venerdì 30 novembre 2012

Tenere sveglio il desiderio dell’incontro


1 dicembre, sabato
Da oggi, per tutto il mese di dicembre, un breve commento al Vangelo della liturgia del giorno, per prepararci insieme al Natale

Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza…di comparire davanti al Figlio dell’uomo. (Lc 21,34-36)

Presto sarà Natale. Lo avvertiamo nell’aria. La città ha già cominciato a rivestirsi di luci, la pubblicità promuove i tipici dolci, patetici bonari babbi natale si aggirano per le strade o immobili scalano il muro di una casa, musiche familiari risuonano nei grandi magazzini… Iniziano i preparativi: acquisto regali, programmazione vacanze… Ma a cosa ci stiamo preparando? A celebrare una festa? Quale? Per chi? Tante persone non lo sanno più.
Almeno noi cristiani, per grazia di Dio, lo sappiamo: ci prepariamo alla venuta di Gesù. A Natale ricordiamo la sua discesa dal cielo, più di 2000 anni fa, quando il Padre, nel suo infinito amore, lo inviò tra noi.
Quella venuta ne annuncia un’altra, quando, alla fine dei tempi, il Signore tornerà per portarci con sé nella vita che non ha fine, nella gioia del cielo. A volte ci sembra così lontano quel giorno, al punto da correre il rischio che i nostri cuori “si appesantiscano” in mille preoccupazioni e inutili cose, perdendo di vista la meta finale. L’invito di Gesù è di tenere sveglio il desiderio dell’incontro con lui mediante la preghiera, rapporto d’amore che, fin da adesso, ce lo rende presente.

giovedì 29 novembre 2012

Le riviste si interrogano sul Concilio

È una classica mattinata novembrina ventosa e piovigginosa. Attraverso il ponte di Castel Sant’Angelo, deserto, silenzioso, come lo si vede poche volte. Subito di là, lungo il Lungotevere, la prestigiosa sede dell’UISG. È la prima volta che vi metto piede. È il centro che coordina i rapporti tra tutte le suore del mondo. Con la guida di sr. Giannica, che vi lavora nell’ambito dell’informativa, percorro sale e uffici, lindi e tersi, tirati a lucido, ovattati, rarefatti, con poche persone chine sulle scrivanie.
Entro nella sala dove sta iniziando il terzo incontro dei direttori delle rivista di vita consacrata. (Il primo si è tenuto nel Cile, il secondo il Spagna). Il clima è diverso: trovo una trentina di persone vivacissime, contente di trovarsi o ritrovarsi, pronte ad affrontare tre giornate di studio e di scambio.
Inizia subito la presentazione delle diverse riviste: storia, fisionomia, diffusione… Sono rappresentante una quindicina di riviste, la maggior parte di lingua spagnola, edite in Cile, Colombia, Bolivia, Brasile, Messico, Spagna, Italia. Si va dalle più grandi, come Testimoni con i suoi novemila abbonati, alle più piccola come la messicana Vinculum. Unità e Carismi mostra la sua peculiarità: è l’unica a non essere espressione di una conferenza nazionale o internazionale dei superiori maggiori, o ad avere alle spalle una grande organizzazione come le edizioni Dehoniane per Testimoni. Ed è l’unica ad avere edizioni in varie lingue, ben otto, con altrettante redazioni. Di punta la rivista Cirm del Messico per le varie edizioni elettroniche.
Ciò che è comune a tutte le riviste è la collaborazione tra molti istituti che ne sta alla base; sono tutte frutto di una grande concertazione, da un gran bisogno di comunione, di affrontare insieme le tematiche, le problematiche i progetti dei religiosi e religiose. Lo stesso desiderio percorre la nostra sala. Ogni rivista è portata avanti da redazioni che molto affiatate: quasi tutte si incontrano ogni mese per una giornata intera, invitando spesso altri esperti, per elaborare insieme i numeri della rivista e per crescere nella comunione.
Iniziamo così a riflettere insieme su un tema comune: Sulle orme del Concilio. Ci aiuta, in giornata, prima Bruno Secondin con la relazione: Per ritrovare il soffio carismatico del Concilio; poi Enrica Rosanna: A cinquant’anni del Vaticano II: Priorità e sfide della vita consacrata. Secondin ha concluso con un interessante elenco di novità lanciate in maniera germinale nel Concilio e attualmente in crescita. Rosanna, dopo aver indicato le tappe del cammino di rinnovamento postconciliare ha indicato alcuni punti fondamentali sui quali riflettere per l’oggi, punti acquisiti e nello stesso tempo problematici, che domandano di essere ripensati: il primato di Dio, l’opzione preferenziale per i poveri, la vita fraterna, l’inculturazione e la multiculturalità, l’ecclesiologia di comunione con la riscoperta della Chiesa locale, il genio femminile.
Dopo le relazioni il dialogo è vivacissimo. L’orizzonte si dilata, le questioni molto interessanti, la passione per la vita consacrata accesa. Una giornata entusiasmante.
L’incontro è continuato nei due giorni successivi con interventi di rilievo, come quello del cardinal João Braz de Aviz. Ma soprattutto c’è stato un intenso scambio dei problemi, dei sogni, degli orientamenti e delle prospettive tra tutti i direttori delle riviste.
Siamo mossi da una visione: il valore della vita consacrata sia nella sua dimensione profetica della proclamazione esistenziale del primato di Dio, sia nella sua dimensione carismatica; l’unità tra i carismi, in una più ampia comunione ecclesiale, per la fraternità universale.
Perché non vedere (2’) il video di Unità e Carismi?
http://www.youtube.com/watch?v=cRBX6Bw3OVc&feature=player_embedded

mercoledì 28 novembre 2012

Festa dei Martiri Oblati di Spagna


28 novembre. Per la prima volta abbiamo celebrato la festa dei Martiri Oblati di Spagna
Il martirio di 22 Oblati: padri, fratelli e scolastici, a Pozuelo de Alarcón (Madríd), si colloca durante periodo della grande persecuzione religiosa in Spagna, nel triennio 1936-1939, quando migliaia di cristiani furono uccisi per la loro appartenenza alla Chiesa.
I primi sette Oblati furono portati via dalla casa dello scolasticato il 24 luglio 1936, per essere fucilati:
Juan Antonio Pérez Mayo, sacerdote, professore, 29 anni.
Manuel Gutiérrez Martín, studente suddiacono, 23 anni.
Cecilio Vega Dominguez, studente, suddiacono, 23 anni.
Juan Pedro Cotillo Fernández, studente, 22 anni.
Pascual, Aláez Medina, studente, 19 anni.
Francisco Polvorinos Gómez, studente, 26 anni.
Justo González Lorente, studente, 21 anni
Con loro il laico Candido Castan, padre di due figli.
Il 7 novembre furono fucilati:
P. José Vega Riaño, sacerdote e formatore, di 32 anni
Serviliano Riaño Herrero, studente, di 30 anni.
Il 28 novembre 1936 fu la volta di:
Francisco Esteban Lacal, superiore Provinciale, 48 anni
Vicente Blanco Guadilla, superiore locale, 54 anni.
Gregorio Escobar García, sacerdote fresco ordinato, 24 anni.
Juan José Caballero Rodríguez, studente, suddiacono, 24 anni
Publio Rodríguez Moslares, studente, 24 anni.
Justo Gil Pardo, studente, diacono, 26 anni.
Angel Francisco Bocos Hernández, fr. coadiutore, 53 anni.
Marcelino Sánchez Fernández, fr. coadiutore, 26 anni.
José Guerra Andrés, studente, 22 anni.
Daniel Gómez Lucas, studente, 20 anni.
Justo Fernández González, studente, 18 anni.
Clemente Rodríguez Tejerina, studente, 18 anni.
Eleuterio Prado Villarroel, fr. coadiutore, 21 anni.

Abbiamo una sola testimonianza dell’eccidio, quella di chi ne seppellì i corpi. Così racconta, con poche parole:
Sono completamente convinto che il 28 novembre 1936 un sacerdote o religioso chiese alle milizie che gli permettessero di dire addio a tutti i suoi compagni e dar loro l’assoluzione, grazia che gli fu concessa. Una volta che ebbe terminato, pronunziò ad alta voce queste parole: “Sappiamo che ci uccidete perché siamo cattolici e religiosi. Lo siamo. Tanto io come i miei compagni vi perdoniamo di cuore. Viva Cristo Re!”.

Il neo sacerdote Gregorio Escobar aveva scritto alla sua famiglia:
Sempre mi hanno commosso fino al più profondo dell’animo i racconti dei martiri che sono sempre esistiti nella Chiesa, e mentre li leggo sento un segreto desiderio di andare incontro alla stessa sorte. Sarebbe questo il miglior sacerdozio a cui potrebbero aspirare tutti i cristiani: offrire tutti a Dio il proprio corpo e sangue in olocausto per la fede. Che fortuna sarebbe morir per Cristo!

martedì 27 novembre 2012

La costola di Adamo


“State molto attenti a far piangere una donna, che poi Dio conta le sue lacrime! La donna è uscita dalla costola dell’uomo, non dai piedi perché dovesse essere pestata, né dalla testa per essere superiore, ma dal fianco per essere uguale, un po’ più in basso del braccio per essere protetta e dal lato del cuore per essere amata”.
All’incontro cristiani-musulmano di Brescia ho letto questo meraviglioso testo del Talmud, che commenta il racconto della nascita della donna dall’uomo. Un racconto, quella della Genesi, di una alta poesia, nella quale Dio si serve di questa immagina per far comprendere la pari dignità tra uomo e donna, l’identità profonda tra i due; “Il mio amato è mio e io sono sua”, potrà dire la sposa del Cantico dei Cantici.

lunedì 26 novembre 2012

Mi chiamo Moahamed e sono il vostro nuovo vicino


La più piccola partecipante, un mese
“Mi chiamo Moahamed e sono il vostro nuovo vicino, devo fare dei lavori di idraulica nell'appartamento e vorrei che il vostro idraulico mi facesse un preventivo”. Così si è presentato sabato un marocchino che ha suonato al nostro campanello accompagnato dai suoi due bambini, ci ha spiazzato... Sarà l'inizio di un'amicizia? Ce lo auguriamo.

Mi è arrivato questo messaggio a commento (è ben più di un commento!) al blog di ieri nel quale raccontavo dell’incontro di Brescia.
A proposito di “spiazzamento”, anch’io ieri sono stato spaziato. Mentre in precedenza preparavo l’intervento che avrei dovuto fare sulla visione cristiana della famiglia, mi domandavo: “Come posso parlare della grazia del matrimonio? Riuscirò a farmi capire?”. Mi ero appuntato queste parole:
Riflettendo sull’insegnamento di Gesù, la Chiesa ha capito che per costruire una autentica famiglia, così come Dio l’ha pensata - unita stabilmente, nella fedeltà, capace di continuare l’opera creatrice di Dio generando la vita -, non basta l’attrazione sessuale, non basta neppure l’innamoramento e l’amore umano, occorre qualcosa di più, quello che noi chiamiamo la grazia del matrimonio, il sacramento del matrimonio. Occorre che Dio renda partecipi gli sposi, e a partire da loro i figli e tutti i componenti della famiglia, del dono del suo stesso amore, di quel particolare amore che il Nuovo testamento chiama agape, un amore gratuito, capace di perdono, di attenzione, di dedizione al punto da essere capace di dare la vita per la persona amata. È quell’amore di cui Gesù è il modello e il donatore.
Ma quando sento l’esperienza di una giovanissima coppia, Hind e Hamid Mehmood, lui pakistano lei marocchina, resto appunto spiazzato. Affermano che alla loro coppia non è sufficiente il loro amore, che pure è stato così forte da superare tante difficoltà e pregiudizi, ma che occorre loro l’amore di Dio e che su questo amore hanno fondato il loro matrimonio; raccontano le esperienze di provvidenza fiorite dal vivere la parola del Corano: “Chiedete e vi sarà darà”… Ecco, allora mi sono sentito proprio spiazzato.

Per saperne di più vedi il bell’articolo apparso sul sito di Città Nuova:

domenica 25 novembre 2012

Cristiani e musulmano, un’unica famiglia per la famiglia


Sul palco divani orientali impreziositi da cuscini marocchini, due alberi, una palma e un ulivo, ciuffi di fiori. Il primo annuncio è di prammatica: “Si prega di spostare la tal macchina che intralcia l’uscita…”, solo che questa volta è diramato in italiano e in arabo. Al PalaBrescia stanno prendendo posto un mille e cinquecento persone. Le fogge musulmane sono predominanti. Il Movimento dei focolari insieme agli amici musulmani del nord Italia ha organizzato un incontro cristiano-musulmano. Non si tratta del solito incontro di dialogo interreligioso. La mutua conoscenza e il cammino percorso insieme in questi anni sono arrivati a un punto tale che ormai possiamo entrate nel vivo dei problemi e affrontarli insieme. Questa volta la tematica è quella della famiglia. Perché proprio a Brescia? Forse perché è la città italiana con la più alta percentuale di immigrati di tutta Italia.
La giornata è stata una festa. I musulmani si sono sentiti accolti con un amore infinito, a proprio agio, senza quella paura e diffidenza che vivono abitualmente. Non stranieri, ma “a casa”. Ha contribuito la massiccia presenza di imam provenienti da tutte le regioni del Nord, l’ampio spazio dedicato alle loro musiche e canzoni, il ruolo preponderante giocato dai loro presentatori. Insomma è come fossero loro ad accogliere noi cristiani in casa loro. Ma non è proprio questa l’arte di amare? Far sentire l’altro protagonista.
Le esperienze mi hanno toccato in maniera particolare. Quelle delle loro giovani coppie testimoniavano una presenza fortissima di Dio nella vita coniugale e di famiglia, una fede straordinaria, un abbandono incondizionato alla provvidenza. Quelle riguardanti il comune impegno sociale e di mutuo aiuto, di una concretezza impressionante, di grande rilevanza, frutto di un lavoro di intesa, di rispetto, di amicizia, di amore sincero maturato negli anni.
Uno dei momenti più alti della giornata è stato quando, alla ripresa dei lavori dopo la pausa pranzo, si è presentato sul palco il nutrito gruppo di bambini, che durante la mattinata avevano avuto un programma tutto per loro. Ci hanno donato il frutto di tre momenti di lavoro: una grande scritta, in italiano e in arabo: "Siamo sempre una famiglia", una danza che esprimeva il rapporto con i genitori, un canto in italiano, arabo e inglese. Vedere bambini di tanti paesi diversi, cristiani e musulmani, che si intendono così bene e che vanno tranquillamente la di là di ogni barriera è una speranza infinita di futuro, di un’unità possibile.
Un mondo - quello musulmano e delle molte culture in cui si esprime - per certi aspetti lontanissimo dal nostro. Eppure è stata una gioia per noi cristiani vedere come tutti loro erano presi dalle proprie musiche, come le donne le accompagnavano con i caratteristici gridi di giubilo, come ondeggiassero con passi di danza, e come erano capaci di coinvolgere anche noi nel ritmo del battito delle mani. E chissà come anche a loro noi sembriamo diversi. Ma una diversità che in questa grande sala è apparsa come ricchezza, come dono di un Dio che per esprimere il suo amore ha bisogno di tutti i popoli, di tutte le culture, di tutte le lingue.

sabato 24 novembre 2012

Il Museo Etnologico e la Chiesa esperta in umanità


La presentazione del catalogo si tiene in un ambiente prestigioso, nientemeno che nella grande sala della Pinacoteca dei Musei Vaticani, proprio dove è esposta la Trasfigurazione di Raffaello, assieme ad altre delle sue opere. Valeva la pena venire anche solo per sedersi davanti al capolavoro di Raffaello e ammirarlo con calma, quasi a lasciarsi trasfigurare con il Signore stesso.
La raccolta che costituisce il museo iniziò con i primi sei doni d'epoca precolombiana, offerti al papa bel 1692, proveniente dal nuovo mondo. Da allora la collezione si è arricchita con sempre nuovi apporti. Tutti i continenti vi sono rappresentati e di tutte le culture: buddiste e indu, degli aborigeni australiani, dell’Africa…
Alla presentazione mi pare di essere l’unico prete. Per il resto sono ambasciatori e studiosi, richiamati dall’evento: la pubblicazione del primo catalogo del Museo Etnologico dei Musei Vaticani, che presenta 3000 delle 80.000 opere ivi conservate.
Apre l’incontro il card Lajola, quindi la parola passa al direttore dei musei Vaticani, quindi al card. Ravasi e infine al direttore del Museo etnologico.
Ravasi parla naturalmente della cultura, attraversando i veri termini, dall’humanitas dei latini alla paideia dei greci, fino alla parola cultura dei tedeschi del 1500, gradualmente trasformata in concetto antropologico. Il passaggio dell’impiego di questa parola al plurale, le culture, indica il passaggio dalla convinzione radicata dell’esistenza di una sola cultura, fondamentalmente quella europea, greco romana, alla scoperta dell’esistenza di una pluralità di culture, a cominciare da quella ebraica, fino a quella persiana del vicino oriente, poi a quelle del lontano oriente, dilatandosi sempre più su tutta intera l’umanità.
Ravasi non poteva poi non parlare di come la Bibbia, lungo la sua storia millenaria, abbia assunto la varie culture dei popoli attorno. Con l’Incarnazione infine la Chiesa si è aperta su tutti i popoli: “Cristo è il Logos – diceva Giustino – e tutti quelli che vivono il Logos, come Socrate, Eraclito e tanti altri, sono cristiani”.
Quando nacque il Museo, in pieno periodo colonialista, Pio XI volle che assieme a Raffaello e Michelangelo ci fossero anche gli aborigeni dell'Australia; forse perché papa Ratti, prima d’essere papa, era stato prefetto dell'Ambrosiana  di Milano (come Ravasi), dove sono raccolte esotica e mirabilia: era insomma un persona dai grandi orizzonti e interessi; anche per questo forse divenne il “papa delle Missioni”, il granxde ammiratore degli Oblati, che definì “Gli specialisti delle missioni difficili”.
Il Papa fondò il Museo Missionario Etnologico il 12 novembre 1926, alla chiusura dell'Esposizione Universale Missionaria, che lo stesso Pontefice aveva voluto in occasione dell'Anno Santo del 1925. A quella esposizione contribuirono tutte le società missionarie. Gli Oblati portarono a Roma da tutto il mondo centinaia e centinaia di casse con i più vari oggetti, che poi entrarono a far parte del museo. La sezione dell’esposizione riguardanti libri e documenti fu affidata a un Oblato,  Padre Roberto Streit.  Arrivarono a migliaia tavole geografiche, grammatiche e vocabolari delle lingue indigene, catechismi, storie sacre, commenti teologici, e libri riguardanti la storia della religione, la topografia, l’etnografia dei paesi di attività missionaria; tutto fu donato al papa e costituì l’attuale Pontificia Biblioteca Missionaria; p. Streit divenne il primo bibliotecario. 
La prima sede del Museo su nel Palazzo del Laterano dove è rimasto sino al 1963. Nel 1973, sotto il pontificato di Paolo VI, il Museo fu allestito nell'attuale sede in Vaticano.
L’attuale direttore, p. Mapelli del PIME, ci illustra il catalogo e ci parla della nuova ristrutturazione del Museo, del collegamento con tanti altri musei nelle più varie parti della terra, dei viaggi compiuti da lui e dai suoi collaboratori per trovare la documentazione, del battaglione di donne studiose che lavorano nei vari lavoratori, e che per l’occasione sono lì presenti, tutte giovani.
Infine ecco finalmente l’inaugurazione delle nuova sede del Museo, sempre all’interno dei Musei Vaticani. Camminiamo insieme per le diverse stanze dove tutto è arredato con gusto e in maniera modernissima. I reperti sono spesso i più antichi al mondo e certamente i meglio conservati. Sì dà voce ai popoli, si raccontano le loro esperienze, si celebrano le persone che stanno dietro gli oggetti. Il reperto più antico, una pietra lavorata milioni di anni fa, proveniente dal Sud Africa. 20.000 gli oggetti preistorici. 3.000 le foto.
Il Museo è la testimonianza dell’interesse, dell’amore, del rispetto della Chiesa per tutte le culture, ossia per l’umanità! “La Chiesa è esperta in umanità” diceva Paolo VI. 

venerdì 23 novembre 2012

Roma nascosta: san Clemente e l’unità della Chiesa

 “Dopo aver fondato ed edificato la chiesa, gli apostoli Pietro e Paolo trasmisero a Lino la carica dell’episcopato. Anacleto successe a Lino. Dopo di lui, al terzo posto, partendo dagli apostoli, fu Clemente ad avere l’episcopato. Egli aveva conosciuto gli apostoli ed era stato in relazione con loro. Egli aveva ancora negli orecchi la risonanza della predicazione degli apostoli e dinanzi agli occhi la loro tradizione. E non era il solo, poiché vivevano al suo tempo molti che erano stati istruiti dagli apostoli”. Così Ireneo nel suo scritto Contro le eresie.
Papa Clemente, di cui oggi celebriamo la memoria, divenne famoso per la sua lettera ai Corinzi, litigiosi allora come anni prima al tempo di Paolo. Sempre sant’Ireneo scrive: “Sotto Clemente nacque una grande divergenza tra i fratelli di Corinto. La chiesa romana scrisse ad essi una lettera efficacissima per richiamarli alla pace e ravvivare in essi la fede e la tradizione che da poco avevano ricevuto dagli apostoli”.
Chi viene a Roma non può mancare la visita alla basilica a lui dedicata nel IV secolo sul colle Celio a Roma una basilica. Dopo essere stata devastata da un incendio nel 1084, fu riedificata sulle antiche rovine. Sotto la sua abside gli scavi ottocenteschi hanno fatto scoprire parti della basilica originale, con dipinti murali anteriori al 1084 e sotto ancora case dell’antica Roma e un bellissimo mitreo. Gli affreschi raccontano gli ultimi anni leggendari di Clemente, che sarebbe stato affogato con un’ancora al collo in Crimea, suo luogo d’esilio.
Come è noto in uno di questi affreschi si trovano forse le prime parole della nascente lingua italiana, anche quasi romanesche, pronunciare, come in un fumetto, dal perfido Sisinium: «Fili de le pute, traite, Gosmari, Albertel, traite. Falite dereto co lo palo, Carvoncelle!» (Figli di puttana, tirate! Gosmario, Albertello, tirate! Carvoncello, spingi da dietro con il palo). Non è il massimo della letteratura italiana… meglio aspettare il Cantico delle creature di san Francesco, o tornare a leggere la stupenda lettera di Clemente: “Le più piccole membra del nostro corpo sono necessarie e utili all’intero corpo, anzi tutte operano insieme e a vicenda si sottomettono, affinché tutto il corpo sia salvo. Tutto il nostro corpo perciò sia conservato in Cristo Gesù e ciascuno si sottometta al suo prossimo secondo il dono della grazia a lui assegnato”; “Ciascuno si sottometta al suo prossimo, secondo la grazia in cui fu posto. Il forte si prenda cura del debole, e il debole rispetti il forte. Il ricco soccorra il povero, il povero benedica Dio per avergli dato chi supplisce alla sua indigenza”. Ancora 70 anni dopo, a Corinto, il documento veniva letto pubblicamente nelle riunioni eucaristiche domenicali, insieme alle Scritture.

giovedì 22 novembre 2012

Roma nascosta: la cripta di santa Cecilia


Oggi, festa di santa Cecilia, il cuore corre subito alla sua bellissima basilica in Trastevere. No, questa non fa parte della Roma nascosta, è molto palese, da quando Costantino la costruì sopra la casa della santa. L’anno scorso l’ho visitata nel giorno della sua festa:
il 18 agosto di quest’anno sono stato su nel coro delle monache (quella sì che è una Roma nascosta!)
Ma vi è un altro angolo di Roma nascosta, proprio sotto la basilica, là dove si trova la tomba di Cecilia assieme allo sposo Valeriano e al cognato Tiburzio, ambedue da lei convertiti al cristianesimo.
Scendi e ti ritrovi indietro di duemila anni fa, nell’antica Roma, si cui rivedi strade, case, cantine con ripostigli per conservare grano e vino… Soprattutto si spalanca davanti la cappella della reliquie, ricca di marmi e di ori, ma ricca soprattutto dei resti dei martiri. Qui come altrove la leggenda si intreccia con la storia raccontando la fantasiosa e incantevole avventura di Cecilia e della sua famiglia, che si intreccia con papi e imperatori. In quel luogo di silenzio e di raccoglimento l’eccessivo si decanta per lasciare posto soltanto alla sostanza delle cose: vite donate a Dio, amore appassionato per Cristo, scelte di verginità eroica. Quelle ossa sono vive e parlano ancora.

mercoledì 21 novembre 2012

Roma nascosta: il chiostro di sant’Onofrio


Rimanendo in tema di chiostro e del suo fascino. Ce n’è uno splendido, fuori mano, quasi sempre deserto. È a metà strada tra l’ospedale del Bambin Gesù e il piazzale del Gianicolo. C’è sempre un gran traffico su per quelle curve, nell’affannosa ricerca di un parcheggio impossibile per accedere all’ospedale. Chi ha tempo di fermarsi per salire alla chiesa? Tutt’al più si va un po’ più avanti alla querce di Torquato Tasso o si entra in convento per vedere la stanza dove il poeta visse gli ultimi momenti della sua vita. Eppure il chiostro, forse la parte più antica del complesso, costruito a metà del 1400, è un gioiellino.
Entri dentro e, pur essendo a dieci metri dalla strada, vieni ritagliato fuori dal vortice cittadino e avvolto in una quiete inimmaginata. Le lunette, affrescate con storie di Sant'Onofrio, raccontano di un mondo fantastico e irreale di monaci e di deserti, di ascesi e di contemplazione. Sono storie tra la leggenda e il verosimile, ma non importa: quei paesaggi e quei personaggi, dal monaco Pafnunzio a sant’Onofrio, mettono nel cuore il senso del divino, la voglia di fermarsi a pregare o anche soltanto a riposare, senza pensiero alcuno. Dio, nel chiostro di sant'Onofrio, pare più vicino.

martedì 20 novembre 2012

Il fascino del chiostro

Una quindicina d’anni da fa scrissi un libro con questo titolo. È indubbio che il chiostro eserciti un fascino, sia per la sua architettura sia per quello a cui rimanda. Piccolo o grande, di modesta fattura o un’opera d’arte, offre sempre accoglienza, infonde pace, ritaglia dal superfluo, invita al silenzio, riposa.
Chiuso sui quattro lati non dà il senso dell’angusto ma spalanca verso l’infinito del cielo.
È immagine del monastero e delle persone che lo abitano attorno, quasi simbolizzare dalle colonne, spesso diverse l’una dall’altra – colonne e persone – eppure raccolte assieme in creazione armoniosa. In mezzo si apre, sovente, il pozzo  che richiama la presenza del Cristo in mezzo ai suoi, acqua che dà la vita.
Il 21 novembre si celebra la giornata per la vita claustrale. Non è un caso che il chiostro abbia dato nome a questa forma di vita fatta di nascondimento e di unione con Dio nel silenzio. Ognuno di noi può ritagliarsi il suo piccolo chiostro, nel cuore, in un angolo della casa, nell’unità con i fratelli, raccolti come colonne, con gesù in mezzo a loro, spalancati sul cielo infinito

lunedì 19 novembre 2012

Benedire una benedizione?

Domenica Anna ha partecipato per la prima volta alla Messa. Non lo aveva fatto la domenica precedente, perché… non era ancora nata!
Avevo a portata di mano (ossia di tablet) Il “Rito della benedizione
di un bambino non ancora battezzato”; un rito semplice e ricco di significato.
La preghiera finale suona così:
Dio, Padre onnipotente
fonte di ogni benedizione,
e provvido custode dei piccoli,
che arricchisci e allieti la vita coniugale
con il dono dei figli,
guarda con bontà questa bambina,
che attende di rinascere
dall'acqua e dallo Spirito Santo:
accoglila fin da ora nel tuo popolo,
perché ricevendo il dono del Battesimo
diventi partecipe del tuo regno
e insieme con noi impari a benedirti nella tua Chiesa.
Poi ci ho ripensato, e mi sono chiesto se si può benedire una benedizione.
Non è Anna, come l’arrivo di ogni altro bambino, una benedizione di Dio per noi?

domenica 18 novembre 2012

Chi ha voce in capitolo?


Da dove viene l’espressione “avere voce in capitolo”? Dal “capitolo” monastico e conventuale, l’assemblea quotidiana che riuniva tutti i membri della comunità religiosa, durante la quale ci si confrontava con la parola di Dio, con la regola, si discuteva sul da farsi, ci si correggeva l’un altro e ci si incoraggiava a camminare sulla via del Vangelo… Anche i novizi, pur essendo giovani, potevano offrire i propri suggerimenti, potevano parlare durante la riunione comunitaria, avevano voce in capitolo!
Il luogo della riunione divenne la sala più importante della comunità dopo la chiesa. Era costruita su un’ala del chiostro e si chiamò, sala del capitolo, sala capitolare.
Quello costruito dalle suore domenicane nel 1300 nel convento di san Niccolò a Prato è un’aula di straordinaria bellezza, interamen te affrescata. Il recente restaurato ha messo in evidenza linee e colori originali, e riportata alla luce affreschi nascosti. Di grande effetto scenico il cammino di Gesù al Calvario. Il mosaico del grande complesso conventuale si è arricchito di un gioiello inestimabile. Vale la pena venire a Prato soltanto per visitare il San Niccolò.
In mezzo alla sala capitolare una lastra di pietra copre l’accesso al cimitero sotterraneo, dove fino alla seconda metà del 1800 venivano sepolte le monache. Esse continuavano a far parte della comunità. Non avevano più voce in capitolo, ma potevano ancora intercedere per le vive. Era una testimonianza di fede nella comunione dei santi: cielo e terra sono più uniti di quanto non si creda…

sabato 17 novembre 2012

La Crocifissione di Tommaso di Piero del Trombetto: spettacolo nello spettacolo

La “sacra rappresentazione” de “I racconti di Cafarnao” ha attirato nel refettorio maggiore del Conservatorio di San Niccolò a Prato, un gran numero di persone. Non conoscevo nessuno. Tutti richiamati dall’evento. La compagnia teatrale ha coinvolto il pubblico e l’ha condotto lungo la narrazione con una costante tensione drammatica. Le parole forti di Gesù, ascoltate fuori dei contesti liturgici, a cui ormai sempre meno persone partecipano, hanno riacquistato tutta la loro forza travolgente.
Alla riuscita teatrale ha contribuito in maniera determinante la coreografia, lì fissata da più di 500 anni negli stradinari affreschi di Tommaso di Pietro del Trombetto. La crocifissione soprattutto, che domina la sala, mi ha attratto durante l’intero spettacolo. Non è la scena drammatica che siamo soliti vedere. È piuttosto una contemplazione del frutto della passione e morte del Cristo. Tutti personaggi, gli angeli, Maria, Giovanni, la Maddalena, Gesù stesso, sono avvolti da una serenità di Cielo. Potrebbe essere una Trasfigurazione, invece che una Crocifissione, o una Ascensione. Il Gesù in croce è giovane, bello, composto, irradiante luce taborica che si irradia sugli altri attorno a lui.
Mentre si svolgeva la rappresentazione continuavo a guardare l’affresco e mi pareva che le voci degli attori venissero da lì. Quel Cristo in croce, espressione dell’amore sommo, annuncio di resurrezione e di vita nuova, continua a parlare ancora, a rivolgerci parole di vita, che vengono dalla vita, spingono a vivere, danno vita.  Che non sia anche questa una maniera per una “nuova evangelizzazione”?

giovedì 15 novembre 2012

A dicembre “Il Vangelo del giorno”

Carissimo Padre Fabio, ho avuto il piacere di meditare il suo libro riguardo all'anno "C" – Dov’è il tuo tesoro, là sarò il tuo cuore – e in seguito anche quello dell'anno "A" - bellissimi!!! Speravo di trovare in seguito anche quello dell'anno "B", ma senza risultato - perché? Spero tanto che quando sarà il momento ci sarà tutta la trilogia - con sincera devozione.

Se avessi saputo che avrei ricevuto tante telefonate e messaggi come questo apparso sul mio blog, al post del 7 novembre, mi sarei subito affrettato a pubblicare il libro per l’anno “B”. Sì, il libro è pronto, ma non è stato pubblicato (incredibile a dirsi)… per la mia proverbiale dimenticanza. Ormai bisogna aspettare che passino gli anni C e A per arrivare nuovamente al B. Ma il tempo è galantuomo e l’anno B arriverà puntuale…
Per farmi perdonare ho scritto un piccolo commento al vangelo di ogni giorno per tutto il mese di novembre! Edizioni Città Nuova. Costa appena 2 euro.
È uno strumento per la meditazione quotidiana basato sulle letture del giorno, che si arricchisce dei ritratti di santi e beati e delle testimonianze di chi vive e mette in pratica gli insegnamenti del testo evangelico, quale stimolo a informare di esso il proprio vissuto.
Buona lettura!

mercoledì 14 novembre 2012

Foglie gialle a Villa Pamphili


Villa Pamphili, il più grande dei parchi di Roma. La città si fa lontana e ti immergi in paesaggi montani e lagunari, nobili e rustici, tra boschi e prati, laghi e ville. Un mondo che ossigena la mente e i polmoni, bello in ogni stagione e sempre diverso.
Ascolto Trilussa che mi recita la sua poesia autunnale, mentre il sole ravviva i colori:

Ma dove ve ne andate,
povere foglie gialle
come farfalle
spensierate?
Venite da lontano o da vicino
da un bosco o da un giardino?
E non sentite la malinconia
del vento stesso che vi porta via?

martedì 13 novembre 2012

I racconti di Cafarnao con affreschi del 1400


L'appuntamento questa volta è nientemeno che a Prato
nella mia città natale (nemo propheta in patria!).
Venerdì prossimo, 16 novembre, ore 21,15.
Non so se vale la pena assistere allo spettacolo - I racconti di Cafarnao.
(Certamente, vista soprattutto la compagnia teatrale)
Ma vale la pena soprattutto per approfittare di questa occasione per entrare in uno dei più straordinari edifici Trecenteschi,
ricco di storia e di opere d'arte,
e soprattutto nel refettorio maggiore,
dove si terrà lo spettacolo,
dove si potranno  ammirare gli affreschi del 1400 di Tommaso di Piero del Trombetto.
Vi aspetto per questa che sarà una serata indimenticabile.

lunedì 12 novembre 2012

Il Concilio, gli Oblati e l’apprezzamento per le culture / 5

Il superiore generale Lèo Dechâtelets
al tempo del Concilio

Continuiamo a leggere quello che scriveva 50 anni fa l’agenzia: AROMI
Novembre 1962, Casa generalizia: Visite episcopali
“Non v’è dubbio che il Concilio ci abbia valso già di numerose visiti di Padre Conciliari. Pensiamo che i nostri lettori amino conoscere i nomi di quanti hanno onorato la nostra tavola della loro presenza. Possiamo dare soltanto un’arida lista di nomi e subito ci scusiamo delle omissioni che possiamo fare.
(Segue una lista di 32 nomi di vescovi, nunzi, superiori generali provenienti da tutto il mondo)
Inoltre il Rev.mo Padre generatale ha ricevuto la visita di numerosi altri vescovi venuti a implorare missionari per la loro diocesi o vicariato apostolico”.

Forse, anche grazie a questi molteplici contatti, gli Oblati hanno potuto infondere nel Concilio il loro tipico atteggiamento di apertura e di dialogo, frutto della loro presenza missionaria in tutto il mondo.
Basti pensare all’apprezzamento delle molte culture, affermato già nel primo documento emanato dal Concilio, la Costituzione sulla liturgia: l’adattamento all’indole e alle tradizione dei vari popoli è possibile perché se ne riconosce il loro valore; la Chiesa “rispetta e favorisce le qualità e le doti d’animo delle varie razze e dei vari popoli”, ed è pronta a “prendere in considerazione” i valori positivi ivi presenti (Sacrosanctum Concilium, 37).
Dalle culture alle fedi, che delle culture sono espressioni: “la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che […] non raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini” (Nostra aetate, 2, EV, I, 857; cf. Ad gentes, 22, EV, I, 1168-1169).
Spesso si è rivelato una certa ingenuità, soprattutto nella Costituzione pastorale Gaudium et spes, nel valutare in maniera troppo positiva la bontà della cultura e della società contemporanea. L’ottimismo degli anni Sessanta sarebbe stato presto entrato in crisi. Nondimeno il Concilio aveva ben presente le antinomie della società contemporanea e non ne taceva gli aspetti negativi o problematici (cf. Gaudium et spes, 56). Quello che rimane comunque fondamentale è l’atteggiamento di apertura e di dialogo espressamente perseguito dai Padri Conciliari. 

domenica 11 novembre 2012

Metti in tavola il servizio migliore

Ricordo quando da ragazzi, sentendo parlare dell’apparecchio alla morte, allargavamo le braccia e facevano l’aereo (l’apparecchio appunto) che cade in picchiata. L’apparecchio alla morte si riferisce naturalmente alla preparazione (dal verbo apparecchiare; proprio come apparecchiare la tavola). È il titolo di un famoso libro di sant’Alfonso Maria de Liguori, pubblicato la prima volta a Firenze nel 1737.
Il mese di novembre, come la morte di p. Théophile, mi richiama l’importanza di quella preparazione. Ogni tappa della nostra vita si prepara accuratamente: la catechesi ai genitori prima del battesimo del figlio, la preparazione alla prima comunione, alla cresima, al matrimonio… Anni di preparazione per la professione religiosa, per il sacerdozio… E ogni momento è preceduto da giorni di ritiro… Soltanto per la morte sembra non ci sia una catechesi, un corso di esercizi spirituali. Eppure tutte le altre tappe sono in vista di quella, la più importante di tutte, che ci apre la porta per la vita vera.
Occorre proprio apparecchiare la morte, come si apparecchia la tavola per la festa, con il servito migliore: preparare la festa (non a caso Gesù ha paragonato il paradiso ad una tale dove ci si assiede a festa).
In questo giorno di san Martino (offuscato dalla celebrazione della domenica) possiamo leggere come lui ha apparecchiato la tavola della sua morte-vita, nel racconto di Sulpizio Severo:

Quando già pensava di far ritorno al monastero, sentì improvvisamente che le forze del corpo lo abbandonavano. Chiamati perciò a sé i fratelli, li avvertì della morte ormai imminente… Non ebbe paura di morire e non si rifiutò di vivere. Intanto sempre rivolto con gli occhi e con le mani al cielo, non rallentava l'intensità della sua preghiera. I sacerdoti che erano accorsi intorno a lui, lo pregavano di sollevare un poco il suo povero corpo mettendosi di fianco. Egli però rispose: “Lasciate, fratelli, lasciate che io guardi il cielo, piuttosto che la terra, perché il mio spirito, che sta per salire al Signore, si trovi già sul retto cammino… Il seno di Abramo mi accoglie”. Nel dire queste parole rese la sua anima a Dio. Martino sale felicemente verso Abramo. Martino povero e umile entra ricco in paradiso.

sabato 10 novembre 2012

Un addio senza foto, anzi…

Questa mattina p. Théophile Le Page è partito per il Cielo. Sembrerà strano ma, in questi due anni nei quali abbiamo vissuto insieme, è sempre riuscito intenzionalmente a schivare l’obiettivo della mia macchina fotografica: non ho una sua foto.
O meglio, ho con me l’immagine di questo ultimo periodo di ospedale: un’immagine sempre sorridente, una gratitudine immensa che mi ha sempre dimostrato per ogni visita, una stretta di mano fortissima ogni volta che partivo da lui. “Dove senti male?”. “Dappertutto”. “Allora stai male…” “No, tutto bene”.
L’ultima messa che ho potuto celebrare nella sua stanza d’ospedale, prima che perdesse conoscenza, è stata mercoledì scorso. Ho usato il formulario per l’unzione degli infermi, pregando perché “questo nostro fratello infermo non si senta solo, ma unito a Cristo, medico dei corpo e delle anime… perché senta la continua presenza del Signore che porta su di sé il dolore del mondo… perché sperimenti la forza consolatrice dello Spirito…”.
Accompagnare nell’ultimo tratto del santo viaggio, fino alla soglia dell’eternità, per poi lasciare l’a tu per tu dell’incontro con Dio. È la missione più bella.

venerdì 9 novembre 2012

Cure palliative: un manto d’amore

Cicely Saunders
«Serve un approccio anche "spirituale": la medicina ha fatto passi straordinari, ma i bisogni delle persone continuano ad andare al di là di quelli "fisici". Occorre creare un clima, in cui pazienti e familiari trovano il coraggio di accettare ciò che sta loro accadendo». Così Cicely Saunders, l’inventrice degli hospices delle Cure palliative.
Nata a Londra nel 1918, nel 1967 diede vita al St. Christopher, da dove è partita la diffusione degli Hospice, dove si assistono i malati terminali fino alla fine della loro vita nel modo più confortevole possibile, applicano cure palliative.
Palliativo, da latino “pallium”, il mantello, quasi ad avvolgere l’ammalato con tutte le cure possibili, ma anche con l’affetto, il rispetto per la sua dignità, per la sua persona come entità unica e "indivisibile", fatta di "fisico" e di "spirituale": un approccio totale, che “avvolge” la persone in tutte le sue dimensioni.
Me lo ricorda questa mattina il cappellano dell’Hospice Villa Speranza, dove il nostro padre Théophile Le Page sta ormai terminando il cammino della sua vita, circondato dall’amore di medici, infermieri, volontari...
«Sono convinta – diceva Cicely Saunders, profondamente credente – che il fondamento più importante che abbiamo potuto collocare alla base della somma di tutti i bisogni dei morenti ci sia stato donato nel giardino del "Getsemani" nelle semplici parole di Gesù: “Vegliate con me”». È quello che ogni morente ripete, con Gesù e come Gesù, anche quando non ha più la forza di pronunciarle. Questa notte sarà padre Nino a rispondere a queste parole che Gesù dice in padre Théophile.

giovedì 8 novembre 2012

La fede? Un racconto!

P. John Staak alla difesa della tesi
Sì, sembra proprio che la fede sia un racconto. A cominciare a Lui che – parola di Benedetto XVI (l’ha detto sempre il 17 ottobre 2012, nella sua prima catechesi per l’Anno della fede) – con la rivelazione “si autocomunica, si racconta, si rende accessibile”. È proprio così, lungo tutta la Bibbia Dio si racconta, si dona parlandoci di sé. Un racconto presuppone sempre una storia e quella di Dio è straordinaria, non finisce mai…
E noi? “Noi siamo resi capaci di ascoltare la sua Parola…Ecco allora la meraviglia della fede: Dio, nel suo amore, crea in noi – attraverso l’opera dello Spirito Santo – le condizioni adeguate perché possiamo riconoscere la sua Parola”. Inizia così la conoscenza reciproca, il dialogo… una storia, insomma.
Come mai Pietro poté dire: “Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivo”, e il centurione: “Questi era davvero il Figlio di Dio”, e Tommaso: “Signore mio e mio Dio”?... Perché ognuno aveva avuto una sua storia con Gesù. Non è che in quel momento ognuno di loro lo conosce, più esattamente lo riconosce, perché è già stato con lui, hanno camminato insieme. Quell’atto di fede è il frutto di una storia, è il racconto della storia di Dio e della propria storia con Dio che si è raccontato a noi. Basta pensare al Credo: è il racconto della storia di Dio, nella quale ci troviamo coinvolti anche noi. Che bella la fede!
P. George McLean

Oggi John Staak, un Oblato americano, ha difeso la sua tesi di dottorato in filosofia all’Università Gregoriana proprio sul cammino che porta alla fede, all’incontro personale con Dio. Lo studio si è incentrato sul pensiero del filosofo George McLean, un altro Oblato americano, ora ultra ottantenne, professore all’Università Cattolica d’America, che per 40 anni ha viaggiato per il mondo intero, soprattutto nei Paesi comunisti, già al tempo della guerra fredda, per promuovere il dialogo culturale e la ricerca dei valori, pubblicando centinaia di libri. “Guardare le culture con gli occhi della fede – usa ripetere – è cercare di cogliere in esse l’iniziativa dello Spirito Santo e la risposta dell’uomo”.