sabato 22 giugno 2013

La Bibbia dei Kennedy e il Book of Kells

Oggi in tutta l’Irlanda grande commemorazione per i 50 anni della visita di J.F. Kennedy nel Paese di origine dei suoi antenati, pochi mesi prima della sua uccisione.
Quando il bisnonno dovette lasciare l’Irlanda per cercare fortuna in America, portò con sé l’unico bene che possedeva: la Bibbia. Quel libro è passato di generazione in generazione. J.F. Kennedy lo fece portare da Boston alla Casa Bianca, per averlo ancora con sé.
Una volta il libro della Bibbia aveva un valore.
Ne è un esempio straordinario il Book of Kells, il più grande tesoro della cultura irlandese, custodito nel santuario della cultura irlandese, il Trinity College.
È il famoso manoscritto dei quattro vangeli, creato attorno al settimo secolo tra la Scozia e l’Irlanda e poi conservato per quasi tutto il Medioevo nel monastero di Kells.
Nella monumentale biblioteca dell’università un intero padiglione è dedicato esclusivamente all’Evangeliario. Le prime sale documentano la storia e le tecniche di composizione del libro. Hanno ucciso 185 vitelli di latte per ottenere i fogli del libro: pelli di prima qualità. Soltanto una piccola parte del vello è adatta per preparare una pagina di lusso. Il monastero doveva possedere un armento di almeno 1200 bovini.
Il testo è scritto con un inchiostro tratto da comune solfato di ferro, ma per i colori delle decorazioni e delle pitture miniate gli artisti hanno usato pigmenti organici e minerali provenienti dalle lontane regioni del Mediterraneo. Tra i colori più costosi il marrone e il rosso e soprattutto il blu dei lapislazzuli, che venivano dall’unica miniera conosciuta nel Medioevo, che si trovava nientemeno che in Afganistan. Insomma, per questo libro i monaci hanno investito un capitale.
Ma hanno investito anche tempo. Certe pagine per essere scritte e decorate richiedevano anche un mese intero di lavoro. Quanto ci sarà voluto per scrivere i 340 fogli dell’evangeliario?
Il Book of Kells non è un libro. Gerardo Cambrense, nel 1200, lo definiva “opera non di uomini, ma di angeli”, mentre per Umberto Eco è “il prodotto di un’allucinazione a sangue freddo”.
Più semplicemente è l’espressione di un popolo di cui racchiude la cultura. Tutta l’Irlanda, tutto il popolo celtico è espresso in questi fogli, nelle sue miniature, nelle decorazioni, nel volo degli angeli e degli uccelli, nel muoversi dei pesci, dei serpenti e dei leoni, nella solennità di Cristo, di Maria, degli evangelisti. L’intero simbolismo di una nazione è qui codificato in un canone estetico di inestimabile ricchezza e bellezza.

I monaci hanno investito tutto nel Vangelo: beni e talenti. Hanno saputo cogliere in unità Vangelo, cultura e bellezza. Hanno qualcosa da dire anche per l’evangelizzazione di oggi.

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