martedì 13 agosto 2013

Sri Lanka: come nasce una missione

Il Vescovo Semeria con i suoi compagni
Proprio in questi giorni, il 10 e 11 agosto 1847, il vescovo Bettacchini passava da Marsiglia e domandò al vescovo della città, mons. De Mazenod, di mandare con lui in Ceylon alcuni dei suoi missionari. Aveva girato in vano per l’Europa alla ricerca di preti per la sua isola. Il vescovo di Tulle che gli aveva detto: “Vada a Marsiglia. Lì troverà il fondatore di una recente e piccola congregazione missionaria. C’è un solo modo per ottenere da lui i missionari, bisogna dirgli che si tratta di salvare le povere anime, le più povere”.
Eugenio de Mazenod obiettò che aveva da poco aperto le missioni nelle Isole britanniche e in Canada e non aveva più personale. Allora Bettacchini ricordò il consiglio ricevuto: “Ma si tratta delle anime più abbandonate, ve l’assicuro, le più maledette della terra…”. De Mazenod fu colto sul vivo. Fu così che il 21 ottobre 1847 i primi quattro Oblati si imbarcano per il Ceylon insieme con mons. Bettacchini. Alla testa del gruppo c’era P. Stefano Semeria, un ligure che aveva sostituito padre Albini prima a Marsiglia nel lavoro con gli immigrati italiani, poi nelle missioni in Corsica, dove aveva operato con­versioni, “riconciliazioni spetta­colari”; “I banditi stessi – si raccontava – venivano a gettar­si ai suoi piedi”.
Viaggio lungo, una volta. Si imbarcavano a Marsiglia, sbarcavano al Cairo, dove ancora non c’era il canale di Suez, risalivano in barca il Nilo, proseguivano sui cammelli fino a Suez, e da lì si imbarcavano di nuovo verso Colombo, dove arrivarono il 28 novembre: 5 settimana di viaggio.
Arrivando nell’isola mons. Bettacchini seppe che non avrebbe continuato ad essere vescovo ausiliare di Colombo, ma sarebbe dovuto andare nel nord, a Jaffna, dove era stato appena istituto un nuovo vicariato apostolico. Gli Oblati lo seguirono. Padre Semeria fu nominato vescovo nel 1856 e nel 1957, alla morte di Bettacchini, divenne vicario apostolico.
Un missionario davanti a una delle sue cappelle
“In questi paesi così diversi dal nostro – scriveva a sant’Eugenio – la prima virtù del missionario è la pazien­za, la seconda la pazienza, la ter­za la pazienza”. L’organizzare dell’attività apostolica si ri­duceva ad una sola direttiva, quella di sempre, valida qui co­me in tutte le altre missioni: farsi tutto a tutti: “Dobbiamo aver la santa pazienza di accet­tare le persone così come sono e di lavorare per farle diventare, a poco a poco, come vogliamo”, cioè come vuole il Vangelo.
Era convinto che occorreva puntare sulle nuove generazioni, perché capaci di accogliere e vivere il vangelo in maniera genuina, senza sovra­strutture inficiate di superstizio­ne: “La rigenerazione radicale dei nostri cristiani deve cominciare dall’educazione”, diceva. Per questo aprì scuole e seminario.
Sant’Eugenio seguiva da Marsiglia i primi passi della nuova missione con particolare attenzione. A tutti gli Oblati del Ceylon scriveva: “Mons. Semeria vi avrà senz’altro detto quanto vi amo, come partecipo alle vostre consolazioni e alle vostre pene, quale sia la preoccupazione co­stante del mio spirito nei vostri riguardi. Però questo non mi ba­sta. Ora voglio dirvelo io stesso”.

La missione del Ceylon, pur in mezzo alle difficoltà, alle divi­sioni e alle contrarietà di ogni genere ha dato frutti meravigliosi. È nata una chiesa locale or­mai autonoma. Non ci son più Oblati stranieri che vengono nello Sri Lanka. Anzi, gli Oblati di qui – oggi 220 – sono diventati a loro volta missionari e sono partiti per la Malesia, l’India, il Pakistan, il Giappone, la Corea… perfino per l’Italia, a Palermo! Ricordo quanto scrisse in proposito anni fa il Provinciale: “Noi, in quanto missionari, non abbiamo una dimora stabile. Sia­mo come uccelli migratori. Dob­biamo essere là dove la Chiesa ha maggior bisogno di noi”. 

1 commento:

  1. <> sono parole che valgono per tutti ,nella vita. in queste parole c'è tutta la carica di accoglienza, di dedizione ,di generosità che il nostro prossimo ci chiede in ogni momento .

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