sabato 16 febbraio 2013

I Racconti di Cafarnao approdano in Lituania

19 giovani studenti dell’accademia d’arte dell’università di Kaunas hanno rappresentato “I racconti di Cafarnao” sotto la direzione di due professoresse. Con loro un attore del teatro nazionale che ha interpretato Pietro. Gli studenti sono al primo anno d’arte drammatica, ma hanno lavorato benissimo, pienamente coinvolti nel testo. La cosa più bella è che durante le lezioni hanno dovuto familiarizzarsi con  i Vangeli e con la persona di Gesù, cosa che la maggior parte di loro non aveva mai fatto.
Lo spettacolo è stato interpretato davanti a più di 130 religiose radunate a Kaunas per due giorni di convegno che sono stato invitato a guidare. Abbiamo celebrato la messa nella chiesa dei Francescani, bella ma ancora tutta da restaurare, con squarci nelle pareti che mettono in diretta comunicazione interno ed esterno rendendola gelida da morire. Nel tempo del comunismo era adibita a deposito di medicinali.
Tante suore mi conoscono grazie ai precedenti incontri che ho tenuto qui in Lituana. Mi pare che questa sia la quinta volta che vengo in Lituania. Altre sono state mie alunne o le ho comunque conosciute a Roma… Offrono un bellissimo sguardo sulla Chiesa lituana, forse ne sono l’anima più pura.
Oggi è anche festa nazionale, a ricordo del 16 febbraio 1918, giorno dell’indipendenza dagli Stati Europea. Fino ad allora una parte della Lituania apparteneva alla Germania, una parte alla Russia, un’altra ancora alla Polonia… L’altra festa nazionale si celebra l’11 marzo, indipendenza dall’Unione Sovietica nel 1990.

Intanto apa Pafnunzio continua la sua meditazione sulla preghiera sacerdotale. Gesù, dopo aver detto di voler dare la vita eterna a tutti quelli che il Padre gli ha affidato, spiega in cosa consiste questa vita: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo”. Ad apa Pafnunzio sembrava strano che la vita conoscesse nella conoscenza. Il rapporto che egli aveva con il Padre – unico vero Dio – e con Gesù, era un rapporto di fiducia. Si affidava completamente a lui, sentiva di essere nelle sue mani, come un bambino nella braccia della madre, si sapeva amato. Abramo e Mosè erano detti “amici di Dio”, così come il santo padre Antonio del deserto. Non che apa Pafnunzio si volesse paragonare ad Abramo o Mosè, ma neppure ad Antonio. Eppure si sentiva amico di Dio. Poi c’era Gesù che aveva assicurato che non l’avrebbe più chiamato servo, ma amico. Si sapeva amato e desiderava ardentemente di riamarlo con tutto il cuore, l’anima, le forze. Questo rapporto era la vita di Pafnunzio. Forse “conoscere” Dio e “conoscere” Gesù voleva dire proprio tutto questo. Sì, doveva essere proprio così, la vita eterna sarebbe stata la pienezza della relazione d’amore e di amicizia di cui adesso sperimentava appena una briciola. Non era, quella di cui parlava Gesù, una conoscenza soltanto intellettuale, ma l’adesione di tutto se stesso alla chiamata di Dio, fino alla consumazione dell’amore.

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