lunedì 31 marzo 2014

Meditazione sulla croce / 3

Questa foto è stata scattata nel 1960 da un artista, un certo René Perrin. Dietro c’è la regia di un vecchio Oblato, p. Jean Servel, che ebbe la felice idea di porre il crocifisso, che appartenne a sant’Eugenio de Mazenod, sopra la carta sulla quale il fondatore degli Oblati nel 1818 scrisse la formula della sua “oblazione”, ossia della sua consacrazione a Dio.
Una foto eloquente più di ogni discorso, che dice come l’offerta di sé a Dio ha senso se ripete l’offerta sulla croce che Gesù fa di sé al Padre. Un’offerta per il mondo intero.
Nel 1893, il secondo successore di sant’Eugenio, Luigi Soullier, interpretava così l’essere Oblato:

Come il divin Missionario che ha voluto essere “Oblato” – “Oblatus est quia ipse voluit”, ossia “si è donato spontaneamente”, come dice il profeta Isaia del Servo di YHWH – noi portiamo con gioia il nome di missionari Oblati. Esso significa che essi, i missionari, “vorrebbero sacrificarsi, se è necessario, per la salvezza delle anime… Potranno così gettarsi nella lotta e combattere fino alla morte” (Prefazione alle Regole). Gesù Cristo ha voluto regnare attraverso la croce, ha voluto che nella croce fosse la sua potenza: “Non rendiamo vana la croce di Cristo”.
Quando Dio crea un apostolo, gli mette in mano una croce e gli dice di andare a mostrare e ad annunciare questa croce. Ma prima la pianta nel suo cuore e, a secondo di quanto è penetrata nel cuore dell’apostolo, quella croce che tiene in mano opera conquiste più o meno numerose.
Oblati di Maria, che portate la croce sul petto come segno di autenticità della vostra missione, guardatela come simbolo dei sacrifici legati al vostro ministero per compierlo degnamente e fedelmente.


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