martedì 15 gennaio 2013

Fianarantsoa, la scuola della sapienza

Fu fondata dalla regina Ranavalona prima nel 1830, come seconda capitale. In effetti, con i suoi 170 mila abitanti è la seconda città del Madagascar. Leggo che ha la ferrovia, ma è senza treni, e un aeroporto, ma senza aerei… Non ha industrie e vive dell’agricoltura e del piccolo commercio. Il traffico è molto limitato ed costituito principalmente dai taxi e dai minubus. Il trasporto minuto avviene su carrette. Gli uomini sono curvi e spingono fin con la testa carichi di mattoni, cemento, lungo strade con forti pendii. La città infatti sale e scendi su colline circondate da un ampio raggio di montagne. Siamo sui 2000 metri. Gli alberi di mele convivono con i banani e con la vite; i pini con il “rivanala”, l’albero simbolo del Madagascar.
La città alta, con le antiche case in mattoni rossi del 1800, sembra un villaggio rimasto fermo nel tempo passato. I venditori di carbone salgono le strade e le gradinate con i sacchi sulle spalle, fissati a un asse di bambù. Incontro ben due turisti, credo gli unici in tutta la città, eppure il piccolo borgo invita a percorrerlo con calma e a goderne gli angoli romantici.
La cattedrale di Ambozontany, che domina la città, ricorda che Fianarantsoa è ancora oggi il più importante centro cattolico, con numerosissimi istituti religiosi. Do un saluto al noviziato intercongregazionale femminile che raccoglie una ottantina di novizie di vari istituti, visito il monastero trappista circondato da un grande bosco, il centro di teologia dove studiano seminaristi di varie diocesi e di una decina di congregazioni, lo studentato degli Oblati, la loro parrocchia in una delle zone più povere della città... Mi pare che il nome della città, Fianarantsoa, sia adatto; esso significa scuola dove si apprende il bene o la sapienza.
Per gli studi che riguardano la scienza (compresa quella teologica) la situazione è forse più complicata, a cominciare dall’università statale in crisi endemica. Visitando librerie e biblioteche scopro un altro tipo di povertà, quella culturale, di cui la scarsità di libri e di riviste è un segno evidente. Potrà mai questa gioventù essere competitiva e entrare nel circuito internazionale? Ma chissà che non sia vero il proverbio malgascio: “Gli uomini sono come il riso che si prende dalla pentola per versarlo nel piatto: che è sotto passa sopra”.

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