venerdì 21 marzo 2014

Il Corso di una volta

Ogni giorno, quando metto il naso fuori casa, mi si apre un mondo sempre nuovo. Il Corso Mirabeau non è mai lo stesso, ricco di vita, di giovani, di colori, di voci. Caffè e ristoranti sono costantemente animati. Anche le sale degli Oblati aperte ai giovani – Pause Midi –, per il pranzo a sacco, per i momenti di riposo, per un punto d’incontro danno sul corso.
Basta socchiudere gli occhi e il grande viale si trasforma: le gonne delle ragazze, in questi tempi completamente sparite, si allungano e si gonfiano in grande abiti colorati, le carrozze si muovono lente per il passeggio, i mendicanti si aggirano furtivi, gli artigiani vanno veloci con i loro attrezzi di lavoro, le lavandaie passano con il fagotto dei panni…
Vedo anche il piccolo Eugenio, con papà e mamma, che esce dal suo palazzo per andare a teatro. Sono gli ultimi momenti felici. Preso il vento della Rivoluzione spazzerà via tutto. Agli alberi del corso pendono gli impiccati. Il piccolo Eugenio, con papà e mamma, con la sorellina e gli zii, sarà trascinato lontano. Tutto si frantuma, anche il matrimonio dei genitori che l’esilio porterò al divorzio.
Tornerò a vent’anni, nel pieno della giovinezza. Avrebbe voluto riacquistare l’antico palazzo sul corso, ma dive trovare i soldi?

Qualche anno più tardi la mamma vede che è possibile, ma ormai Eugenio ha appena preso la sua decisione di diventare prete e le scrive: “Siete padrona di fare quel che vi conviene maggiormente [riguardo al palazzo]; se poi volete sapere come la pensi…: anzitutto il Signore mi ha fatto la grazia di chiamarmi al suo servizio e di staccarmi talmente dai beni terreni che per me abitare in una catapecchia o in un palazzo è perfettamente lo stesso. In passato avrei sentito un qualche dispiacere nel vederci toglier di mano la casa paterna, sia perché era la casa in cui avevo visto la luce per la prima volta, sia per la sua ubicazione che mi è parsa sempre una delle più comode della città; ma oggi sono indifferente e non ci tengo a questo ammasso di pietre…”. Ormai il palazzo bello e comodo, per lui è soltanto un “ammasso di pietre”.

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