martedì 5 marzo 2013

Il buon Samaritano, il Vaticano II e il nuovo papa

Nella parabola del buon Samaritano Paolo VI vedeva il paradigma della svolta antropologica operata dal Vaticano II: un atteggiamento di benevolenza, di stima, di amore e di servizio verso la società contemporanea, così da perseguire la propria missione di unità.
Al termine del Concilio, nel suo discorso di chiusura, il Papa prendeva atto del grande cambiamento che era avvenuto nella Chiesa: il programma di dialogo, partecipazione, collaborazione, ascolto con il mondo moderno, proposto agli inizi da Giovanni XXIII, si era realizzato: “Il magistero della Chiesa […] è giunto, per così dire, a dialogare con lui [l’uomo contemporaneo]; e pur conservando sempre l’autorità e la forza che gli sono proprie, ha assunto la voce familiare ed amica della carità pastorale, ha desiderato farsi ascoltare e comprendere da tutti gli uomini […] esso ha parlato all’uomo d’oggi, così com’è. […]
“L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio”. Esso aveva provato per il mondo contemporaneo la stessa compassione di quell’uomo buono per il ferito che giaceva lungo la strada: “Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani (…) ha assorbito l’attenzione del nostro Sinodo. (…) Una corrente di affetto e di ammirazione si è riversata dal Concilio sul mondo umano odierno”.

È quanto racconto sull’articolo che ho pubblicato sull’ultimo numero di Unità e Carismi, dedicato ai 50 anni del Concilio Vaticano II:
Dal nuovo papa ci aspettiamo che prenda sul serio il Concilio e aiuti tutti a prenderlo sul serio.

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