martedì 28 agosto 2012

Ho scritto t’amo sulla sabbia


Quando la giornata cominciò a raffrescare, Apa Pafnunzio uscì dalla cella e si incammino nella  pianura. Gli anziani consigliavano di non allontanarsi mai dalla cella, perché era lì che il Signore parlava. Ma ormai egli aveva imparato che il Signore parla in ogni dove, bastava soltanto avere orecchie attente per ascoltarlo e cuore puro per accoglierlo. Giunto sul terreno sabbioso notò che erano spuntati dei fiori bianchi, nonostante l’aridità del suolo.
D’improvviso quella sabbia gli riportò alla mente un canto che aveva ascoltato tanti anni addietro nelle vie della città. Apa Giovanni gli aveva insegnato a vigilare attentamente sui logismoi – i pensieri, i sentimenti del cuore, le interferenze mentali – e sulla loro origine, a disciplinarli con cura. Ma nonostante tanti anni di allenamento a volte emergevano improvvisi, come quelle prime parole della canzone: “Ho scritto t’amo sulla sabbia”.
Che amore labile dov’essere stato, si disse, quello che aveva sentito cantare laggiù in città, se scritto sulla sabbia. Sarebbe bastata un’onda del mare a cancellarlo o lì, nel deserto, un soffio di vento.
Si soffermò a lungo su quel pensiero, fin quando lo invase il turbamento. Che fosse così anche il suo amore per Dio, nonostante il passare degli anni e la vita nascosta nel deserto? Aveva, il suo amore, la consistenza e la continuità di una dichiarazione incisa sulla pietra, era indelebile, oppure soltanto un vago sentimento evanescente, illusorio, come quello scritto sulla sabbia? Amava veramente il suo Signore? Rimase incerto. Poi sentì scendergli dentro, come un liquido scuro, l’amarezza di chi d’improvviso si riconosce povero d’amore, o almeno con un amore povero, effimero come un segno leggero sulla sabbia.
Fu allora che l’esercizio di ruminare la parola di Dio, che ormai da anni accompagnava apa Pafnunzio al punto di essergli abituale, quasi meccanico, portò il suo frutto. La domenica precedente, giorno del Signore – ma ormai sapeva che ogni giorno è giorno del Signore – nella sinassi comunitaria aveva ascoltato le parole dell’apostolo Pietro rivolte a Gesù: “Da chi andremo, Signore? Tu solo hai parole di vita eterna”. Non aveva smesso di ripeterle, lasciandole penetrare nel fondo del cuore. Così riemersero improvvise alla mente, come tenue luce, e presero il sopravvento. Era vano interrogarsi sulla consistenza del suo amore, fosse scritto sulla sabbia o sulla roccia. In quel momento importava soltanto continuare a ripetere: “Da chi andremo, Signore? Tu solo hai parole di vita eterna”.
Guardò ancora una volta i fiori bianchi spuntati sulla sabbia del deserto, e dal deserto del suo cuore sentì spuntare di nuovo, come un fiore bianco, l’amore per il suo Signore. (I detti dei Padri del deserto di Scite, 43)

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