giovedì 31 ottobre 2013

Nel firmamento del Cielo



Apa Pafnunzio contemplava il cielo stellato. Era una di quelle notti fredde che rendevano l’aria tersissima, d’un buio fitto. Il firmamento splendeva in tutta la sua bellezza. Sembrava così vicino che, contando le stelle col braccio teso, egli aveva l’impressione di quasi toccarle con il dito. Piccole piccole e così luminose. Il Signore le aveva fissate saldamente alla volta celeste. Stavano lassù ben ferme, come diceva la parola stessa, firmamentum (anche se a volte qualcuna, chissà perché, se ne fuggiva sola e attraversava veloce il cielo lasciando una evanescente scia di luce). Fisse eppure sembravano muoversi: brillavano, pur stando allo stesso posto. Giravano lentamente, per tutta la notte, col girare della volta celeste, tutte insieme, senza mai cambiare posizione. Distribuite in armonia, unite da linee ideali che gli uomini avevano disegnato con la loro fantasia, formavano costellazioni e famiglie di costellazioni. Con l’occhio attento si potevano scorgere sempre nuove stelle e sempre nuove composizioni.
Ad apa Pafnunzio sembrava la parabola del Paradiso. Vedeva le stelle e si immaginava le anime dei santi, salde per sempre in Dio. Anch’esse erano ormai fissate per l’eternità nella posizione che Dio aveva loro assegnato, eppure “brillavano” d’altrettanto eterno movimento. E anche le anime dei santi, come le stelle, si componevano in sempre nuove costellazioni di rapporti d’amore.
Aveva tante volte iniziato a contare le stelle, ma si era sempre perso nel computo, i numeri gli si imbrogliavano o arrivava l’alba ad eclissarle prima che egli avesse terminato.
E quanti erano i santi nel cielo? Numerava i patriarchi e i profeti, gli apostoli e i martiri, i primi monaci che avevano popolato il deserto, alcuni di quelli che egli stesso aveva conosciuto e sapeva essere davvero dei santi. Ma quanti erano? Ancora un volta il conto gli sfuggiva. Il conto di quelli noti. E quelli non noti? Quelli noti solo agli occhi amorevoli e misericordiosi di Dio?
Se il firmamento, in quella notte d’inverno, era così bello, come sarebbe stato il Paradiso? Non gli rimaneva che andare a vederlo di persona. Decise così di prepararsi per essere fissato anche lui lassù, nel posto che Gesù era andato a preparargli.

mercoledì 30 ottobre 2013

Igino Giordani sulla Paternità universale del Papa





Mi passano tra mano libri di straordinaria bellezza, come questo, stampato nel 1943: Studiosi e Artisti Italiani a Sua Santità Pio XII nel XXV anniversario della Consacrazione Episcopale. Un volume alla cui realizzazione hanno contribuito i nomi più noti della cultura di allora. Ognuno si firma di proprio pugno, perfino le maestranze della tipografia, che riempiono due delle ultime ampie pagine dell’opera. Scorgo, tra le tante, la firma di Igino Giordani, al termine di un suo sentito scritto dal titolo “L’universale paternità del Papa”, nel quale leggo, dopo un’appassionata rievocazione storica:

“Così il Papa faceva, e fa, le veci di Cristo in mezzo ai popoli. In lui, la paternità divina è fatta visibile; e ha operato nei secoli con un impulso instancabile a sedar conflitti, placare collere, stroncare vendette…
Ci occorre oggi, con l’urgenza della crisi suprema, una forza connettiva, un nesso di richiamo, un segno a cui riconoscersi. E il Papa è questo. Il Papa sta qui anche per questo. Egli può essere la chiave di volta del nuovo sistema morale, su cui fondare il nuovo ordine…
Occorre chi ricrei il senso dell’umanità, con la fraternità e l’unità d’origine e di fine: chi ci riapra le vie che menano a Dio, dopo che s sono spalancate le porte che immettono nell’Inferno…”

Scritte settant’anni fa, sembrano parole d’oggi.

martedì 29 ottobre 2013

Sri Lanka interreligioso


Ho scritto un articolo sullo Sri Lanka per Città Nuova.
Mi sono accorto che ho ancora davanti agli occhi quel mondo.
L'inizio è... interreligioso:

Il benvenuto all’aeroporto lo dà una grande statua del Buddha che campeggia nella hall d’accoglienza dei passeggeri. Penso per un attimo all’effetto che farebbe a Fiumicino la statua del Sacro Cuore… Ma qui siamo nello Sri Lanka, dove la religione – il Buddhismo, così almeno appare subito evidente – è parte essenziale dell’identità nazionale.
Appena in città il canto che giunge dalle moschee mi ricorda che è la festa della fine del digiuno del Ramadan, il momento più sacro per i musulmani. Che sia l’Islam la religione dello Sri Lanka?
A Colombo sono soltanto di passaggio, ma già il primo giorno mi imbatto in uno dei santuari più famosi della città, la chiesa di sant’Antonio da Padova. Entro e sono travolto dalla fila di persone che si affollano davanti alla statua del santo per toccarlo, portarsi le mani al volto in segno di benedizione, lasciare un fiore, accendere una candela. Che sia il cristianesimo la religione dello Sri Lanka? Ma proprio davanti alla chiesa vedo un tempio indu.

Al tramonto due passi lungo canale che sbocca nell’oceano mi fanno incontrare famiglie che passeggiano, bambini che giocano, pescatori che rammendano le reti, donne anziane sedute che recitano insieme il rosario buddhista… mentre una grande statua di sant’Antonio, collocata sotto l’albero dell’illuminazione del Buddha, benedice tutti, senza distinzione di religioni. 

lunedì 28 ottobre 2013

Una Chiesa viva, silenziosa, che opera



1. Nuovi Orizzonti
2. Comunità San Leolino
3. Servidoras del Evangelio
4. Cançao Nova
5. Oblate di San Giuseppe
6. Francescani di Betania
7. Comunità di Shalom
8. Verbum Dei
9. Identes
10. Comunità al-Khalil
11. Francescani dell’Immacolata
12. Comunità dell’Emmanuele
Sono le 12 comunità presenti oggi al forum della rivista “Unità e Carismi”.
Tra loro anche due fondatori: Carmelo Mezzasalma della Comunità di san Leolino e Rosa dei Servidores del Evangelio.

Una testimonianza della forza dello Spirito e della vitalità della Chiesa.
Solo alcuni delle oltre 800 nuove comunità nate in questi ultimi anni. 205 sono nate negli Stati Uniti, 200 in Italia. A volte sono piccoli gruppi di poche decine di persone, altre volte migliaia.
Mentre ognuno raccontavano la sua storia e la sua esperienza, a prescindere dal numero, si sentiva una grande freschezza evangelica, una risposta d’amore da parte di Dio verso tanti mali della società di oggi.
Uomini e donne, celibatari e sposati, sacerdoti e laici, per lo più giovani, tutti insieme con una chiara vocazione alla santità, con una appassionata generosità nel mettersi al sevizio di tutti, nell’annunciare il Vangelo.
Presenze nascoste che lavorano in silenzio e portano un soffio di speranza.

Senti riempirti il cuore di gioia.

domenica 27 ottobre 2013

Insieme per patto o per contratto?

Nel rileggere le origini delle comunità religiose spesso si nota un particolare legame che unisce i primi membri attorno al fondatore e tra di loro. Esso abitualmente precede e determina ogni ulteriore formulazione giuridica mirante a rendere saldo e permanente tale legame. Si potrebbe intendere questo primitivo rapporto come il frutto di un implicito o esplicito “patto” che, nelle differenti formulazioni, richiama il comandamento nuovo di Gesù, l’amore reciproco (cf. Gv 13, 34); patto che ha le caratteristiche di una alleanza, di una relazione personale, di tipo primario e insieme olistico, basato sulla fiducia vicendevole e sulla condivisione di una forte e comune progettualità. All’inizio vi è dunque un ac-cordo (da “cuore”: mettere insieme i “cuori” e, figurativo, gli animi, le menti; oppure da “corda”: portare più corde di uno strumento o più strumenti o voci a un medesimo tono), un con-senso (il medesimo sentire), un “voto”, un “patto”, una “risoluzione”, una “alleanza” tra persone che si prefiggono di vivere e operare secondo un particolare stile di vita segnato da un comune desiderio di amore reciproco e unità.
Questo vale anche nel rapporto nascente tra un uomo e una donna che intendono formare una famiglia.
Quando poi il gruppo carismatico delle origini si sviluppa, si moltiplica in differenti comunità, si diffonde nello spazio geografico e nel tempo, si avverte il bisogno di un insieme di norme capaci di assicurare il legame tra le persone che ormai non vivono più insieme e non avranno più un rapporto primario. Senza questa struttura il gruppo rimarrebbe una piccola entità locale senza futuro. Una regola precisa, un “contratto”, diventa allora necessario perché la comunità primitiva possa dilatarsi in tutto il mondo e mantenga la propria identità.
Anche nel rapporto di coppia, al “patto” d’amore reciproco si affianca il “contratto” matrimoniale, altrettanto necessario.
Il rischio sempre latente è dimenticare che questo accordo tra persone che ha segnato gli inizi è il principale legame del gruppo, viene prima del “contratto”, della “regola”. Di qui la necessità di “tornare” a quel patto iniziale, prendere coscienza dell’unità dei cuori e delle menti che è all’origine.

Sono le cose che dico sempre e che ho ripetuto anche parlando al ritiro della nostra comunità. Forse ho colpito nel segno, perché in questi giorni in casa si sente ripetere, tra il serio e il faceto: “Ma insomma, qual è il legame tra me è te? Un patto o un contratto?”

sabato 26 ottobre 2013

Fare il punto


Giornata di ritiro. Ogni tanto fa bene fermarsi e domandarsi a che punto siamo.
Non c’è mai tempo per guardarsi un po’ dentro e domandarsi: “Come vanno le cose?”. C’è bisogno di fare il punto, di vedere se stiamo andando avanti o indietro, se siamo nella direzione giusta o se stiamo andando fuori strada.
O meglio, più che guardarsi dentro occorre guardare in Alto, darsi tempo per un a tu per tu con il Signore, domandargli cosa ne pensa di noi, se è contento di noi:
 “C’è qualcosa che dovrei cambiare, migliorare?”
A volte basta un attimo. A volte il colloquio può durare un giorno intero.
L’importante è ripartire sempre con nuovo entusiasmo e nuova convinzione.

venerdì 25 ottobre 2013

Lo Spirito soffia ancora


Da alcuni anni la rivista “Unità e Carismi” organizza dei “forum”, momenti di riflessione su tematiche di attualità ecclesiale, i cui risultati convergono successivamente pubblicati in un numero della rivista.
Nel prossimo forum, che avrà luogo a Roma il 28 ottobre 2013, ci interrogheremo
sulla “novità” di cui sono portatori i carismi suscitati dallo Spirito negli anni successivi al Concilio Vaticano II.
Lo Spirito infatti continua a soffiare, crea cose nuove, continua a chiamare giovani uomini e donne a seguire Gesù.
Saranno una decina i rappresentanti di questi nuovi gruppi, che ci narreranno:
-  L’origine del gruppo, la sua natura e la sua collocazione ecclesiale
-  L’apporto caratteristico alla vita della Chiesa e della società
-  Le modalità di rapporto con le altre realtà carismatiche presenti nella Chiesa.
L’evento si terrà dalle 16.00 alle 19.00 nella Sala dei Popoli, Missionari della Consolata

Via delle Mura Aurelie, 16 - Roma

giovedì 24 ottobre 2013

Quasi quasi torno ad essere cattolico


“È facile punire i più deboli, ma i pesci grossi nuotano liberamente nelle acque”.
Penso che tutti sono stati colpiti da queste parole dette dal papa ieri all’udienza, riferendosi ai carcerati.
Ha detto anche altre cose belle, più da papa, del tipo: “Il Signore è dentro con loro. Nessuna cella è così isolata da escludere il Signore, nessuna; Lui è lì, piange con loro, lavora con loro, spera con loro; il suo amore paterno e materno arriva dappertutto. Anche Lui è un carcerato, ancora oggi, carcerato dei nostri egoismi, dei nostri sistemi, di tante ingiustizie”.

Ma quella verità che i “pesci piccoli” sono in carcere mentre i “pesci grossi” se la cavano sempre, è così lampante e condivisa da tutti, che questa mattina ho sentito uno che diceva: “Con quello che dice questo papa, quasi quasi torno ad essere cattolico!”

mercoledì 23 ottobre 2013

Dubai crocevia di popoli


Anche questa volta nel mio viaggio aereo, nell’andata e nel ritorno, ho fatto scalo a Dubai, centro di confluenza tra Europa, Asia, Africa. Nel moderno, spazioso e luminoso aeroporto si vedono persone di tutti i continenti, in moto perpetuo, tipico di ogni aeroporto.
Quante persone, quante sfumature di colori e lingue e fogge. Quanti mondi diversi.
Tra le donne le differenze sono ancora più marcate, da quelle seminude a quelle interamente coperte, con vesti che strascicano per terra in modo che anche le scarpe o i sandali rimangano nascosti. Mi colpiscono due occhi grandi, spalancati, di una donna bambina, che spuntano tra il curioso e lo spaventato dallo chador. Sembra celino un mistero. Ma lo celano anche quelli di donne svelate, dai sorrisi falsi e dagli shorts vertiginosi.
Rispettare il mistero di ciascuno, nella sua straordinaria differenza, senza pretendere uniformità. Difficile da capire – che mistero sarebbe se fosse diversamente? – eppure accolto, nella convinzione che ognuno ha una ricca irrepetibile storia che vorrebbe raccontare, e che forse non sa narrare neppure a se stesso. 

martedì 22 ottobre 2013

Come fosse la prima volta



Moshoeshoe, il “Leone della montagna”, il grande re del Lesotho che nel 1800 accolse padre Gérard e i primi Oblati, è entrato nella leggenda. Quando era molto vecchio, ogni mattina, allo spuntare del sole, usciva dalla sua capanna, si guardava intorno e gridava: “Ah! dia ha! Ho visto di nuovo la luce”.
È un gran dono avere la capacità dell’incanto davanti alle cose più semplici e più vere, scoperte sempre nuove. È ciò che fa vivere e dà la gioia di vivere.

Ne trovo conferma nel piccolo gioiello che ho letto in questo periodo: Oscar e la dama in rosa. Ad Oscar, bambino ormai anziano, Dio rivela il suo segreto: “ogni giorno guarda il mondo come fosse la prima volta. Allora – scrive Oscar – ho seguito il suo consiglio con impegno. La prima volta. Contemplavo la luce, i colori, gli alberi, gli uccelli, gli animali. Sentivo l’aria che mi passava nelle narici e mi faceva respirare. Udivo le voci che salivano nel corridoio come nella volta di una cattedrale. Mi trovavo vivo. Fremevo di pura gioia. La felicità di esistere. Ero incantato”.  

lunedì 21 ottobre 2013

Nelson Mandela manda a dire…


A Cedara non potevo non visitare il luogo dove Nelson Mandela fu fatto prigioniero. Adesso vi è un museo che racconta la vita del grande eroe della Nazione.
Il Sud Africa mi lascia partire con il sole. Dopo giorno di pioggia ininterrotta i colori della natura sono più belli. L’autostrada che scende sinuosa verso Durban spalanca scenari da favola: colline ricche di vegetazione, tra cui dominano abeti, eucalipti e alberi dall’ampia chioma lilla.
Si intravedono le valli dove sono rimaste ancora sacche dell’antica povertà del tempo dell’Apartheid, quando i neri erano lasciati o portati ai margini di ogni infrastruttura, strade, luce, acqua, e dove hanno forse conservato valori e tradizioni antiche.
Infine la grande città. Percorro in fretta il centro, con l’antica cattedrale costruita dagli Oblati e dove si sono succeduti vescovi Oblati fino al 1992, i grattacieli, il moderno stadio, e soprattutto la lunga passeggiata sull’oceano con i parchi, gli alberghi eleganti… Poi sulle colline che chiudono la città, con salite e discese ripide e ville da favole. È una città bellissima. Tutto è stato costruito dai bianchi e abitato esclusivamente da loro fino a quanto l’Apartheid è terminata. Oggi la zona è abitata completamente da neri. I bianchi hanno costruito un altro centro e altre zone residenziali per loro. Le vedrò la prossima volta…

Quello che non si vede sono i quartieri degradati e le aree a rischio. Ne ho un piccolo saggio nel parco davanti alla casa provinciale, abitato giorno e notte da numerose persone senza fissa dimora che ne hanno preso possesso: materassi, teli di plastica, panni a distendere, rifiuti di ogni genere… Se potessi andrei da loro e ripeterei quello che diceva Nelson Mandela: “Noi ci chiediamo: "Chi sono io per essere così brillante, così grandioso? Pieno di talenti, favoloso?" In realtà chi sei tu per non esserlo? Tu sei un figlio di Dio”.

domenica 20 ottobre 2013

Kyrie e Gloria in zulu nella domenica missionaria


Domenica delle missioni in Sud Africa!

Concelebro alla messa delle 8, in inglese. I presenti sono tutti bianchi. I canti, seguiti sullo schermo e con la partecipazione di tutti, sono accompagnati dalle chitarre. All’inizio i bambini si presentano davanti all’altare per la benedizione, poi vanno nella loro sala di catechismo fino all’offertorio. All’omelia una suora nera parla della sua vocazione missionaria; strappa gli applausi.
Al termine alcuni laici danno gli avvisi e uno di loro proietta le diapositive del pellegrinaggio ad un santuario mariano qui in Sud Africa, raccontando la sua esperienza. Anche altri prendono la parola con le loro esperienza. Vengono ora davanti all’altare tre famiglie che ricevono l’immagine della Madonna e che per il prossimo mese diranno il rosario in casa con le famiglie vicine. Infine si presentano a tutta la comunità e bambini che prossimamente faranno la prima comunione.
L’atmosfera è di famiglia. Si vede che è una parrocchia molto affiatata. La messa è durata un’ora e mezza. Tutti si spostano nella saletta accanto per il caffè con i biscotti e rimangono ancora a lungo.
È ora la volta della messa in zulu. Tutti i presenti sono neri. Ci sono le Figlie di Maria vestite di bianco, le donne di Sant’Anna con le mantelle scure… I canti sono accompagnati dai tamburi e altri strumenti a percussione, dai gridolini delle donne, dal movimenti ondulati. Basterà guardare a ascoltare il Gloria:
Il Kyrie invece è senza strumenti, esempio di polifonia africana:
Dopo la messa rimangono attorno alla chiesa più a lungo dei bianchi, poi in gruppetti vanno a trovare i poveri… Per ricavare soldi per le opere sociali non vendono le torte fuori della chiesa, come si fa abitualmente, ma verdure portate dagli orti…
Forse abbiamo qualcosa da imparare anche per le nostre parrocchie.

sabato 19 ottobre 2013

Gli uccelli tessitori ricominciano sempre




Lascio il mare per le colline verso ovest. Salgo lungo l’autostrada fino a Cedara tra nebbie fitte. Una pioggerellina fine mi segue da due giorni.
Ma freddo, ma in compenso l’accoglienza dello Scolasticato è molto calorosa: 35 studenti Oblati di teologia. Soltanto uno di loro è bianco, in compenso un altro è un nero albino.
Li incontro e parlo loro a lungo… degli 80 martiri oblati, a cominciare da Alexius Reynard, ucciso nel 1875 dalle sue guide in Canada. Dieci anni dopo Léon Fafard et Félix Marchand. Nel 1913 Jean-Baptiste Rouvière e Guillaume Le Roux… Fino a Benjamin David de Jesus nel 1997.
Alla messa ho ricordato padre Gérard, che appena giunse qui tra gli Zulu, rimase incantato da come cantavano. Lo sono anch’io. Quattro Zulu insieme cantano a otto voci! Sempre accompagnati dai tamburi.
Non posso invece visitare l’Istituto di teologia, frequentato da 300 studenti, perché sono qui soltanto per il sabato e la domenica, quando tutto è chiuso. Incontro comunque un gruppo di professori che mi aiutano a comprendere l’alto livello accademico raggiunto e l’impegno nell’affrontare le tematiche più scottanti della cultura laica e secolarizzata del Sud Africa.
Intanto dalla parete a vetri della mia stanza, che si apre su un magnifico parco, mi giunge il continuo cinguettio degli uccelli tessitori intenti a preparare, nonostante la pioggia, i loro nidi complessi, sospesi ai rami degli alberi. Se non sono perfetti le femmine rifiutano di entrarvi, e devono ricominciare da capo. A terra tanti nidi abbattuti dal vento forte. E loro imperterriti ricominciano da capo, senza il minimo scoraggiamento. Una bella lezione anche per me!


venerdì 18 ottobre 2013

Maria in ritiro con noi

All’alba, prima che riprenda a piovere, una camminata sulla spiaggia deserta dalla sabbia bagnata e compatta che sale sulla costa confondendosi con i ciuffi d’erba e di palme. Sul mare, all’orizzonte, tra le nebbie, appaiono e scompaiono i grandi carghi immobili, come isole fantasma. La balena solitaria continua a slanciarsi in aria, mentre i delfini passano veloci, verso il nord, da dove torneranno questa sera.

Il ritiro riavvia la sua giornata nella contemplazione della straordinaria vocazione a cui Dio ci ha chiamato. I presenti sono meno numerosi degli altri gruppi che ho incontrato in questi due ultimi anni. In compenso tra loro c’è uno dei 12 vescovi Oblati della regione.
Come un fabulatore non mi stanco di raccontare e raccontare l’esperienza degli inizi. Ho ricordato 13 Luglio 1826:

Si chiude solennemente il 4° Capitolo Generale. Per la prima volta dopo l’approvazione della Congregazione, tutti gli Oblati sono riuniti assieme per celebrare la loro nascita nella Chiesa. “È sicuramente uno dei giorni più belli negli annali della Società”, leggiamo negli Atti del Capitolo, e “il ricordo di un giorno così bello dovrà rimanere sempre presente in noi”.
La mattina alle otto i membri del Capitolo si recano nella cappella interna della casa di Marsiglia, dove sono già presenti gli altri Oblati delle diverse case, compresi i novizi. Viene celebrata la Messa dello Spirito Santo davanti al Santissimo esposto. Alla comunione due novizi fanno la loro oblazione. Alla fine della celebrazione sant’Eugenio “ci rivolse delle parole davvero commoventi per farci comprendere la bellezza della nostra vocazione. Si sarebbe detto che era la voce stessa del Signore esposto che ci chiamava nuovamente”.
Segue il rinnovo dei loro voti. “La presenza  di nostro Signore in mezzo a tutta la nostra famiglia riunita in una circostanza così grande, il profondo raccoglimento di tutti, l’oggetto sublime che ci teneva occupati, davano alla cerimonia una bellezza celestiale”. Erano tutti commossi “e certamente anche Dio doveva esserne colpito”.

Poi insieme si recano nella sala capitolare. Di nuovo il Fondatore prende la parola per sottolineare l’importanza di questo giorno che segna un nuovo inizio della sua piccola famiglia nella Chiesa: “È il felice inizio di un’era nuova. Dio ha benedetto i legami che ci uniscono. D’ora in poi combatteremo i nemici del cielo sotto uno stendardo che ci è proprio e che la Chiesa ci ha dato; sopra questo stendardo brilla il nome glorioso della Santissima Vergine Maria l’Immacolata. Questo nome è divenuto il nostro nome, poiché è alla Vergine Santissima che siamo consacrati; noi siamo in modo più speciale i suoi figli e la sua protezione sopra di noi, oggi così visibile, lo sarà ancora di più in avvenire si ci mostreremo degni di tale Madre”. Il nome di Maria – continua – è ormai “il nostro nome di famiglia”. Nella Chiesa è nato un “nuovo corpo apostolico”, costituito da Maria, scelto da Lei, che “cammina sotto le sue insegne, sotto la sua bandiera”. Sì, siamo, siamo “la troupe d’élite di Maria”, “che ha Maria per Madre e che lotta contro l’impero del demonio e per il regno di Cristo”, “i ministri di misericordia di Maria verso il popolo”. Se Maria ci ha costituiti tali, siamo davvero “la diletta famiglia della Santissima Vergine”, e “dobbiamo considerarla sempre come Madre”. La Vergine Immacolata, la Santa Madre di Dio, la nostra più in particolare. È meraviglioso!

giovedì 17 ottobre 2013

O comunicazione o dannazione



Piove. Il mare è grigio e all’orizzonte si confonde con il cielo grigio. Gli ibis dal lungo becco volano basso gridando sgraziati peggio dei corvi. Allegre sono invece le voci dei bambini che passano sotto la finestra scendendo verso la scuola e allegri i loro ombrelli colorati.
“I pensieri che non dici sono pensieri che pesano, che si incrostano, che ti opprimono, che ti immobilizzano, che prendono il posto delle idee nuove e che ti infettano. Diventerai una discarica di vecchi pensieri che puzzano, se non parli”.
Così Eric-Emmanuel Schmitt, nel libro Oscar e la dama in rosa che sto leggendo in questi giorni.
È proprio vero, puoi vivere le esperienze più belle possibili immaginabili, puoi sognare l’impossibile, puoi avere le intuizioni più sublimi, ma se non hai a chi comunicarle è come una dannazione.

mercoledì 16 ottobre 2013

Attenti al cane


Il vento è sempre più forte, ma le scimmie camminano tranquille nel parco, anche se la pelliccia si arriccia. Il mare è sempre più mosso, ma la grande balena continua la sua danza, anche se gli sbuffi si confondono con lo spumare delle onde.
Natura d’incomparabile bellezza.
In mezzo alla bellezza della natura i bunker, disseminati ovunque, mettono tristezza. La foto che pubblico qui accanto, nonostante i fili con la corrente elettrica, non è quella di un carcere o di una caserma; si tratta di una delle tante villette qui attorno difese con questo sistema di sicurezza, assieme a fili spinati, punte di acciaio…, testimonianza della paura dei ricchi e della disperazione dei poveri.
Il Sud Africa, con le miniere di diamanti e l’agricoltura, è un paese molto ricco, ma come al solito la ricchezza è in mano di pochi, di grandi società. Il lavoro scarseggia. Ieri per strada un giovane uomo nero mi ha fermato chiedendomi se gli trovavo un impiego, un impiego qualsiasi…
L’industria che impiega più personale è, paradossalmente, quella della difesa privata, delle compagnie di sorveglianza. Su ogni casa giganteggiano i cartelli con il nome della società di protezione, con scritte altisonanti che minacciano intervento armato contro chi passa la recinzione. Non posso non pensare ai nostri innocui “attenti al cane” o al Canada, dove le case non hanno recinzione di sorta, adagiate semplicemente sui prati… 
La mattina vedo i bambini che vanno a scuola, le donne nere rotonde che si muovono lemme lemme nei loro vestitoni per andare a fare i lavori nelle case, gli uomini più svelti con gli attrezzi da mestiere che si incamminano verso i posti di lavoro… e mi rincuorano.

martedì 15 ottobre 2013

Siamo tutti discendenti dai primi africani, anche i padani



Alcuni sono zulu, altri bianchi discendenti da europei immigrati da generazioni, altri di origine indiana. Sono gli Oblati con i quali sto facendo il ritiro qui a Durban. Ma ce n’è anche uno venuto missionario dal Congo, un altro dello Zimbabwe, un altro ancora del Lesotho. 
Rispecchiano la varietà del Sud Africa: culture diverse eppure un solo popolo. Si sono scannati a vicenda, riappacificati, guardati male… Non è una facile convivenza eppure, bene o male, ci sono riusciti. Sono un insegnamento per tanti.


Sul mio “Il Sole 24 Ore” del 1 settembre ho letto: “Com’è noto, la genetica delle popolazioni ha dimostrato che siamo tutti discendenti dai primi africani. Tutti, anche i padani. Gli studi sul Dna di migliaia di persone hanno dimostrato che i primi umani abitavano in Africa, che lì hanno continuato a evolvere per almeno centomila anni, e solo circa sessantamila anni fa hanno sciamato negli altri continenti”.

lunedì 14 ottobre 2013

Primavera australe


La mia finestra sul mare

Dopo giorni di pioggia si è levato un cielo tersissimo col vento fresco: una piacevole primavera in questa terra australe. Appena sotto la finestra il mare agitato rumoreggia e le sue acque, prima verdi, si allontano in un blu sempre più profondo.
La chiesa degli Oblati domina dalla collina e chiesa degli Oblati è interamente aperta sul mare. La casa di ritiro, poco più in basso, è adagiata su tappeti d’erba verdissima. La lunga e stretta penisola che fiancheggia e difende dal mare il porto il Durban – si chiama Bluff – è oggi una delle più belle zone residenziali, con spiagge e campi da golf. Dopo la metà del 1800 vi giunsero 143 schiavi catturati dagli Arabi i Zanzibar e liberati da una neve britannica e questo divenne il campo di lavoro del parroco della città, p. Giovanni Battista Sabon. Durban allora aveva una sola parrocchia.
Quando p. Sabon arrivò con il primo gruppo di Oblati nel 1852 era considerato “esperto dell’Africa” perché era stato per un anno in Algeria! Aveva 33 anni. Poiché si ammalò subito, e non riusciva ad apprendere una parola di inglese e quindi non poteva svolgere nessun ministero perché i pochi cattolici erano di lingua inglese, passò un momento di depressione. Ma con l’arrivo degli Indiani, portati a Durban dagli Inglesi a partire dal 1855 per la coltivazione della canna da zucchero, p. Sabon trovò la sua strada. Lui che non era riuscito a imparare l’inglese, né tanto meno lo zulu, imparò subito il tamil. Divenne una persona stimatissima e amata da tutti. Quando morì nel 1885 i funerali furono una apoteosi; era diventato una leggenda.
Qui sul promontorio del Bluff P. Sabon veniva spesso a visitare i poveri pescatori, aprì una missione per loro, poi costruisce una cappella, poi una chiesa più grande… ed ora ecco la bella chiesa di san Francesco Saverio.

Padre Gérard, una madre


Ho terminato di leggere l’affascinante vita di padre Giuseppe Gérard, il fondatore della Chiesa in Sud Africa.
Una persona estremamente semplice, umile, consapevole della propria fragilità, con davanti a sé una missione impossibile. “Le mie deficienze sono incolmabili, la mia vita è nulla, nullo il mio ministero: il demonio ride. Quante anime abbandonate”.
Un uomo che non si scoraggia mai, anche se per dare il primo battesimo deve aspettare undici anni. Non si scoraggia neppure davanti alla propria povertà: “È da tanto tempo che vorrei cambiar vita, convertirmi. Dico sempre: domani, domani. Ma oggi dico finalmente: Adesso comincio”. Ricordando sant’Ignazio di Antiochia che alla vigilia della morte diceva: “Oggi comincio ad essere cristiani”, padre Gérard ripeteva: “C’è sempre occasione per dire questa bella parola”.
Un uomo amato da tutti, più madre che padre. Quando dopo anni dovette lasciare il villaggio della Madre di Dio, le persone gli gridarono da ogni parte: “Portaci sempre nel tuo tarì”, la sciarpa di lana o la pelliccia di antilope con cui le mamme assicurano il bambino dietro le loro spalle.
Un uomo che non si è mai risparmiato, fino all’ultimo. Ormai vecchio scriveva: “Vado a visitare i vecchi, porto la S. Comunione agli ammalati, è una grande consolazione fare una lunga strada in mezzo ai pagani ed entrare nelle loro capanne. Le forze sono andate giù, la vista e l’udito si sono indeboliti… Faccio ancora qualche cavalcata di cinque o sei chilometri con un cavallino quieto quieto. Non posso andar più tanto lontano come un tempo. Mi preparo al gran viaggio dal tempo all’eternità”.
È chiaro che un uomo così, in punto di morte, ripetesse: “Non avrei mai creduto che fosse così dolce morire”.

Affido a lui il lavoro di questi giorni in Sud Africa. E perché non chiedergli che porti anche noi nel suo tarì?

sabato 12 ottobre 2013

Quando prega è come se mangiasse miele


Aveva 23 anni quando arrivò qui a Durban, in Sud Africa. La vita era dura, anzi durissima. Ma soprattutto sembrava impossibile che i cuori si aprissero a Cristo. Dopo tre anni di lavoro con gli Zulu il beato Giuseppe Gérard scriveva a sant’Eugenio de Mazenod: “Per ora ci troviamo in una situazione davvero difficile, sembra tutto un fallimento. Gli Zulu sono duri, hanno un cuore duro… E i nostri cuori soffrono. Ma non sono scoraggiato. Sono contento di stare dove sono stato mandato, e se dovessi ricominciare oggi continuerei a privilegiare questa regione con questi poveri Zulu”.
L’amore era concreto: visitare i malati nelle capanne, salutare tutti, parlare con tutti, interessarsi di tutto, distribuendo medicine, nella convinzione che: “il linguaggio della carità è molto più convincente del linguaggio delle labbra: va dritto al cuore”.

Tutto dedito agli altri. Ma la gente percepiva qualcosa di più profondo, e a bassa voce si diceva: “Il padre Gérard parla con Dio, vede Dio; ma certo non vuol dirlo. Quando prega è come se mangiasse miele”. 

venerdì 11 ottobre 2013

Gli Oblati come gli Zulu


Appena fuori l’aeroporto di Durban (sono in Sud Africa, nella provincia di Durban) un grande cartello annuncia l’inizio delle celebrazioni per i 200 anni della nazione Zulu. Fu infatti nel 1816 che il re Shaka, riunì le varie tribù per formare la nazione Zulu. A lui l’anno scorso è stato intitolato il nuovo aeroporto.
Anche gli Oblati hanno lanciato la preparazione dei 200 anni della loro fondazione: sant’Eugenio de Mazenod mise insieme alcuni giovani preti e formò la tribù degli Oblati.
Dalla casa di Roma a questa di Durban, passando da Dubai, il viaggio è durato 24 ore. Un soffio, in confronto agli otto mesi impiegati dal beato Giuseppe Gerard quando arrivò qua nel 1854. Io spero di tornare presto. Lui invece, partendo da Marsiglia, sapeva che non sarebbe tornato mai più. È rimasto in queste terre 60 anni, diventandone l’apostolo e il fondatore della Chiesa.
Sto rileggendo i suoi scritti. Una pazienza eroica con un popolo, quello Zulu, che non ne voleva assolutamente sapere di cristianesimo. Come ha fatto? Lo scrive in mille modi: “Al di là di tutti i metodi il segreto per toccare e trasformare i cuori è l’Amore. Occorre amare, amare nonostante tutto e sempre”. 

giovedì 10 ottobre 2013

Luoghi di Roma: Caterina a san Pietro



“Quando ancora è mattino, voi vedreste andare una morta a San Pietro ... Ine mi sto così infino presso all’ora del vespero; e di quello non vorrei uscire né dì, né notte, infino che io veggo un poco fermato e stabilito questo popolo col padre loro”. Così scriveva santa Caterina da Siena a fra Raimondo da Capua, il suo confessore.
Domenica, dopo pranzo, mi sono seduto all’inizio del parco di Castel Sant’Angelo, davanti alla statua della santa, con sullo sfondo San Pietro. Me sono la santa immaginata mentre passava da lì, proveniente dal Panteon.
Allora non c’era ancora la Cupola di Michelangelo. La basilica era quella di Costantino. Non c’era via della Conciliazione, area occupata dall’antico Borgo. C’era santa Caterina…
Oggi questo è uno degli angoli più suggestivi di Roma: mostra visivamente l’amore e la maternità di Caterina per la Chiesa, che si esprimeva nel bisogno di portarsi, anche fisicamente, al centro della cristianità.

La bellezza estetica del luogo va assieme all’appello che da qui promana a vivere per la Chiesa.

mercoledì 9 ottobre 2013

Apa Pafnunzio parla arabo


Sì, apa Pafnunzio parla arabo, nel senso vero dell’espressione. Nel prossimo mese di marzo è attesa la pubblicazione del libro con i suoi detti. Nel frattempo esso è stato tradotto e pubblicato in arabo. Eccone la presentazione dell’arcivescovo Giorgio Lingua, nunzio apostolico in Giordania e in Iraq:

Apa Pafnunzio si è ritirato nel deserto, lontano dal mondo per stare solo con Dio. Eppure la sua vita è così vicina alla nostra. I suoi pensieri sono i nostri pensieri, le sue paure sono le nostre paure, i suoi sentimenti sono i nostri sentimenti.
C’è in ciascuno di noi il desiderio di amare Dio e di farLo amare. Per questo, pur in mezzo al mondo, abbiamo molte cose da imparare da questo “Padre del deserto” immaginario.
Innanzitutto impariamo che per dare Dio agli altri non sono indispensabili un buon microfono con adeguato sistema di amplificazione, o la posta elettronica e neppure… facebook! Sono certo ottimi strumenti, ma noi possiamo comunicare Dio soltanto se L’abbiamo in cuore. Non si tratta di correre dietro le persone, ma di correre dietro a Dio. Gli altri ci seguiranno se vedranno risplendere in noi la luce dell’unione con Dio.
Come possiamo essere uniti a Dio rimanendo nel mondo sempre più frenetico, con tanti pericoli e preoccupazioni: per i figli, per il lavoro, per la salute, per la sicurezza? Proprio come apa Pafnunzio il quale, di fronte al pensiero della morte, si è detto: “Perché invece che attendere la morte, che forse sarà lontana, non vivere come se l’incontro avvenisse ogni giorno, ogni sera, ogni ora, adesso?” (cf. p. ….).
L’unione con Dio per noi, che viviamo nel mondo ma non vogliamo essere del mondo, così come per i monaci del deserto, è quella che si costruisce in questo momento, facendo non la nostra ma la Sua volontà, offrendo a Lui tutto quello che abbiamo, poco o tanto che sia, come abbiamo imparato a pregare fin da bambini: “Ti offro le azioni della giornata, fa che siano tutte secondo la tua volontà”. Nulla e nessuno ci può impedire di offrire a Dio quella sofferenza, quel dubbio, quella incertezza, quella preoccupazione, quella discordia, quell’umiliazione, quell’incomprensione, quella sconfitta ma neppure quella vittoria, quella gioia, quella soddisfazione, quella pace, quell’armonia che in questo istante stiamo vivendo.
Basta un secondo per essere uniti a Dio, basta ri-offrirGli quel dono che ci fa adesso. Ogni attimo, ogni respiro, ogni circostanza, è un dono di Dio. Se sappiamo riconoscerlo e Gliene siamo grati, restituendo, confezionato con il nostro amore, quanto ci ha dato, siamo uno con Dio, perché siamo uno pienamente con la Sua volontà su di noi.
Al contrario, non è sufficiente una vita intera, anche nella più stretta clausura o nel deserto più remoto, per arrivare all’unione con Dio se continuiamo a rimanere prigionieri della nostra volontà, attaccati ai nostri piccoli desideri, e non sappiamo riconoscere che tutto è dono del Suo Amore.
Auguro che la lettura di queste pagine faccia scoprire a tutti che la vita è un dono e che soltanto ri-donandola a Dio e ai fratelli trova il suo compimento.
Ringrazio l’autore di queste storielle, P. Fabio Ciardi, per i tanti spunti di meditazione che ci ha offerto facendoci conoscere le avventure e i sentimenti di apa Pafnunzio. Lo ringrazio anche perché ha autorizzato la pubblicazione della versione araba che esce, benché in forma ridotta, ancora prima di quella italiana finora pubblicata soltanto sul suo blog http://fabiociardi.blogspot.com/. Ringrazio i monaci di Sant’Ormisda di Alquosh ai quali per primi ho raccontato le storie di apa Pafnunzio. Il loro vivo interesse mi ha incoraggiato a cercare una traduzione araba, nella speranza che come ha aiutato me, e loro, possa toccare il cuore di tanti altri che cercano Dio con cuore sincero, anche in mezzo ai travagli della vita. Ringrazio, soprattutto, suor Hanan Eshoa che ha curato la traduzione e questa pubblicazione, arricchendola con originali illustrazioni esplicative.
Ringrazio, infine, chi ha generosamente offerto la pubblicazione di questo libretto, senza cercare pubblicità, proprio nello stile di apa Pafnunzio.