domenica 4 novembre 2012

San Carlo Borromeo e san Carlo de Mazenod


San Carlo Borromeo e san Carlo Giuseppe Eugenio de Mazenod: tutti e due nobili, conti, titolo che Eugenio rivendicò presso la corte di Napoli e Palermo; tutti e due vi rinunciarono per un titolo ben più nobiliare: servo di Cristo; tutti e due vescovi di due grandi città, Milano e Marsiglia; tutti e due santi.
San Carlo Borromeo era il suo patrono personale, come di tutta la famiglia de Mazenod nella quale il primo nome di ogni maschio era Carlo (ma anche la sorella, Eugenio, si chiamava Carlotta). Celebrava con particolare gioia l’onomastico ed era contento quando, diventato fondatore, gli Oblati gli facevano gli auguri accompagnati da qualche regalo.
Nel suo viaggio a Milano nel 1826 ne visita la tomba (cf. a Tempier, 14 maggio 1826).
Lo venera con affetto e lo prega regolarmente: “Mi rivolgerò anche al mio buon angelo custode, a s. Giuseppe, a s. Carlo, a s. Eugenio, a s. Luigi Gonzaga” (Appunti di ritiro Maggio 1811).
Il confronto tra la propria vita e quella del santo protettore sarà sempre vivo e di sprone. Ne ricorda lo zelo (cf. a Tempier, 15 Agosto 1822). Lo prende ad esempio del distacco interiore dalle cose “imitando s. Carlo mio patrono che praticava la povertà” (Ritiro compiuto nel seminario di Aix nel dicem­bre 1814); della frequenza della confessione richiesta a lui come a ogni sacerdote, “se vuoi perseverare nella virtù e nella limpidezza della co­scienza richiesta per salire ogni giorno all’altare di Dio”: “mi limiterò a richiamare l’esempio dei santi, quali un s. Filippo Neri, un s. Carlo Borromeo e tanti altri che si confessavano tutti i giorni…” (Regolamento redatto durante il ritiro di Aix nel dicembre del 1812).
“Le grandi imprese di un s. Carlo Borromeo – affermava con sincerità – hanno sempre suscitato nel mio cuore più soddisfazione e gioia che non ammirazione” (1 Agosto 1830)
Nel diario della missione tenuta a Marignane racconta di aver parlato alla gente “sulla necessità di una grande espiazione sull’esempio di Gesù e quello di parecchi santi: fra gli altri s. Carlo Borromeo il quale, durante calamità di minore importanza s’è offerto vittima; ma egli voleva allontanare soltanto castighi temporali mentre noi vo­gliamo debellare la malattia orribile che divora e perde le anime: per questo i missionari volevano imitarlo”.
Ammira il suo coraggio nell’applicare le riforme richieste dal Concilio di Trento e le paragona a quanto accade a Marsiglia: “Se per le grate dei confessionali i parroci di Marsiglia fanno tanto chiasso, che avrebbero detto delle riforme di S. Carlo, che direbbero di quelle da dover fare anche a Marsiglia?” (A Tempier, 9 marzo 1826).
San Carlo è punto di riferimento anche per il suo episcopato. Una volta, confrontandosi con certi provvedimenti presi da altri vescovi della Francia, affermò chiaramente: “Si vuol passare per miti e compassionevoli, ed ora che ci si è messi in moto si fa a gara a chi darà più dispense per non restare indietro. S. Carlo non si sarebbe comportato in tal modo, e nemmeno io che non sono s. Carlo ma Carlo e basta” (9 luglio 1832).

San Carlo Borromeo non è soltanto protettore suo e della sua famiglia, ma anche dei suoi missionari, come scrive allo zio Fortunato: “Noi prenderemo per protettori e per modelli s. Carlo e s. Fran­cesco di Sales, la nostra casa sarà un seminario per regolarità, la vostra vita un esempio per i vostri sacerdoti” (17 novembre 1817).
Il nome di san Carlo era apparso fin dal primo progetto di dar vita ad una comunità di missionari: “Vivremo assieme in una casa da me comprata – aveva scritto al futuro primo compagno – sotto una Regola che adotteremo di comune intesa, ispirandoci agli statuti di S. Ignazio, di S. Carlo, di S. Filippo Neri, di S. Vincenzo de' Paoli e del b. Alfonso dei Liguori” (9 ottobre 1815).
Al punto che, quando decide di andare dal Papa per l’approvazione pontificia, cambia il nome di “Missionari di Provenza” (non più adatto perché i missionari sono ormai anche fuori della Provenza), in “Oblati di San Carlo”. Quando però si trova davanti al papa gli chiede: “Vostra Santità approva che la Società prenda il nome di Oblati della SS. e Immacolata Vergine Maria al posto di quello di Oblati di S. Carlo preso precedentemente?”. “Il Papa, continua sant’Eugenio, non rispose né si né no… Il cambiamento m'è parso necessario per non essere confusi con infinite comunità che portano la medesima denominazione” (A Tempier, 22 dicembre 1825). Al momento il cambio del nome non gli sembrò di grande importanza e motivato da contingenze. Solo più tardi si rese conto che, pur con tutto l’amor e la venerazione per san Carlo, il nome faceva bene la differenza!

Nessun commento:

Posta un commento