mercoledì 30 aprile 2014

Figlio d’arte… anzi, nipote



Anche Bede ha conosciuto la guerra, che lo ha strappato dalla sua città. Per anni passa da un posto all’altra, dove rifugiarsi una volta da uno zio, una volta da un altro parente. Deve cambiare otto volte scuola. Dopo la guerra lo Tsunami: riesce a scappare e si salva per miracolo.
Il ricordo dell’ordinazione dello zio e della sua croce oblata non l’ha comunque mai abbandonato. Vorrebbe essere come lui.
Nonostante le tribolazioni della guerra e le calamità naturali entra nel noviziato degli Oblati. Una vocazione che frutta in mezzo al dolore. Sembra un miracolo
La mamma gli scrive: “Sarà un cammino lungo, quindi, figlio mio, prega ardentemente per raggiungere il tuo obiettivo e affrontare tutte le difficoltà. Noi non ti lasceremo solo. Stiamo pregando con te. Non perdere il tuo cuore e non scoraggiarti. Dio ti accompagnerà sempre”.
Il 1° maggio farà la sua oblazione perpetua.


Ingegnere meccanico? Meglio Oblato



Paolo è nato in una numerosa famiglia, nelle distese immense campagne canadesi. Gli piace la natura: i fiumi, le montagne, i prati coltivati, le bestie. Gli piacciono anche gli strumenti agricoli, specialmente trattori che guida fin da piccoli e che ama riparare. Ha deciso: farà l’ingegnere meccanico per poter lavorare nelle aziende agricole. Così si iscrive all’università. Ma è attratto dalla testimonianza di fede e di dedizione pastorale del suo parroco, un Oblato, e cambia idea: si farà missionario. Poco dopo il parroco muore di tumore. Paolo vorrebbe prenderne la croce che portava al collo, per continuare la sua missione.
Il 1° maggio farà la sua oblazione perpetua e gli sarà data la croce del suo vecchio parroco.


lunedì 28 aprile 2014

Una storia di morte e di vita


Nacque il 25 gennaio, il giorno della vita. Ma sembrava morto. Non pianse come piangono tutti i bambini quando vengono alla luce. Rimase immobile, senza movimento alcuno. Solo la mamma tenne viva la speranza e pregò Dio che se avesse dato vita al suo bambino lo avrebbe lasciato seguire appieno il progetto che Egli aveva su di lui. Lo portarono in ospedale, inutilmente. Fino a quando scoppiò in pianto improvviso. La vita era tornata.
Papà, mamma, lui e poi la sorellina. Una famiglia piccola e semplice, felice. A otto anni la guerra. Devono lasciare la casa. Inizia la vita da profughi e per dieci anni vivono in un campo per rifugiati, nelle vicinanze del santuario della Madonna, nascosto nella giungla. Stenti, sofferenze, ma accanto alla Madonna. E lì Anton vede l’ordinazione sacerdotale di un giovane Oblato. Ne rimane incantato e quando, a 18 anni, la famiglia può finalmente tornare a casa, la lascia perché anche lui vuole diventare Oblato. È il primogenito, l’unico maschio, la speranza per la rinascita della piccola famiglia, ma l’hanno promesso al Signore.
Dopo i primi studi Anton è venuto a Roma, dove studia ormai da tre anni: un’altra avventura, una cultura così diversa dalla sua, un’altra lingua… Ma occorre dire di sì alla chiamata.
Il 1° maggio farà la sua oblazione perpetua.


domenica 27 aprile 2014

La gente dei papi, i papi della gente




 Mi ha impressionato la folla che ha assediato san Pietro. Ieri sera ho partecipato alla veglia di preghiera nella chiesa di san Marco a piazza Venezia, mentre altre venivano tenute in differenti chiese. A sorpresa, e con profonda gioia, vengo chiamato di mezzo alla folla per leggere il vangelo. Ricevo un messaggio: “Sacralità, famiglia, santità, corpo di Chiara, chiesa universale... questi solo alcuni tratti che vengono in cuore pensando a quanto vissuto nella basilica di S. Marco”.


Questa mattina a piedi come ieri sera, perché tutte le strade attorno a san Pietro, e quindi anche a casa mia, sono chiuse al traffico. So che mi sarà impossibile accedere alla piazza, ma spero di entrare in via della Conciliazione. Impossibile. Riesco appena a entrare sul ponte di Castel sant’Angelo: tutti i ponti sul Tevere sono pieni, così come il lungo Tevere…
Pur così lontani dall’evento ci sentiamo partecipi e non soltanto perché anche lì gli altoparlanti . ma non più gli schermi – ci portano le voci e i canti della piazza. Tutti coinvolti nel grande evento.

Mi piace guardare la gente: è la gente del papa, anzi dei papi. Oppure i quattro che sono in piazza sono i papi della gente?

sabato 26 aprile 2014

Quattro papi in piazza san Pietro


Quando mai si erano visti quattro papi insieme?
È lo spettacolo che ci prepara domani piazza san Pietro: Francesco e Benedetto XVI, con i nuovi santi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II.
Il cardinal Martini, pur consapevole della santità di Giovanni Paolo II, non ne riteneva opportuna la canonizzazione: si sa che i papi sono santi, che bisogno c’è di dirlo a tutti; mica possono essere indicati come modelli. In quanto papi saranno modello soltanto per Benedetto e Francesco e per quelli che seguiranno, ma per tutti noi, popolo di Dio, che senso ha riconoscerli pubblicamente santi?
In un tempo come questo di grande sfiducia nelle istituzioni pubbliche e nella politica, di diffidenza verso i leader che si rivelano sempre meno persone davvero carismatiche, sapere che almeno la Chiesa è guidata da santi mi sembra una iniezione di fiducia e di speranza. Tanto più che i due dal Cielo continuano a portare avanti tutto il popolo di Dio, da vere guide carismatiche!
Non ricordo di aver incontrato di persona Giovanni XXIII, ma i suoi scritti, i tanti filmati visti, e soprattutto l’evento del Concilio sempre vivo, ce lo hanno reso così presente e familiare che sembra di averlo conosciuto da sempre.
Con Giovanni Paolo II i contatti personali sono stati tantissimi: le concelebrazioni nella sua cappella privata in Vaticano e a Castel Gandolfo, la serata indimenticabile con i giovani di Albano nel giardino del Centro Mariapoli, gli incontri con gli Oblati, nella nostra parrocchia di Roma o durante i capitoli generali… Quante occasioni per uno scambio di parole sincere, per essergli accanto nella preghiera – potrà mai dimenticare il suo raccoglimento e l’intensità della sua preghiera?

L’incontro più bello, l’ultimo, il 3 ottobre 2004, in occasione della canonizzazione di Pietro Vigne in piazza san Pietro. Ho potuto concelebrare proprio vicino a lui. Era ormai all’estremo delle forze. Accanto il grande Crocifisso. Le due figure, quella del papa e quella di Cristo in croce, mi si sovrapponevano in una continua dissolvenza. Al termine della messa, quell’indimenticabile sguardo che ha accompagnato la benedizione che mi ha dato mentre stavo in ginocchio davanti a lui, in un attimo che mi è sembrato senza tempo: la sua vita e il suo amore erano tutti in quello sguardo, non gli restava altro, nemmeno il soffio per una parola. Sono sicuro che continua a guardarmi e a benedirmi, come in quel giorno.

venerdì 25 aprile 2014

Madonnelle romane da pregare



Sono arrivato in anticipo all’appuntamento in piazza sant’Eustachio. Penso di attendere nell’attigua piazza della Rotonda, la piazza del Pantheon, dove posso sedermi sui gradini della fontana, come fanno i turisti. E di turisti, come sempre, è piena la piazza. Armati di macchine fotografiche, chi in tenuta estiva e chi invernale, col naso all’insù a guardare il tempio monumentale, costituiscono una fauna simpaticissima, colorata, animata. Le lingue più diverse si intrecciano e si confondono. L’aria primaverile e il sole del tramonto danno tono al gran salotto rendendo piacevole lo stare lì seduti. Il Pantheon alla mia sinistra, ho davanti a me uno dei tanti ristoranti che circondano la piazza, l'antica salumeria (risale al 1375) e… sul caseggiato, una delle più belle Madonnelle settecentesche di Roma, dove la cornice non prevale sul dipinto.
È una Immacolata, come afferma l’iscrizione tratta dal Cantico dei cantici: “Tuta pulchra es, amica mia, et macula non est in te”, ritratta secondo l’iconografia classica, con un tocco originale nello stucco: la colomba dello Spirito Santo che la inonda di luce. Sta lì soltanto per fare bella figura, così ben incastonata nel palazzo. Prendo il mio rosario e la prego: la ricolloco nel suo vero spazio e le rendo il suo significato originario.



giovedì 24 aprile 2014

Se non è qui, dov’è? Alla ricerca del Risorto, o ricercati dal Risorto?


Dunque, se come hanno detto gli angeli, Lui non è qui, dove sarà mai?
La ricerca è appassionata per Maria di Magdala, per Pietro e Giovanni. Ma per gli altri… non si hanno dati.
La cosa più sorprendente è che l’interesse per la ricerca più che da parte dei discepoli nei confronti del Signore, è evidente da parte del Signore verso i discepoli. È lui che prende l’iniziativa di andare a cercarli.
I due di Emmaus non lo cercano, i discepoli nel cenacolo non lo aspettano, e neppure gli apostoli quando pescano sul lago. È lui che va loro incontro e si fa riconoscere.
Mi piace la tattica. La prima cosa che fa è quella di prendere l’iniziativa, di fare il primo passo, di farsi vicino e di interessarsi sinceramente all’altro: “Chi cerchi? Di cosa avete paura? Di cosa state parlando? Qual è il problema? Avete qualcosa da mangiare?”. Lascia tutto all’altro tutto il tempo all’altro per aprirsi fino in fondo, per confidarsi. È la tattica del farsi uno con l’altro.

Anche questo insegna la Pasqua.

mercoledì 23 aprile 2014

I fioretti di apa Pafnunzio


Spiego a 150 giovani l’ultima parte di Yucat, che si conclude con il tema della preghiera. Ne approfitto per leggere la pagina del libro “I detti di apa Pafnunzio”, dove l’apa spiega cos’è per lui la preghiera: tornare a casa. Alla fine una ragazza mi avvicina, e mi dice: “Mentre leggevi ho pianto. Io non ho casa. Adesso so come posso trovare casa”.

Mi raggiunge un messaggio di una non meglio nota Anna. Riesco a scova il suo blog pieno di foto e brevi commenti, intitolato: “Stelle - Piccoli eventi, vari colori dei giorni, molto piccolo e molto grande, non dimenticare le stelle”.
Mi scrive: “Anche io sto leggendo I detti di apa Pafnunzio e all'inizio ho creduto fosse un personaggio storico, poi ho capito che non è proprio così... e ora penso che lui sia più di un personaggio storico. Trovo il libro bellissimo e di vero aiuto nella vita di tutti i giorni, vorrei che tutti lo leggessero”.
Dal suo profilo vedo che i suoi libri preferiti sono: Dottor Zivago, Solaris, Orgoglio e pregiudizio, Il giardino di mezzanotte, Le inchieste del commissario Maigret. Chissà che d’ora in poi non aggiunga anche I detti di apa Pafnunzio.

Un altro messaggio mi dice: “Caro apa Pafnunzio. Mi stai rallegrando con il tuo libro che sto usando, ossia ruminando, come meditazione. Grazie di questo dono prezioso”.


Ancora: “Con apa Pafnunzio mi sto addentrando anch'io nel deserto e provo una pace profonda che mi consola nella mia solitudine di anziana, ma pregusto la gioia della vita con il Signore, unico mio bene. Grazie caro apa. Pierangela” 

martedì 22 aprile 2014

Assolutamente sì

Ho fatto ancora in tempo a vedere il sensale che invitava i due contraenti a darsi la mano, mentre lui metteva la sua sulla stretta delle altre due: il contratto era sigillato, per sempre; non c’era bisogno di firmare carte. È un’immagine indelebile della mia infanzia che questa mattina mi è riapparsa improvvisa alla mente sentendo, per l’ennesima volta, quel fatidico “Assolutamente sì”. Per il momento non l’ho ancora sentito pronunciare durante il matrimonio, ma forse presto alla domanda: “Vuoi tu prendere…”, mi capiterà di sentir rispondere: “Assolutamente sì”. Perché “assolutamente”? Non basta il semplice “sì”?
Quell’“assolutamente” lo si ripete ormai automaticamente, senza rifletterci, soltanto perché divenuto di moda, e quindi senza malizia. Tuttavia mi pare che alla sua origine vi sia una mancanza di fiducia. Verso se stessi, innanzitutto. Abbiamo bisogno di ribadire l’adesione perché non ne siamo pienamente convinti. Ogni “sì” implica una scelta, una decisione, un conseguente impegno alla coerenza. E mai come oggi sembra difficile scegliere, decidere, rimanere coerenti.
Quell’“assolutamente” è indice anche di mancanza di fiducia nell’altro. O meglio, nasce in noi il sospetto che l’altro sia a conoscenza della fragilità delle nostre certezze e che dubiti dell’autenticità del nostro “sì”. Per questo occorre ribadirlo, nel tono della voce e nell’espressione, con forza, in proporzione alla debolezza dell’affermazione in sé.
Gesù, in una delle sue affermazioni “assolute” ha chiesto di dire nient’altro che “sì” quando c’è da dire “sì” e no quando c’è da dire no: “Sì, sì; no, no; il di più viene dal Maligno”. Il contesto di questo detto è l’invito a superare il comandamento di “non giurare il falso”, fino a non giurare affatto. Il giuramento è infatti una garanzia della verità della propria parola. Ma perché giurare se uno dice soltanto e sempre la verità? Conformarsi a questa richiesta evangelica sarebbe risolutivo non soltanto per il complesso mondo giudiziario, ma per gli stessi rapporti quotidiani della vita sociale, familiare, per le relazioni tra amici. Non dovremmo ritrovare una maggiore sincerità e fiducia in noi stessi e negli altri? Assolutamente sì! Sorry, volevo dire semplicemente: sì.


lunedì 21 aprile 2014

Non è qui! E dove allora? In giardino?



Se nella tomba non c’è più, dove possiamo cercarlo?
Il primo incontro di Dio con l’uomo avvenne in giardino.
L’aveva piantato e coltivato proprio come luogo d’incontro.
“Udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno” (Genesi 3, 8)
La natura può essere ancora un luogo che ci disvela la presenza di Dio, di Cristo risorto, nel quale tutte le cose sono state create?
Sarà un caso che Maria di Magdala lo trova proprio in giardino?
Scoprire la sua presenza nel creato, ed esso diventa luogo d’incontro.
Bellezza della natura.
Anche bruttezza e scempi, svelamento del suo volto, di Crocifisso.
Il creato sparisce e rimane soltanto l’incontro.


Intanto nel giardino si riunisce la famiglia per la Pasqua, siamo 30, età media 34 anni: vita e speranza di vita.


domenica 20 aprile 2014

Non è qui! E dove allora?


Nel Vangelo di questa notte di Pasqua mi hanno colpito le prima parole dell’angelo: “Non è qui!”.
Così assertive, così lapidarie.
Gesù non è più tra i morti. È vivo!
E se non è qui, dov’è allora?
Il tempo di Pasqua ci è dato perché ne scopriamo la presenza:
Egli si nasconde e si rivela sotto mille volti.
C’è solo bisogno della passione per la ricerca,
delle lacrime di Maria di Magdala,
dell’angoscia non rassegnata di Cleopa e del suo compagno
del rammarico di Pietro e della sua voglia di riscatto
E se non è qui, dov’è allora?
Il gioco comincia…

Mattino di Pasqua.
Sotto il sole fresco
primaverile
scorrono veloci dal treno
in corsa – e pare fermo –
prati e colline
ville e castelle
in verde ondulato
ombrato appena
da soffici albugini.
Annuncio di Pasqua
pudico e silente
convinto e manifesto
foriero di gioia e festa.


sabato 19 aprile 2014

È vivo!


È vivo!
L’ho visto vivo ieri sul volto di 150 giovani ai quali ho spiegato l’ultima parta di Yucat. Provenivano da tutto il mondo, e seguivano in sei traduzioni. Volti belli, contenti, pieni di vita.. la vita del Risorto!
Tra l’altro ho spiegato loro uno dei nomi di Gesù: Amen. “Così parla l’Amen, leggiamo nell’Apocalisse, il Testimone fedele e verace” (3, 14). E san Paolo dice che in Gesù  «non fu "sì" e "no", ma in lui c'è stato il "sì”», l’Amen (2 Cor 1, 19).
Gesù, con questo suo nome, ci dice che egli ha aderito al progetto del Padre, che tutta la sua vita è stata un sì, un Amen. Così vuole anche noi, una adesione al progetto che svela a ognuno di noi, un sì pieno e definitivo, un Amen, detto con tutto il nostro essere: Amen come sigla di una vita limpida, chiara.
È vivo!
L’ho visto questa mattina a Santa Maria Maggiore, nelle centinaia di persone che hanno seguito “L’ora della Madre”, un’ora di meditazione cantata su Maria che crede e spera davanti al sepolcro, in attesa della Risurrezione del Figlio.
È vivo!

venerdì 18 aprile 2014

La via Crucis graffiante di Bregantini



Al vescovo di Campobasso sono stati affidati i commenti di questo viaggio della Croce che fin dalla prima stazione spazza via la devozione per entrare nei drammi del nostro tempo: i figli morti per i rifiuti tossici, i carcerati, le donne sfruttate, i senza lavoro.
Vedi quanto ho scritto:

giovedì 17 aprile 2014

Sono stato da papa Francesco



Abito a due passi dal papa. Dalla finestra vedo la cupola di san Pietro e se allungo la mano quasi quasi la tocco. Eppure fino ad oggi non avevo mai visto di persona papa Francesco.
Così questa mattina sono stato alla messa crismale in san Pietro, assieme ad un numero inimmaginabile di preti. Un momento solenne, intenso, raccolto.

Altrettanto solenne, intenso, raccolto, il momento vissuto questa sera nella nostra cappella, quando il superiore generale ci ha lavato i piedi, come Gesù.


Lavare i piedi, il gesto dell’amore:
“avendo amato i suoi…”.
È la prima volta che lo si dice esplicitamente, nei Vangeli.
Ma non è l’ultima:
Gv 13,34: come io vi ho amato…
Gv 15, 9.13-14:  anch'io ho amato voi;
Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici.
1Gv 3, 16:  Da questo abbiamo conosciuto l'amore: Egli ha dato la sua vita per noi.
Rm 8,35: Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo?
Gal 2,20:  mi ha amato e ha dato se stesso per me.
Ef 3, 19; 5, 2.25:  conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza;
Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi;

Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei.

mercoledì 16 aprile 2014

Farò la Pasqua da te

«Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”».
Stava leggendo il Vangelo che lo introduceva nel Triduo santo, quando rimase colpito da quel “tale”. Chi sarà stato quel tale a cui il Signore inviava i suoi due discepoli con l’invito a prestargli la casa per celebrare la Pasqua? “Un tale”. Anche lui si sentiva uno qualunque, “un tale”.
E se il Maestro si stesse rivolgendo proprio a lui? Se fosse proprio lui quel tale a cui il Maestro chiedeva di fargli posto in casa?
Apa Pafnunzio non sapeva se gioire per l’onore che gli veniva riservato oppure turbarsi nel constatare l’inadeguatezza dell’accoglienza che avrebbe potuto offrire al Maestro.
Quel tale aveva una grande sala al pieno superiore della casa, adatta alle esigenze, degna di una così grande celebrazione. Ma lui, apa Pafnunzio, non aveva che una misera cella, per niente idonea ad accogliere il Signore.
Eppure sentiva che la richiesta era proprio rivolta a lui: “Il Maestro dice: farò la Pasqua da te”. Come avrebbe fatto a preparare in maniera degna la sua misera dimora?
Continuò poi nella lettura del Vangelo e si accorse che v’era scritto: “I discepoli… prepararono la Pasqua”. Non avrebbe avuto di che preoccuparsi, ci avrebbero pensato altri a preparare l’occorrente, a lui si chiedeva solo la disponibilità ad accogliere il Signore.
Sì, era disposto a far entrare il Maestro nella sua casa. E di nuovo udì la sua voce: “Io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre, entrò da lui e cenerò con lui”.

Apa Pafnunzio aprì la porta. Il Maestro venne. Ed era già Pasqua.

martedì 15 aprile 2014

Quando apa Pafnunzio salvò il mondo


Mentre scorrevano i giorni che lo avvicinavano alla Pasqua, che apa Pafnunzio continua a contemplare il Crocifisso. Ora che sapeva quando il Cristo aveva salvato il mondo, si domandava se anche lui avrebbe dovuto prendere su di sé la croce e lasciarsi innalzare, come il Cristo. Fu così che la contemplazione divenne preghiera:

Vuoi fare di noi i tuoi corredentori che con te condividano e assumiamo i mali del mondo, a cominciare da quelli che albergano nel nostro cuore. Come sanare questo nostro mondo e portartelo unito tra le nostre braccia? Ci chiami ad operare come te: a dire e scrivere parole di sapienza, a moltiplicare i pani, a sanare malati, a lavorare per la giustizia, ad amare con i fatti… Ma forse anche per noi l’opera più grande la compiremo quando ci sentiamo e siamo inutili, ammalati, impotenti… Allora possiamo farci davvero cirenei accanto a te.
Oggi che la tua croce s’innalza davanti ai nostri occhi, quella croce che tutti a te attira e compie l’unità, si erge anche la nostra croce, quella che ci hai invitato a portare dietro di te per essere tuoi veri discepoli, degni di te. E’ quella che ci salva, è con quella che potremo contribuire a salvare.

Solo il silenzio
riconoscente
è degno di stare dinanzi a te
Crocifisso
e il cuore aperto
che accoglie il dono.
Donaci di abbracciare la tua croce
nella nostra croce
nelle croci innalzate
Sui calvari del mondo
fino a farle sparire.
Rimanga soltanto
l’abbraccio con te.

lunedì 14 aprile 2014

Quando Cristo salvò il mondo

Erano ormai vicini i giorni della Pasqua. Apa Pafnunzio aveva costantemente davanti agli occhi il Cristo Crocifisso. Lo contemplava. Questa parola, contemplazione – in greco theoria –, così cara alla filosofia greca, egli l’aveva incontrata una sola volta nel Nuovo Testamento, nel Vangelo di Luca: «Tutte le folle che erano accorse a questo spettacolo – theoria – (e si riferiva alla crocifissione del Signore), ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto». Contemplazione non era dunque un’evasione dalla storia, ma la capacità di guardare fisso il Cristo Crocifisso e poi di riconoscerlo proprio nella storia d’ogni persona e del mondo intero. Fu così che la contemplazione divenne preghiera:

Quand’è che hai salvato il mondo? Quando pronunciavi parole di sapienza e di vita sul monte delle beatitudini o nel tempio di Gerusalemme? Quando operavi i miracoli? Quando la gente ti seguiva e ti osannava? O non adesso, quando non hai più parole da dire. Tutti invocano, pretendono una tua parola e tu taci. Sai soltanto gridare la tua solitudine? Adesso, le mani inchiodate, non puoi può operare miracoli: li hai fatti per gli altri, non puoi farli per te stesso? E il maligno, che ora è tornato, continua a ripetere la tentazione che già aveva fatto udire nel deserto: cambia i sassi in pani, scendi dalla croce e ti crederemo. No, non è questa la via della salvezza. Ora le folle non ti seguono, non ti osannato, ti hanno piuttosto consegnato in mano degli stranieri ed hanno gridato il crucifige… Anche il Padre sembra essersi messo dalla parte loro. Sei perduto, deluso, insicuro, tutto duole nelle tue membra e nell’anima, disfatto e sfigurato nel corpo e nello spirito: un povero cristo in croce come i tanti cristi della terra. Non sei più nessuno.
Ora, ora soltanto operi l’opera grande che il Padre ti ha dato di compiere. Lì sulla croce, in quel tuo grido, diventi il nostro Dio e Salvatore. Non a caso l’emblema cristiano è il Crocifisso. Con l’apostolo Paolo “non conosciamo che Cristo e Cristo crocifisso”. Noi non diremo “Se sei il Cristo scendi dalla croce e ti crederemo”. Per noi sei il Cristo proprio perché ti sei lasciato inchiodare sulla croce e proprio guadandoti sospeso tra cielo e terra, noi crediamo: crediamo nel tuo amore, il più grande, quello che dà  la vita per gli amici, per noi che ti siamo nemici, fatto amici proprio da questo tuo folle amore. 

domenica 13 aprile 2014

Un’amicizia lunga 2.000 chilometri



Prima di partire da Cadice un veloce giro in macchina sul lungomare che circonda la città. A due passi dallo stretto di Gibilterra e dall’Africa, è la punta più avanzata verso l’oceano. Posizione indovinata che spiega perché abbia più di tremila anni di storia. I profili delle fortificazioni e degli edifici lungo il mare mi richiamano L’Havana. Non sarà un caso che le due città siano gemellate. Da qui partivano le navi per le Indie, e qui tornavano ricche si tesori.

Sulla strada verso l’aeroporto di Siviglia nelle campagne solitarie coltivate a grano, cotone, e intense piantagioni di olivi e aranci, un solo paese appare improvviso: un gregge di case bianchissime splendenti al sole con in mezzo un’alta chiesa rosata che domina dando senso di unità e sicurezza.
D’obbligo una bravissima fermata a Siviglia. Ho un’ora appena, il tempo di camminare attorno all’immensa cattedrale, purtroppo chiusa perché vi si stanno preparando le macchine della Settimana Santa, di passare accanto all’Alcazar, e soprattutto di lasciarmi avvolgere dai colori caldi delle case e di respirare il senso della festa.

Un viaggio nel punto estremo della Spagna per poco più di 24 ore? Ma è una pazzia! Ma come, ci dicono, venite in Andalusia per un giorno, alla vigilia della Settimana Santa e non approfittate di questo evento turistico di prim’ordine e non visitate la città come si deve? Sì, in tre abbiamo deciso di fare questa pazzia. Volevamo semplicemente andare a trovare un amico che ormai, a causa della salute, non può più facilmente muoversi. Roma-Cádiz: 2.000 chilometri: un’amicizia lunga 2.000 chilometri. 

Intanto l'amico scrive: 
"Era proprio vero; non era un sogno. Tutti e tre, in carne e ossa, sono apparsi in Cadice, venerdì 11, alle sette ore di sera. Ermanno - che farà fra qualche giorno i novanta anni! -, in forma, resistente, lucido, col suo sant’abito domenicano; Fabio, l’esploratore di ogni angolo della terra, macchina fotografica in mano, sensibile a ogni circostanza, a ogni canto della città, a ogni persona; Donato, vigoroso e atletico come ai suoi migliori tempi, parla spagnolo correttamente con un pizzico in più di entusiasmo e, quindi, è qui la punta di lancia del trio.  Un viaggio privo d’interesse. Che bellezza di Famiglia! Abbiamo parlato, passeggiato, contemplato, pranzato… abbiamo vissuto! Mi hanno lasciato l’anima piena, allargata".

A Cádiz: la coinvolgente Settimana Santa




A Cádiz continua la preparazione della Settimana Santa. Ora che sono montati, i carri con Cristi e Madonne vengono adornate di fiori. Tutto è curato nei minimi particolari. Le statue, d’una perfezione anatomica, opera di grandi artisti, nell’espressione del loro dolore sono di una bellezza struggente. Nel chiostro del convento si lucidano i candelieri d’argento che saranno portati in processione, i turiboli, le mazze. Lavorano famiglie intere, anche i bambini. I giovani fanno le prove della parata, quando saranno rivestiti di piviali di broccati e velluti. Altre persone pregano in chiesa, davanti alle statue che in fondo sono fatta apposta per essere pregate. Il lavoro sta procedendo senza sosta, anche se con calma, precisione e concentrazione. Nelle sedi delle due confraternite, dall’altra parte della strada, dove si possono ammirare i cimeli antichi e da dove vengono impartiti gli ordini, si offrono panini e bibite perché nessuno pensa di lasciare il posto di lavoro per andare a pranzare a casa. È un coinvolgimento totale, anima e corpo, notte e giorno.
Tutto il vicinato è implicato. Si stendono i setini alle finestre, si provano gli strumenti, i canti. È un grande evento sociale. Domani, da tutte le chiese inizieranno a partire le processioni che percorreranno la città e che passeranno nella cattedrale.
Entro anch’io nella cattedrale. Un’architettura originalissima, di un sobrio barocco, mi si para davanti in spazi candidi dilatati in ogni direzione. I grandi pilastri si ergono ognuno con otto colonne quasi perdendosi in alto. Tutto è pronto per il grande evento: la Settimana Santa andalusa. Non la vedrò perché, appena arrivato qui a Cadice, devo già ripartire: il tempo per avere un saggio della preparazione di un momento sacro che prende l’intera città. Gli fa da pendant il carnevale.
Che bello questo popolo, che sa unire sacro e profano, festa e lutto, gioia e pianto. C’è un tempo per ogni cosa sotto il sole. E occorre vivere bene ogni momento, così come Dio ce lo dà.

sabato 12 aprile 2014

Cadice, la città più antica d'Europa



Città millenaria, terra dei fenici, cartaginesi e romani. Cadice è la città più antica dell'Europa! Sulle strade strette, per proteggerla dal sole, si affacciano balconi leggeri, con inferriate che sembra custodire segreti misteriosi. I palazzi antichi, di pietre ambrate e di discrete tinte rosate, si alzano alti e stretti, silenziosi in distinta eleganza.  
Piazza di Spagna mi mostra orgogliosa il monumento alla prima Costituzione della Spagna, qui firmata nel 1812: conquista di libertà. La cattedrale, con l’architettura di un barocco nobile e leggero, e la bizzarra piazza del comune, mi trasmettono un tocco d’anima andalusa.
Una città raccolta nelle sue possenti mura – quindi tutta raccolta, e insieme circondata dal mare – quindi tutta aperta. Una città pedonale, affollata da persone allegre e composte che, in questa vigilia di festa – il venerdì pomeriggio prima della Domenica delle Palme – spandono un vocio di festa. Nelle piazze i bambini giocano come nei tempi andati. Si sentono canti che continueranno fino a notte inoltrata.


La chiesa degli Agostiniani è gremita di persone in preghiera, attorno alle statue grandiose e solenni di Cristi sofferenti e crocifissi e di Madonne addolorate. Oggi si celebra la festa della Madonna dei dolori e le due confraternite della parrocchia fanno a gara a preparare ognuno la propria Madonna, quella che la Domenica delle Palme e il Venerdì Santo porteranno in processione lungo le strade della città. In piazza della cattedrale sono già pronti i palchi per vedere le processioni che provengono dalle varie chiese. Ciò che uomini vestiti elegantemente stanno allestendo, sono macchine possenti, che saranno portate in spalla da gruppi di 40 di loro. Le Madonne, con manti ricamati lunghi una decina di metri, sono circondate da selve di ceri. I loro piedistalli sono interamente ornati d’argento lavorato in miniature preziose. La Spagna anticlericale e secolarizzata, ora che arriva la Settimana Santa, riscopre la sua anima religiosa e sentimentale. Tutti verranno attorno alla Madre, simbolo della dedizione femminile; attorno al Cristo sofferente, simbolo di ogni dolore. Si compongono in armonia dolore e bellezza, chiodi e fiori, uomo e donna. 

giovedì 10 aprile 2014

Tre tesori di famiglia / 2


Nella cappellina di sinistra il terzo tesoro: il cuore di sant’Eugenio, in una bellissima teca che porta scritto il motto della sua vita: “Lo Spirito Santo è su di me e  i ha mandato ad annunciare il Vangelo ai poveri”, e le ultime parole rivolte agli Oblati prima di morire: “Tra voi la carità, la carità, la carità, e fuori lo zelo per le anime”. È una reliquia significativa, che ci ricorda l’amore infinito che sant’Eugenio portava alla sua famiglia, ai poveri, alle persone della sua diocesi… “un cuore grande come il mondo”, che sapeva amare d’un amore appassionato e sincero.
La visita della casa generalizia ci porterebbe a scoprire tanti altri tesori impensati: un archivio storico con documenti di inestimabile valore, contenente manoscritti originali di sant’Eugenio e dei suoi primi compagni, lettere di migliaia di missionari, raccolte di foto e di relazioni provenienti da ogni parte del mondo, che raccontano, a partire dagli inizi del 1800 fino ad oggi, tanta storia della Chiesa, come moderni Atti degli apostoli. Troveremmo gli uffici dove si lavora all’informazione, all’economia… Troveremmo anche il mio ufficio per lo studio della storia, della spiritualità e della vita degli Oblati…

Ma al termina, la visita ci condurrebbe di nuovo in cappella, dove tutta la comunità si ritrova tre volte al giorno per pregare insieme, in silenziosa adorazione e meditazione, nella celebrazione dell’Eucaristia e dell’Ufficio divino. È questo il cuore che pulsa e che porta vita all’intera grande comunità dei missionari Oblati sparsi nel mondo. 

mercoledì 9 aprile 2014

Tre tesori di famiglia / 1


La "cartolina da casa mia" fotografa il centro della casa la cappella, che custodisce tre tesori di famiglia, che gli Oblati si sono portati sempre dietro nel loro pellegrinare da una casa all’altra: un altare, una statua, un cuore.
L’altare di legno è quello che si trovava nella cappella interna della casa di Aix dove tutto è iniziato. Perché portarlo con sé? Non ha alcun valore artistico, ma ha un gran valore affettivo. Sant’Eugenio e il suo primo compagno, l’11 aprile 1816, vi passarono davanti l’intera notte, in preghiera. Era il Giovedì santo. Vi avevano riposto la Santissima Eucaristia, al termine della celebrazione liturgica. Non erano passati neppure tre mesi da quando avevano iniziato ad abitare insieme dando inizio alla piccola comunità di missionari. Fino ad allora non avevano pensato che sarebbero potuti diventare dei religiosi. A loro bastava essere come gli apostoli e seguire Gesù nell’annuncio del Vangelo. Ma presto sant’Eugenio si rese conto che per vivere veramente come gli apostoli avrebbero dovuto fare il passo della consacrazione di tutti sé stessi con i voti, con l’oblazione. Ne parlò all’amico che rimase entusiasta della proposta e in quella notte di preghiera, in ginocchio davanti all’altare, «facemmo i nostri voti – racconta lui stesso – in una indicibile gioia». Entrando nella casa di Roma, nella cappellina a destra, troverete “l’altare dei voti”.

La statua è quella dell’Immacolata che sant’Eugenio comprò per la sua chiesa di Aix e che benedisse il 15 agosto 1822. Una statua di legno completamente dorata, nel più puro stile provenzale. Questa sì che è preziosa. Ma per gli Oblati lo è per un episodio dal quale prende il nome di “Madonna del sorriso”.

Quel giorno, festa dell’Assunta, sant’Eugenio parlò di lei con tutta l’effusione del cuore. A sera la gente uscì in processione, mentre egli rimase in chiesa, davanti all’immagine. Più tardi scrissi all’amico Tempier, per comunicargli quello che era avvenuto: «Da molto tempo non provavo tanta gioia nel parlare delle sue grandezze, nell’invogliare i cristiani a riporre in lei ogni fiducia… Questa sera mi sono accorto che tutti i fedeli che frequentavano la nostra Chiesa condividevano il fervore che ci ispirava l’immagine della santa Vergine…». Gli sembrò «di vedere, di toccare con mano» che la piccola famiglia di missionari a cui aveva dato vita da sei anni, «racchiudeva il seme di grandissime virtù, e che potrebbe operare un bene infinito; la trovavo buona, in lei mi piaceva tutto, amavo le sue Regole, i suoi Statuti; il suo ministero mi sembrava sublime, come è effettivamente». Ma vide anche la propria personale piccolezza e miseria, le prove e le difficoltà che la sua comunità avrebbe dovuto attraversare… Fu allora che la bella statua rivolse gli occhi verso di lui e gli sorridesse. Quel giorno Eugenio sperimentò lo sguardo materno di Maria, pieno di tenerezza, e si sentì infondere una forza nuova. Da quel giorno padre Eugenio seppe con certezza che la sua opera veniva da Dio ed era a Lui gradita. Quella statua è oggi sull’altare della nostra cappella.