mercoledì 3 ottobre 2012

Perché non pregare nella lingua della Chiesa?


Quando a Roma fu introdotta la lingua volgare nella preghiera liturgica il popolo non stava più nella gioia: finalmente poteva capire quello che diceva. L’aristocrazia invece lo considerò un tradimento della tradizione: “Ora che tutti capiscono, dove va a finire il mistero? Perché abbandonare la lingua della Chiesa per la lingua moderna?” Sì, fino ad allora la lingua della Chiesa era stato il greco. Adesso, con l’avvallo di papa Damaso, Ambrogio di Milano introdusse anche a Roma la recita in latino della preghiera eucaristica.

Immagino che una simile reazione ci sia stata quando san Paolo iniziò a celebrare la cena del Signore in greco: “Ora che tutti capiscono, dove va a finire il mistero? Perché abbandonare la lingua della Chiesa per la lingua moderna?” Sì, agli inizi la lingua della Chiesa era stato l’aramaico. Gesù non ha celebrato l’ultima cena né in greco né in latino, ma in aramaico. Era l’ebraico la lingua ufficiale della liturgia nel tempio, ma Gesù preferì utilizzare la lingua del popolo, quella che si comprendeva.

La storia si ripete e in nome della tradizione (quale tradizione? da quale anno comincia la tradizione?) si vuole reintrodurre la “lingua della Chiesa” (il latino? E perché non il greco, lingua nella quale è scritto il Nuovo Testamento? E perché non l’aramaico, la lingua parlata da Gesù, da Maria e dagli Apostoli?).
Meglio fare come Gesù e pregare come lui nella lingua del popolo, quella che gli faceva dire “Abbà”.

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