giovedì 31 maggio 2012

Visitazione ed evangeizzazione


Perché si mise subito in viaggio? L’evangelista non lo dice. Il testo sembra suggerire che il segno dato dall’angelo – Dio aveva reso feconda la sterilità di Elisabetta – doveva essere verificato. Mi piace tuttavia assecondare la lettura tradizionale che vede Maria spinta dalla carità e dalla volontà di servizio verso la parente anziana. Maria, scrive Ambrogio di Milano, «si avviò in fretta verso la montagna, non perché fosse incredula della profezia o incerta dell’annuncio o dubitasse della prova, ma perché era lieta della promessa e desiderosa di compiere devotamente un servizio, con lo slancio che le veniva dall’intima gioia». Lo stesso Paolo VI, nell’enciclica Marialis cultus, accoglie questa interpretazione quando scrive che la festa della Visitazione «ricorda la beata vergine Maria, che porta in grembo il Figlio e si reca da Elisabetta per porgerle l’aiuto della sua carità e per proclamare la misericordia di Dio salvatore» (n. 7). Il primo intento è il servizio, la conseguenza è la proclamazione di quanto Dio ha operato. «Maria va per fare il bene – scrive Enzo Bianchi – e finisce per portare Cristo».
La Vergine nella Visitazione assurge a icona di quel dialogo e di quell’annuncio a cui tutta la Chiesa è chiamata. Non possiamo tenere per noi stessi la Parola che in noi si è fatta vita, abbiamo detto in queste pagine; siamo chiamati a partecipare il dono ricevuto. Il Vangelo è uno scrigno prezioso che racchiude inestimabili tesori di luce: da esso non soltanto possiamo attingere costantemente per la nostra vita, ma possiamo anche distribuirne a tutti le inesauribili ricchezze, a mani piene. Anche noi subito in piedi, con l’urgenza, la sollecitudine, la premura di farci prossimi, di servire, di condividere la Parola di Dio ricevuta e l’esperienza di fede che ne è nata.

martedì 29 maggio 2012

La santità, progetto concreto


Sto partecipando a un seminario sulla santità. Cosa di più bello? Sembra una raltà lontana, per pochi eletti. No, non è un optional, tutti siamo davvero chiamati a vivere in pienezza la vita cristiana.
Ho richiamato gli elementi essenziali, a cominciare dal “Santo”, il nome per eccellenza di Dio. Questa parola, in ebraico come in greco, suggerisce l'idea di separazione. Indica l'intensità dell’esistenza di Dio, il suo essere inaccessibile, la sua trascendenza. Egli è il totalmente altro da tutto quello che possiamo conoscere: «Chi è come te tra gli dèi, Signore? Chi è come te, maestoso in santità, operatore di prodigi?» (Es 15,11). «Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria» (Is 6,3). Questo uso triplicato del termine «santo», secondo la grammatica ebraica, è come un superlativo straordinario, di un'intensità incomparabile.
La santità appartiene propriamente a Dio solo è la sua perfezione, ma egli può comunicarla ad altri esseri separandoli dalla circostante sfera profana e introducendoli nella sua sfera. Così è dei luoghi in cui JHWH si manifesta: il roveto ardente, il cielo, il tempio, Gerusalemme, ma soprattutto il suo popolo. Il suo piano è fare del suo popolo una nazione santa: «Voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli… Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa» (Es 19, 3-6).
Israele deve rispondere a questa chiamata santificandosi: «Siate santi, perché io, JHWH, Dio vostro, sono santo» (Lv 19, 2); concretamente attraverso la separazione: “Sarete santi per me, poiché io, il Signore, sono santo e vi ho separati dagli altri popoli, perché siate miei” (Lv 20, 26).
In Gesù il tre volte Santo di Isaia si manifesta come Dio Uni Trinitario: Gesù è il Santo di Dio, prega il Padre Santo e dona lo Spirito Santo. Il Dio Santo, inconoscibile, totalmente altro, si fa vicino a noi, Emmanuele, anzi si fa uno di noi, viene a vivere in mezzo a noi e mostra la natura più intima della sua santità: perché tre volte Santo Dio, vive nella reciprocità del dono, dell’accoglienza, della mutua immanenza, è Amore.
Gesù non soltanto mostra la santità di Dio, ma la comunica in virtù della sua immolazione sulla croce: «siamo stati santificati mediante l'offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre» (Eb 10, 10). Egli, nel dono dello Spirito, è la nostra santificazione: (Cor 1, 30); «siete stati santificati, nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio» (1 Cor 6, 11).
Si tratta di una partecipazione vera, reale, alla santità di Dio e alla sua vita intratrinitaria: «Siamo figli di Dio, e lo siamo realmente!» (1 Gv 3, 1); un «germe divino dimora» in noi (1 Gv 3, 9); siamo “partecipi della natura divina» (1 Pt 1, 4), della vita di Dio Trinità e Amore.
La santificazione operata da Gesù mediante lo Spirito consiste nella creazione di un popolo santo: «Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato» (1 Pt 2, 9-10). Cristo infatti «ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa» (Ef 5,25-27). È una santità collettiva: «Dio ha voluto santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra di loro, ma volle costituire di loro un popolo che lo riconoscesse nella verità e fedelmente lo servisse» (LG 9).
I cristiani quindi sono giustamente chiamati «santi»; questa la designazione ordinaria dei membri della comunità primitiva, prima in Palestina e poi in tutte le altre Chiese come appare nelle lettere paoline.
Tele santità ontologica o oggettiva domanda di essere tradotta in santità morale o soggettiva. I verbi da indicativi si fanno imperativi: «Dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera» (Ef 4, 17.20-24). «I fedeli devono, con l'aiuto di Dio, mantenere e perfezionare, vivendola, la santità che hanno ricevuta» (LG 40).
Se l’amore è la natura di Dio, la sua santità, è nell'amore e nel dono di sé che si può diventare quello che si è oggettivamente: santi. La santità è la pienezza, la perfezione dell'amore: «Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (1 Gv 4,16).
La santità di risposta implica una crescita costante verso la perfezione.
Nel Vangelo, Gesù parla a due riprese di perfezione: alla fine del discorso della montagna: «Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5, 48); al giovane ricco: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi…, poi vieni e seguimi» (Mt 19, 21; cf. Mc 10, 21; Lc 18, 22).
Anche Paolo adopera l'espressione «perfetto», «perfezione » per indicare una certa pienezza di vita cristiana: «Non che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre… corro verso la mèta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù. Quanti dunque siamo perfetti, dobbiamo avere questi sentimenti» (Fil 3, 12-15). Egli mette sullo stesso piano «raggiungere la mèta» e essere perfetti, che giungono al pieno sviluppo della vita e del pensiero cristiano, alla maturità spirituale (cf. 1 Ts 5, 23; 1 Cor 2, 6; 14, 20; 2 Cor 13, 9-11; Ef 4, 13; Eb 5, 14).

lunedì 28 maggio 2012

Un amore più grande per il papa



Le vicende vaticane continuano ad incalzare la cronaca.
Ne nasce un amore ancora più forte per il papa,
tenuto all’oscuro di tante manovre, aggirato, tradito, lasciato solo…
Proprio come Gesù negli ultimi giorni.
Quegli ultimi giorni fruttarono la salvezza del mondo.

domenica 27 maggio 2012

Credo nella Chiesa, non nel Vaticano

Torno a Roma e sono assaliti dai titoli dei giornali che parlano della Chiesa, sul tipo “Scossa la casa di Dio”. C’è una miscela esplosiva: corvi in Vaticano, direttore Ior, Emanuela Orlandi…
Forse occorrerebbe una salutare distinzione tra Vaticano e Chiesa. Il Vaticano è una piccolissima porzione di Chiesa, poco più di un migliaio di persone. Il papa potrebbe benissimo andare a vivere altrove (Giovanni Paolo II voleva trasferirsi in san Giovanni in Laterano… magari l’avesse potuto fare!), e lasciare lo stato vaticano a vivere per conto suo. Anche la curia romana è una piccolissima porzione di Chiesa.
La Chiesa… è quella di Gesù, quella dello Spirito Santa, quella del popolo di Dio che ho appena visto vivissimo nelle Filippine. Con il papa come pastore, certamente, ma solo come pastore…
Credo la Chiesa, una, santa, cattolica, apostolica, credo nel mandato che Gesù ha dato a Pietro e ai suoi successori… non credo nello stato del Vaticano, anche se prego per quello e per i suoi abitanti, come prego per tutti gli altri stati.

sabato 26 maggio 2012

Anche nelle Filippine il sangue dei martiri


La tomba di Padre Jesus Rey
nel cimitero oblato di Cotabato

Ho ripreso la via del ritorno, più di trenta ora, tra voli e attese in aeroporto. Sono ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi, in compagnia di Padre Jesus Reynaldo Roda, uno dei nostri quattro martiri delle Filippine. Sto leggendo un libro su di lui, ricco di testimonianze e di suoi scritti. Un uomo semplice e profondo, che fin da ragazzo era deciso a dare interamente la sua vita a Gesù e alla sua gente. Ucciso da estremisti islamici il 15 gennaio 2008, nelle isole Tawi-Tawi, dove sono stati uccisi anche gli altri Oblati. Aveva già ricevuto minacce da parte di dissidenti islamici legati al gruppo Abu Sayyaf , ma aveva rifiutato la scorta. Aveva 55 anni e dopo essere stato missionario in Thailandia era da 10 anni sull’isola di Tabawan, guidando una piccola stazione missionaria, portando avanti l’attività pastorale per una comunità cattolica di una trentina di persone, gestendo programmi di istruzione e di dialogo interreligioso. Era anche Direttore della scuola Notre Dame di Tabawan, frequentato da bambini cristiani, musulmani e indigeni; per i musulmani vi aveva costruito una moschea.
Se ho trovato tanta vita in questi giorni è anche perché questa terra è fecondata dal sangue dei martiri.
Mi hanno colpito in modo particolare alcuni scritti di p. Jesus Reynaldo sul sacerdozio, forse perché domani, Pentecoste, è anche l’anniversario del mio sacerdozio. Tra l’altro scrive:
Signore Gesù, mi dono interamente a te perché so bene che il prete è un altro Cristo. Desidero che la mia vita sia interamente come la tua, a disposizione del Padre, per compiere la sua volontà anche se mi costasse la vita…

Filippine a tutto campo


12 ore di viaggio alla ricerca di alcune comunità oblate, tra monti e valli, tra risaie inondate di acqua o già verdi di riso maturo, tra piantagioni di caucciù e bananeti, tra foreste di palme di cocco, tra villaggi e capanne… Filippine a tutto campo! Mille gli squarci di panorama, le scene e i dettagli di vita quotidiana che scorrono dal finestrino dell’auto: la lavorazione del cocco; le strade inondate dalla pioggia notturna; i jeepney pieni all’inverisimile di donne e bambini mentre uomini e ragazzi sono appollaiati sul tetto dell’auto; famiglia intera sulla moto: papà con bambini davanti, un altro bambino in mezzo, dietro la mamma con l’ultimo nato in braccio; la ragazza che trasporta un maiale vivo sulla propria moto; le capanne di bambù…
Nella fattoria degli Oblati
Una delle vasche di allevamento dei pesci
Il mondo degli Oblati è altrettanto variopinto: la prima scuola Notre Dame delle Filippine, la grande parrocchia di 130.000 abitanti e con 64 stazioni missionarie; la stazione radio; le case in bambù come quelle villaggio; le parrocchie delle zone agricole con cappelle scarse ovunque; gli Oblati che per raggiungere i villaggi di montagna senza strade viaggiano a piedi, in moto, a cavallo o trainati, quando c’è troppo fango, dai bufali d’acqua.
La novità di oggi è la grande fattoria a coltivazione biologica che gli Oblati portano avanti da anni. Nata per aiutare i poveri della zona è ora un modello pilota, dove vengono per periodi prolungati gli studenti di agraria e persone dall’estero. All’inizio il terreno, sulla montagna, era completamente arido, senza alberi, ora è una foresta con allevamenti di animali e di pesci, coltivazioni le più diverse, un inno alla creazione.
Infine un santuario della madonna immerso nella natura, un vero gioiello, con attorno una ventina di casette per i ritiri spirituali e i convegni di formazione cristiana…
Tutto continua a dare gloria a Dio.

giovedì 24 maggio 2012

Una Università per la missione


L’intenso lavoro dell’Associazione dei rettori degli istituti accademici degli Oblati continua con passione. Dopo aver passato in rassegna gli Istituti dell’Africa e del Nord America, oggi il dialogo si sofferma sull’Università nella quale siamo ospiti. La storia dell’Università Notre Dame che il rettore, Padre Eduardo Tanudtanud, ripercorre con noi, è strettamente legata alla missione degli Oblati nella regione.
Nel 1948 nacque il Collegio Notre Dame per preparare maestri e offrire studi superiori ad una regione priva di ogni istituzione. Nel 1969 acquista lo stato di università. Seguono gli anni Settanta con la guerra che proprio, attorno agli edifici dell’università, ha vissuto momenti tragici, anche per il sostegno degli Oblati contro la dittatura di Marcos. Sono anche gli anni del terremoto seguito dallo tsunami, che ha distrutto l’università.
Negli anni Ottanta mentre si ricostruisce l’università si rivedono gli statuti e i programmi in dialogo con la maggioranza musulmana di professori e studenti. All’inizio degli anni Novanta l’università diventa un attivo centro per la pace e la riconciliazione. Ora è tempo di espansione, di nuove tecnologie, di preparazione specializzata del personale.
La cappella dell'Università
Come abbiamo fatto nei giorni precedenti con le altre istituzioni, passiamo in rassegna le linee programmatiche delle sette facoltà di questa nostra università, le attività accademiche e extra accademiche, i problemi logistici, istituzionali, finanziari, di personale, di politica educativa, modernizzazione, di identità oblata… sono problematiche notevoli e appassionanti. Ad esse, comuni a tutte le nostre università, qui si aggiungono le sfide della povertà, della massiccia presenza musulmana, delle alluvioni che sommergono aule e uffici, del basso livello culturale degli studenti…
Una povera università nella regione più povera delle Filippine! La povertà si manifesta in tutti gli aspetti della vita, compreso quello dell’educazione. Eppure la missione si esprime anche portando avanti questo ministero universitario, con i poveri mezzi a nostra disposizione. Fa impressione sapere che tutta l’università fa il ritiro mensile, distinto tra cristiani e musulmani; ogni mattina nelle classi si prega insieme con testi cristiani e musulmani…
La catena di 152 scuole di ogni grado (con 2700 professori) cui gli hanno dato vita sono associate all’università. Anche attraverso queste istituzioni gli Oblati compiono la loro missione in tante parti delle Filippine, soprattutto qui nel Sud dove soltanto il 75 % della popolazione è alfabetizzata. 

Gli Oblati coinvolti nell'ARMM


Davanti al palazzo del governo regionale
Jun Mercado mostra la mappa dell'ARMM

La visita al palazzo del governo generale dell’ARMM (Regione Autonoma nel Mindanao Musulmano) ci ha aperto gli occhi sulla realtà di questa regione del sud delle Filippine, la più povera del Paese: poco più di un dollaro al giorno per persona, 1 medico ogni 10.000 abitanti, la più alta moralità infantile, il 70% dei bambini che non finisce la scuola elementare...
Shariff Kabunsuan, un missionario arabo, introdusse l’Islam nel 15° secolo, fino a formare un Sultanato islamico. La maggioranza musulmana, dopo che la regione fu incorporata alle Filippine senza nessun referendum, ha sempre lottato per l’autonomia. Nel 1973 scoppiò il conflitto tra il Fronte Nazionale Moro di Liberazione e le forze armate filippine. Le leggi marziali del Presidente Marcos alimentarono ulteriormente le ostilità e la guerriglia.
Nel 1990 finalmente nasce la Regione Autonoma, ma un nuovo gruppo, il Fronte Islamico Moro di Liberazione, di natura fondamentalista e guidato dall’estero, continua la lotta fino alla guerra del 2000, finita con un armistizio l’anno successivo. La Regione Autonoma è ora in cammino verso sviluppi ci pace e di crescita economica. Nonostante la sua autonomia riceve circa il 98% dei propri finanziamenti dal Governo centrale.
P. Jun Mercado è di casa nel palazzo del governo generale dell’ARMM perché, da buon Oblato, ha lavorato e continua a lavorare con tutte le forze per la pacificazione e l’autonomia. Col sorriso permanente sulle labbra, un lungo pizzetto da saggio cinese, è l’uomo dei rapporti, del dialogo della fratellanza universale, accolto, rispettato e amato da tutti. È lui che ci guida nel palazzo alla scoperta della realtà della Regione. L’Università Notre Dame degli Oblati ha formato i leaders che ora sono in tutti i fronti, in quella di liberazione nazionale musulmano e in quello del governo centrale e tutti hanno chiesto a p. Mercado, che è stato rettore dell’università, di farsi garante del rispetto degli accordi tra le parti. Il suo centro di dialogo cristiano-musulmano produce frutti tangibili anche dal punto di vista politico ed economico. Gli Oblati continuano così la tradizione di dialogo nella Regione.
Al Cemnro media Oblato
Il pomeriggio è continuato con la visita alla più importante moschea, fuori città, dove il fiume sfocia nel mare: una “cattedrale” nel deserto… verdissimo, circondato da una natura d’incanto: le risaie, i monti boscosi, le piantagioni di banane, le selve di palme di cocco. Lungo la strada i contadini che battono il riso, i bufali al pascolo, i pescatori che lavorano il pesce… L’orologio della storia sembra tornare indietro di secoli.
È ormai sera quando terminiamo con visitare alcune istituzioni oblate: il pre-noviziato, il cimitero, la grotta di Lourdes e il centro di ritiri, in un bosco di alberi giganteschi, metà di pellegrinaggio e di riposo per centinaia di famiglie, il Centro mass media, con la radio e il più antico giornale della città che si stampa dal 1948.
Gli Oblati appaiono davvero i missionari dei poveri dai molteplici volti.

martedì 22 maggio 2012

Un incontro di famiglia


All’ingresso dell’Università Notre Dame uno striscione dà il benvenuto al 5° incontro dell’Associazione degli Istituti Oblati per gli Studi Superiori. La cosa interessante è che tenerlo fermo hanno attaccato ad ambo i lati due bottigliette d’acqua! Sicuramente l’iniziativa delle bottigliette è dovuta alla Facoltà di ingegneria, una delle più rinomata dell’Università che ha risolto in maniera così semplice ed efficace un annoso problema…
L’università è nata dal College istituito dagli Oblati nel 1948, il primo in Cotabato. È ancora l’unica università della regione e continua ad essere retta dagli Oblati. Sono qui convenuto, come l’anno scorso in Cedara Sud Africa, insieme ai cinque rettori delle istituzioni accademiche oblate per il consueto incontro che questa volta ha come tema l’identità oblata delle nostre università.

Il campus non è molto grande perché siamo in una regione semplice, una città di campagna dicevo, quindi un’università di campagna. 
L’ambiente è vivace, pieno di verde (compresi alcuni edifici!), con le palme di cocco che lo rendono particolarmente elegante. La maggior parte degli studenti sono musulmani e quindi non è facile fare le foto, specialmente con le ragazze. Tra cristiani e musulmani regna quell’armonia per la quale gli Oblati hanno tanto lavorato fin dal loro arrivo nelle Filippine. Le preghiere sono sempre con testi cristiani e musulmani; si sente l’invito del muezzin assieme alla campana dell’Angelus…



I membri dell'Associazione degli Istituti Oblati per gli Studi Superioricon l'arcivescovo Quevedo


Con alcuni Oblati filippini
A sera nella casa provinciale ci attendono una ventina di Oblati dei dintorni, venuti per farci festa. Viene anche l’arcivescovo della città, Orlando Quevedo, Oblato, per anni presidente della conferenza episcopale. È un momento di gioia intensa. Tutto è allestito come nelle grandi occasioni di famiglia, compresa la porchetta!
Guardando sul sito del Movimento dei Focolari vedo che è appena stato pubblicato un articolo sulle Filippine, definite “Un pozzo di petrolio spirituale”:

Cotabato, città di campagna


L'aeroporto di Cotabato

Nella luce limpida di prima mattina Manila dischiude nel vasto orizzonte i mille grattacieli, sbocciati come funghi nella notte. Ieri sera, dopo cena, ho visitato il campus dell’università dei Gesuiti, dove è presente anche la facoltà di teologia dove studiano i nostri Oblati. Sono spazi e parchi che in Italia non possiamo neppure immaginare. La cappella universitaria è un’autentica cattedrale; l’ho trovata gremita di centinaia di studenti… Ci siamo quindi diretti verso l’Università delle Filippine, ma questa è una città nella città, estesa per chilometri e chilometri in mezzo a boschi che non hanno fine, con una propria compagnia di trasporti... Nella chiesa, per la messa della domenica sera, gli studenti sono adunati a migliaia, tanto che molto di loro devono rimanere fuori, sotto la pioggia, uno dei tanti segni della religiosità filippina. Un altro segno è una libreria cattolica che ho scorto all’interno dell’aeroporto!
Dall’alto, volando verso Sud, le Filippine fanno bella mostra del mare limpido, delle migliaia di isole piccole e grandi, fino ai minuscoli atolli, mentre le impalpabili nubi bianchissime decorano cielo terra e mare.
A Cotabato, nell’isola di Mindanao, a metà strada tra Davao e Zambuanga,  inizia la seconda parte della mia avventura filippina. 
L’aereo atterra in mezzo a coltivazioni di palme di cocco, in un piccolo aeroporto. Ai piedi della scaletta dell’aereo una carriola di ombrelli a disposizione dei passeggeri, per ripararsi dal sole nel tragitto fino all’unica stanza dell’aeroporto.
Subito in città, che non ha più niente a vedere con la grande Manila. Questa è una città di campagna, immersa nella ricchissima vegetazione tropicale. Sono accolto all’università con tutti gli onori, come un grande personaggio. Il pranzo non è quello spartano degli Oblati di Manila, ma un autentico banchetto, con camerieri e camerieri impeccabili (studenti), imbandito con frutte esotiche mai viste… Mi sembra di essere in un paradiso terrestre. Peccato che non possa uscire dal campus, è troppo pericoloso, mi occorrerebbe la scorta militare. Sono in un paradiso terrestre, ma dopo il peccato! Occorre vivere e pregare perché Gesù non sia morto invano… 

domenica 20 maggio 2012

Filippine: i Sette Oblati Pionieri


San'Eugenio de Mazenod:
Una interpretazione filippina

I primi tre Oblati furono uccisi nel 1942, decapitati dai Giapponesi, un anno dopo che questo avevano invaso le Filippine.  Gli Oblati erano arrivati nel sud dell’arcipelago, nel 1939. Erano in sette. Le loro foto sono affisse in ogni casa su un grande poster: I Sette Pionieri. Erano stati chiamati dal vescovo gesuita sulla regione che allora costituiva una sola vastissima diocesi, quella di Zambuanga, che comprendeva anche l’arcipelago di Sulu. Il governo aveva appena organizzato una massiccia migrazione dal centro e dal nord delle Filippine, verso queste nuove terre, abitate fin da allora da popolazioni musulmane, stanziate lungo le coste. Le terre all’interno delle isole furono assegnate ai nuovi arrivati, cristiani. Al momento soltanto tre Gesuiti servivano questa crescente nuova popolazione. I “Sette Pionieri” giunsero dagli Stati Uniti ed iniziarono il loro lavoro missionario. Allo scoppio della guerra erano 17. Dopo aver visto bruciare case e chiese, fuggirono con la loro gente sulle montagne. Tre furono catturati e decapitati, gli altri dopo sei mesi furono rinchiusi in diversi campi di concentramento nella città di Davao. Da qui furono poi portati nel grande campo di concentramento di Manila, allestito nell’università Santo Tomas. Fu proprio in quel periodo di detenzione che gli Oblati si radicarono profondamente nel mondo filippino: stando fianco a fianco con i detenuti e condividendo dolori e stenti, entrarono nella vita e nel cuore della
Gente, che divenne la loro per sempre. Erano giovani padri, usciti appena dalla formazione impartiti nei seminari degli Stati Uniti; qui fecero la loro vera formazione.
Dopo la guerra tornarono nel Sud, ricostruirono le chiese, aiutarono le popolazioni e il governo a riorganizzare la vita dei villaggi e delle città, aprirono scuole, diedero vita a giornali e a radio, tre di loro furono nominati vescovi e la Chiesa riprese a crescere, le città di Cotabato e di Jolo divennero il centro della loro irradiazione. Nel 1950 veniva ordinato il primo Oblati filippino… Oggi sono 120 gli Oblati nelle Filippine e altri lavorano in altre nazioni…
Domani, 21 maggio, è la festa di sant’Eugenio de Mazenod: sarà contento di vedere la sua famiglia dei Missionari Oblati così viva anche qui, nelle Filippine.



Manila: Tra bellezze antiche e tragedie umane


Mattinata allo Scolasticato. Sono 19 gli studenti oblati di teologia, anche se in questo momento di vacanza soltanto la metà sono a casa; gli altri sono lavorano negli ospedali per un periodo di tirocinio. Celebro la messa e mi intrattengo a lungo con loro. Volti belli, pieni di speranza.
Accanto la casa degli Oblati anziani a malati, dove sono ospite in questi giorni. Vengono seguiti con molta cura, in un ambiente bellissimo, pieno di verde, dove godono il  meritato riposo dove una vita dedicata alla missione.
Così giovani e anziani abitano accanto, in una felice osmosi.
Nel pomeriggio una visita al vecchio centro storico costruito dagli Spagnoli nel 1500: “Intramuros”, con le roccaforti, le mura sulle quali si passeggia, la chiesa di sant’Agostino, la cattedrale, le strade acciottolate; rivivi il fascino antico del periodo coloniale.
Ad un fast-food prendiamo un pezzo di pizza al taglio, ma mi va di traverso perché fuori un bambino e una bambina sono incollati alla vetrina: sognano di poter gustare anche loro, un giorno, un pezzo di pizza, fino a quando la guardia del locale li manda via.
È ormai buio quando decidiamo di andare alla metropolitana a piedi, senza prendere il jeepney, il più economico, rumoroso e polveroso mezzo di trasporto mai inventato. E qui la tragedia. Camminiamo per una mezz’ora sul marciapiede lungo la foce del fiume Pasig verso la metro. Fino ad oggi avevo visto la gente che vive sui marciapiedi sempre dall’auto. Questa volta mi sono trovato a camminare in mezzo a loro, per la maggior parte donne e bambini; gli uomini sono già per la città a rovistare nella spazzatura. I bambini più piccoli dormono su uno straccio, un pezzo di cartone, un semplice ciuffo d’erba che spunta tra le mattonelle. Le mamme stanno preparando i più grandicelli per la notte. Intanto su poca brace un pentolino. Tutti mi salutano con poche parole inglese: essendo un bianco sono sicuramente un americano! Il cielo lampeggia e riecheggia di tuoni. Forse tra poco pioverà. Dove andranno a dormire? Sotto i lunghi ponti dei cavalcavia, delle sopraelevate, delle metropolitane che corrono anch’essere sopra le strade? Ho ripensato alle capanne dei villaggi zulu incontrati in Sud Africa o quelle visitate nelle campagne del Senegal e nella Guinea Bissau: mi sono sembrate umanissime. Qui, nella città, il degrado e la disumanizzazione. 

sabato 19 maggio 2012

I mille volti di Manila



Manila mi svela un altro volto, quello degli Oblati. Innanzitutto Caloocan City, una delle sette che compongono la Grande Manila.
La scuola superiore Notre Dame ci apre le porte con i suoi 3000 studenti. Il direttore, Oscar Lucas, è un giovane Oblato e crede nella sua missione. Sa coinvolgere i 200 professori e gli altri impiegati nel progetto missionario che lega la catena di Scuole Notre Dame a cui gli Oblati hanno dato vita nelle Filippine. L’edificio principale porta il nome de Mazenod e una sua bellissima statua campeggia nella cappella. “La nostra identità? – si legge nel grande pannello all’ingresso – Una comunità ispirata dal carisma oblato.  La nostra prospettiva? Evangelizzare attraverso una educazione qualificata. La nostra missione: Formare cristiani filippini che siano all’altezza dei loro compiti e competitivi in ogni campo”. Nell’ufficio del direttore le parole di sant’Eugenio, stampate su un altro grande quadro,  gli ricordano costantemente il suo programma: “Aiutare le persone a diventare prima umane, poi cristiane e infine sante”. Nell’edificio per la pratica turistico-alberghiera, gli studenti ci hanno preparato un raffinato spuntino, degno di un grand hotel.
Ora siamo nel santuario della Madonna delle grazie, una delle più grandi parrocchie di Manila: 200.000 abitanti. Organizzatissima, con decine di edifici, dall’ambulatorio, le sale di assistenza ai poveri, l’associazione dei laici che condividono il carisma oblato… fino ad un grande moderno edificio signorile, che risulta essere, secondo gli usi del posto, il cimitero parrocchiale, con le urne cenerarie… Ce n’è insomma per tutti i gusti. Gli impiegati nei vari uffici sono una trentina, più numerosissimi volontari, inimmaginabile da noi. Il cuore di tutto, naturalmente, è il santuario. Vi passo un paio d’ore in preghiera e assisto a un via vai costante di persone che passano davanti alla Madonna: bussano al suo vetro, si segnano, si fermano in prolungato silenzio… La maggior parte sono giovani (ma presto mi accorgo che per tutta la città ci sono soltanto giovani…).
Nel pomeriggio una seconda parrocchia, nata all’inizio degli anni Settanta in mezzo a un grande quartiere di baraccati. Lentamente, anche grazie agli Oblati, la zona si è sviluppata, anche se mostra ancora i volti della povertà. Assieme al parroco ci accolgono alcune impiegate (qui sono soltanto 11, oltre naturalmente i volontari) e ci raccontano la vita della parrocchia (ogni domenica una decina di battesimi e matrimoni…). 100.000 gli abitanti, con cinque cappelle in altrettanti rioni, ma non bastano e, a rotazione, la messa viene celebrata nelle strade…
Infine torniamo a Quezon City, ad un grande centro per corsi e ritiri, con un immenso parco. Ospita fino a 300 persone alla volta. Anche adesso c’è un bel gruppo di chierichetti (ragazzoni dai 15-16 anni) con il loro cappellano oblato e coppie di fidanzati…
Mi pare che neppure da queste parti agli Oblati manchi la fantasia.
La giornata termina in un’altra città della Grande Manila: un ambiente diverso da quelli visti fino ad ora, con la povertà in primo piano, i marciapiedi dove, sotto un telone, vivono in permanenza le famiglie… Siamo in mezzo a grattacieli, a locali pieni luci, a strade piene di vita, a frotte di giovani che passeggiano godendosi il venerdì sera…
I  mille volti di Manila.

giovedì 17 maggio 2012

Con gli angeli nel degrado di Manila



Soltanto gli angeli avrebbero potuto portarmi in uno dei tanti inferni di Manila, in queste terribili bidonville di miseria e di degrado morale. Loro ci vivono, accanto alla gente, amate e venerate. Una bambina, che non si staccava da una di loro, continua a dire: “È mia mamma!”. Sì, sono le suore. Quali? Non ha importanza, le suore sono sempre le suore, ovunque. Ci sono i ricchi sfondati a Manila, ci sono quartieri moderni e lussuosi, ma dall’altra parte della strada ci sono anche queste sacche di povertà. In baracche miserrime, tra scoli di acque putride, vivono a migliaia. E loro, le suore, sono lì, vicine, pronte a portare qualcuno all’ospedale, ad aiutare la tredicenne già mamma, a dotare i bambini dell’occorrente per la scuola – almeno fino a quando non decidono di abbandonare tutto per continuare la vita di strada dei genitori…
Una donna con suo ragazzo vende poche cose ammucchiate su quello che chiamano il carrettone (un carrettino, a dire la verità), all’angolo della strada principale: è anche la casa dove insieme dormono la notte. Gli uomini sono seduti su vecchie casse a passare il tempo, altri dividono i metalli raccolti per strada o setacciano i sacchi di spazzatura accumulati durante la notte. Le donne tengono in braccio i bambini, lavano un panno nell’acqua sporca, cucinano nell’unica pentola. Metto la testa nelle catapecchie, pochi metri quadrati: pochi panni, gente che pigrotta. Eppure tutti che sorridono, che salutano, che mi danno il benvenuto nelle Filippine. Ma basta una malattia – la tubercolosa fa strage – ed è subito tragedia. In una casa c’è un morto imbalsamato, mentre fuori, ai tavolini appositamente preparati, i vicini giocano a carte e lasciano qualche soldo: in dieci, quindici giorni si potranno raccogliere i soldi per il funerale, altrimenti… ci sono sempre le suore che convinceranno le pompe funebri o il comune a fare uno sconto in ragione della povertà…
Li ho conosciuti a Roma, questi angeli, e ora me li ritrovo qui: in mezzo al fango non si sporcano le ali, anzi, vi vedo riflessi d’oro.

mercoledì 16 maggio 2012

Filippine, popolo giovane


Foto di altri tempi nelle filippine

Dopo una trentina di ore di viaggio eccomi finalmente a Quezon City, una delle sette città che compongono la grande Metro Manila, senza soluzione di continuità. Mi sembra che la prima volta che venni nelle Filippine fosse nel 1989. Da allora sono venuto altre volte, ma è sempre una emozione nuova. Rivedi le strade di sempre, affollatissime e caotiche; i jeepney, auto artigianali lavorate in lamiera non trattate per i privati e coloratissime per i taxi; i tricicli taxi tirati dalla bicicletta o dalla moto;  le stesse baracche ammonticchiate l’una sull’atra lungo gli argini di fiumi, fossi e canali; i grattacieli sempre più grandi; i muri neri dall’umidità; i pantaloncini unisex indossati da tutti contro il gran caldo; i vicoli decorati con le bandierine di carta che dalle grandi arterie si inoltrano nei meandri dei quartieri popolari, mentre quelli che portano nei quartieri ricchi hanno le sbarre e le guardie armate… Quanti bambini, quanti giovani brulicano per ogni dove; ce ne sono così tanti che è facile “l’esportazione”! Come faremmo in Italia senza di loro. Che popolo ricco!

martedì 15 maggio 2012

Negli Emirati Arabi Uniti


Di nuovo in volo, questa volta verso Oriente. In mattinata la Grecia mi spalanca il limpido panorama dei monti aridi e del mare blu con insenature e isole, quasi un invito a librarsi nell’aria e a tuffarsi dall’alto. Nel pomeriggio riparto da Atene, alla volta di Abu Dhabi, capitale degli Emirati Arabi Uniti. Volando contro sole quando arrivo nel golfo è già notte. Esco dall’aereo e mi impatto contro la muraglia del caldo soffocante del deserto. Alle 20.30 locali sono in aeroporto, in tempo per sentire diffondere dagli altoparlanti la cantilena con la recita del Corano, La preghiera musulmana della sera. Mi fa sempre impressione questa esplicita dichiarazione della propria fede. Chissà che effetto farebbe all’aeroporto di Fiumicino sentir diffondere l’Angelus Domini! La proclamazione coranica cada nella più assoluta indifferenza del consueto caos commerciale tipico che – effetto globalizzazione – non si differenzia da tutti gli altri aeroporti, così come non si differenziano i prodotti. I video di presentazione di Abu Dhabi che ho potuto seguire in aereo non fanno mistero della fede musulmana, anzi la affermano come identità tipica della regione e invitano i visitatori a farne esperienza.
Ripartirò nel cuore della notte

lunedì 14 maggio 2012

Ho fatto Pietro


Era proprio Lui. Stava controluce, ma era proprio Lui. Lo riconoscevo e non lo riconoscevo nei suoi lineamenti, ma era proprio Lui. Ansimante, caddi in ginocchio e lo guardai.
- Pietro, mi ami?
- Ti amo, gli dissi con la passione di sempre.
- Mi ami più di tutti?
- Sì, Maestro, gli gridai con convinzione, mentre mi sentivo il cuore in gola, e non era più per la corsa nell’acqua.
- Pietro, mi ami veramente?
La terza volta! Mi sentii schiantare il cuore. Mi sentii vacillare. M’invase un timore oscuro…  il mio tradimento, il mio triplice tradimento:
Lo guardai di nuovo. Lo riconoscevo e non lo riconoscevo, tra il velo delle lacrime, ma era Lui. Ora soltanto, dal baratro del mio tradimento, potevo dire la verità:
- Tu lo sai – sussurrai con un filo di voce, ma fu la mia vita a dirglielo –, tu sai tutto, tu lo sai che ti amo.
- Pasci le mie pecorelle.
- Cosa?
- Ho detto: “Pasci le mie pecorelle”.
È successo così.
È così che mi ha aperto la via.
È stato tanti anni fa.
Da quel giorno
che percorro il mondo
parlando di Lui,
testimoniando l’amore.

Con il racconto di Pietro terminano i Racconti di Cafarnao. Da narratore – sul palco fino a quel momento io facevo semplicemente me stesso – sono diventato protagonista: hanno voluto che fossi io a impersonare Pietro anziano… Potessi dire davvero, dal cuore, quelle sue parole, potessi dirle davvero con la vita.