Montemurlo, a due passi da Prato, ai piedi del Monferrato, nella vasta area verde, che reca ancora i segni dell’antica centuriazione romana.
Attraverso la storia della villa si può ricostruire l’evoluzione di un intero territorio, con le creazioni artistiche, l’industrioso lavoro agricolo, le usanze, le battaglie... Quando, dopo l’assedio di Castruccio Castracani del 1325, la fortificazione venne distrutta, la famiglia fiorentina dei Pazzi, vi costruì la sua villa di campagna, trasformandola in una grande fattoria, tipica degli insediamenti rurali del contado fiorentino. Nel Cinquecento, con ampliamenti e riadattamenti, essa acquistò la fisionomia delle eleganti e signorili ville rinascimentali.
Ciò che mi ha attratto alla villa non sono tanto le opere d’arte che essa raccoglie, gli affreschi alla boscheresca che decorano le stanze, la splendida cappella seicentesca. Mi attira qui santa Maria Maddalena de Pazzi, ricordata da una edicola del 1700, lungo la strada, appena fuori la villa.
Nel periodo estivo i Pazzi soggiornano spesso nella villa. Vi veniva anche Caterina, questo il nome di battesimo della futura Maria Maddalena. Gracile nel fisico, raccoglieva attorno a sé i figli dei contadini per le prime lezioni di catechismo, allettandoli con piccoli regali.
Fu qui che, mentre sedeva sul prato con le donne di casa, ebbe la prima estasi: si sentì come ferita da un dardo e perse temporaneamente la parola e perfino il respiro.

La cappella all'interno della vita,
iniziata a costruire nell'anno
della nascita di Caterina
L'edicola sulla via
Per il momento la villa non mi schiude i suoi cancelli. I nuovi proprietari non amano aprirla al pubblico. Devo contentarmi di fotografarla dal di fuori, sporgendomi sopra i muri di recinzione. In compenso trovo un’accoglienza straordinariamente cordiale nella biblioteca e nel centro culturale del comune di Montemurlo. La responsabile in persona, Luana Grossi, con squisita disponibilità mi ambienta nella letteratura e nella tradizione che, con affetto, custodisce il ricordo della santa, celebrata ogni anno con manifestazioni civiche.
Vengo così a conoscere che nella villa si conserva ancora la camera di Caterina, modesta come una celletta, presto trasformata in oratorio, con la reliquia della “cuffia”. Nel giardino crescono ancora la pianta di arance amare e il pero rinati dai ceppi di quelli piantati dalla santa, di cui si vantano virtù miracolose. L’arancio in particolare avrebbe il potere di sanare il mal di testa, un dono procurato alla santa per gli altri, mentre per sé si procurava il mal di testa patito da Gesù cingendosi con una corona di rami spinosi di melangolo.
In questa villa Caterina maturò la determinazione di monacarsi. Lasciato l’ambiente sereno della sua prima giovinezza, entrò dalla carmelitane a Firenze, diventando Maria Maddalena.
Rileggerò le sue parole dell’estasi, la rivedrò danzare danze di Paradiso, l’ascolterò mentre parla di Cielo… e poi tornerò a Montemurlo, a bussare al cancello della Villa.

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