mercoledì 9 aprile 2014

Tre tesori di famiglia / 1


La "cartolina da casa mia" fotografa il centro della casa la cappella, che custodisce tre tesori di famiglia, che gli Oblati si sono portati sempre dietro nel loro pellegrinare da una casa all’altra: un altare, una statua, un cuore.
L’altare di legno è quello che si trovava nella cappella interna della casa di Aix dove tutto è iniziato. Perché portarlo con sé? Non ha alcun valore artistico, ma ha un gran valore affettivo. Sant’Eugenio e il suo primo compagno, l’11 aprile 1816, vi passarono davanti l’intera notte, in preghiera. Era il Giovedì santo. Vi avevano riposto la Santissima Eucaristia, al termine della celebrazione liturgica. Non erano passati neppure tre mesi da quando avevano iniziato ad abitare insieme dando inizio alla piccola comunità di missionari. Fino ad allora non avevano pensato che sarebbero potuti diventare dei religiosi. A loro bastava essere come gli apostoli e seguire Gesù nell’annuncio del Vangelo. Ma presto sant’Eugenio si rese conto che per vivere veramente come gli apostoli avrebbero dovuto fare il passo della consacrazione di tutti sé stessi con i voti, con l’oblazione. Ne parlò all’amico che rimase entusiasta della proposta e in quella notte di preghiera, in ginocchio davanti all’altare, «facemmo i nostri voti – racconta lui stesso – in una indicibile gioia». Entrando nella casa di Roma, nella cappellina a destra, troverete “l’altare dei voti”.

La statua è quella dell’Immacolata che sant’Eugenio comprò per la sua chiesa di Aix e che benedisse il 15 agosto 1822. Una statua di legno completamente dorata, nel più puro stile provenzale. Questa sì che è preziosa. Ma per gli Oblati lo è per un episodio dal quale prende il nome di “Madonna del sorriso”.

Quel giorno, festa dell’Assunta, sant’Eugenio parlò di lei con tutta l’effusione del cuore. A sera la gente uscì in processione, mentre egli rimase in chiesa, davanti all’immagine. Più tardi scrissi all’amico Tempier, per comunicargli quello che era avvenuto: «Da molto tempo non provavo tanta gioia nel parlare delle sue grandezze, nell’invogliare i cristiani a riporre in lei ogni fiducia… Questa sera mi sono accorto che tutti i fedeli che frequentavano la nostra Chiesa condividevano il fervore che ci ispirava l’immagine della santa Vergine…». Gli sembrò «di vedere, di toccare con mano» che la piccola famiglia di missionari a cui aveva dato vita da sei anni, «racchiudeva il seme di grandissime virtù, e che potrebbe operare un bene infinito; la trovavo buona, in lei mi piaceva tutto, amavo le sue Regole, i suoi Statuti; il suo ministero mi sembrava sublime, come è effettivamente». Ma vide anche la propria personale piccolezza e miseria, le prove e le difficoltà che la sua comunità avrebbe dovuto attraversare… Fu allora che la bella statua rivolse gli occhi verso di lui e gli sorridesse. Quel giorno Eugenio sperimentò lo sguardo materno di Maria, pieno di tenerezza, e si sentì infondere una forza nuova. Da quel giorno padre Eugenio seppe con certezza che la sua opera veniva da Dio ed era a Lui gradita. Quella statua è oggi sull’altare della nostra cappella.

Nessun commento:

Posta un commento