mercoledì 22 gennaio 2014

L’infinito tutto di Vincenzo Pallotti

San Salvatore in onda. La denominazione della chiesa, ricordata già nel 1127, richiama le continue inondazioni del Tevere sulle cui rive è stata costruita. Basta scendere sotto il presbiterio, attraverso la scala medievale, per ritrovarsi in un piccolo ambiente con colonne, trabeazioni e capitelli incassati all’interno delle murature: siamo nel luogo dell’antica chiesa del XII secolo. Ma sul pavimento si apre una botola, si scende ancora più in basso, e ci si ritrova all’inizio del primo millennio, ne periodo di Traiano (98-117), quando lungo le rive del Tevere si allineavano negozi e piccoli magazzini per lo stoccaggio delle derrate alimentari che giungevano in città grazie alle imbarcazioni che risalivano il fiume. Anche oggi, scendendo per scale e botole, mi sono tuffato nel passato.
Ma sono stato a san Salvatore in onda perché volevo tuffarmi in un passato più recente, di appena duecento anni (cosa sono duecento anni con due millenni sotto i piedi?). Oggi è la festa di san Vincenzo Pallotti e non potevo non fare un salto a salutare lui e gli amici Pallottini. Sono sì sceso nei sottosuoli, ma soprattutto sono salito nelle stanze del santo, conservate come quando lui vi dimorava.
San Vincenzo Pallotti, il “santo romano” per eccellenza.
Le parole del suo dizionario che più mi colpiscono sono tutto e infinito.

Il tutto di san Vincenzo è innanzitutto il tutto di Dio. «Dio mio, tutto tutto tutto...», lo sentiamo ripetere sovente. È capace di continuare a scrivere e a ripetere indefinitamente - lui vorrebbe che fosse infinitamente - la parola tutto, quasi a scandagliare la vastità insondabile del mistero divino. Per sottolineare il tutto di Dio congiunge a tutto la parola solo: «Dio tutto, tutto, tutto...», ma anche «solo, solo, solo...», quasi ad eliminare ogni possibile concorrenza al tutto di Dio.
La santità di Vincenzo Pallotti è il riconoscimento, nel vissuto, dell'unicità e della totalità di Dio.
Il tutto di Dio diventa allora il tutto della creatura, in quanto essa viene resa partecipe di quel tutto. La convinzione di questa osmosi è affermata da queste parole lapidarie: «La vita del Padre è mia, la vita del Figlio è mia, la vita dello Spirito Santo è mia, la vita della Santissima Trinità è mia». Pallotti appare costantemente pervaso e quasi ossessionato da questa totalità.

La seconda parola, infinito, correlata a tutto, fa intravedere la dimensione forse più originale della spiritualità di san Vincenzo. Parla di «infinita perfezione», di «infinita fede, infinita speranza, infinita carità», «infinite eternità»; vuol dare a Dio una «gloria infinitamente grande»; è disposto a «patire infinitamente»; vuole vedere dilatati all'infinito i suoi desideri.

Somma passato e futuro nell'illusione di dilatare il tempo all'infinito. Suddivide il tempo in attimi infinitesimali per fare di ogni attimo infinitesimale un infinito, così che dalla loro somma scaturisca un infinito degno dell'infinito di Dio. Vorrebbe moltiplicare le creature all'infinito perché salga a Dio una lode infinita. Vorrebbe appropriarsi di tutto il bene delle creature passate presenti e futuri e moltiplicate all'infinito... «Vorrei amare Dio e averlo amato con perfezione infinita, da tutta l'eternità e per tutta l'eternità. E intendo che ciascuna creatura, infinitamente moltiplicata, con perfezione infinita, ami Dio. Vorrei possedere infinite ricchezze, per donarle tutte, per amor di Dio».

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