martedì 12 marzo 2013

Come apa Pafnunzio fu coinvolto nel rapporto tra Padre e Figlio

Dopo che per giorni continuava a recitare la preghiera sacerdotale di Gesù, apa Pafnunzio si era reso conto che essa somigliava alle parole degli innamorati che tornano e ritornano a ripetersi, senza mai stancarsi di dire e ridire le medesime cose.
Gesù amava ricordare al Padre che tra loro tutto era comune, frutto di una reciproca immanenza: “Tutte le cose mie sono tue, e tutte le cose tue sono mie”; “Tu, Padre, sei in me e io in te”; e ancora: “Noi siamo una sola cosa”.
Erano dunque queste le parole che Gesù rivolgeva al Padre quando la notte si ritirava a pregare in luoghi solitari? Quando sentiva la nostalgia del cielo lasciava tutti per stare a tu con il Padre e ripetere: “Tu, Padre, sei in me e io in te… Noi siamo una cosa sola”. Quante volte avrà fatto scorrere in cuore quelle parole?
Quella sera necessitava più che mai di entrare in dialogo profondo con il Padre; stava per affrontare la grande prova e aveva bisogno di sentire il Padre in sé e di sentirsi nel Padre. Soltanto in quel rapporto avrebbe trovato la forza per affrontare passione e morte.
Ma perché, si domandò apa Pafnunzio, quella sera Gesù parlava con il Padre con tanta confidenza ad alta voce, davanti ai suoi discepoli, e non più da solo, in luoghi isolati? Perché li rendeva testimoni del suo rapporto d’amore e di reciproca appartenenza con il Padre? Non era forse per coinvolgere anche loro in quel dialogo, in quell’abbraccio d’eternità?
Ne fu confermato quanto ripeté per intera la prima frase: “Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro”. Dapprima gli risuonarono incomprensibili quelle parole: “Io sono glorificato in loro”. Poi, a mano a mano che entrava nella preghiera, comprese che Gesù condivideva con i suoi la gloria, la vita divina che il Padre e il Figlio si scambiavano, al punto da diventare la gloria e la vita dei suoi discepoli, coinvolti nel circolo d’amore trinitario.
Resi così partecipi di quella vita fatta d’amore reciproco e d’unità, l’avrebbero irradiata nel mondo e dunque avrebbero reso gloria al Figlio, che viveva in loro e tra loro, testimoniandolo: essi avrebbero continuato la sua missione.
Apa Pafnunzio si era ritirato nella solitudine del deserto proprio come aveva fatto Gesù, ma tante volte si era chiesto se avrebbe mai potuto intessere il dialogo con il Padre con l’intensità che Gesù sperimentava solitarie nelle notti di preghiera. Ora non se lo chiedeva più: sapeva che “tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, perché Tu, sei in me e io in te… Noi siamo una cosa sola”. Lui, peccatore, con le sue povere forze, non poteva certo sognarsi di raggiungere il Padre, troppo lontano. Ma in Gesù quella comunione era già realtà.

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