giovedì 12 giugno 2014

Festa in cielo: Józef Cebula, Martire

Un uomo buono, semplice, fedele al suo ministero sacerdotale. Questa l’immagine di padre Giuseppe Cebula, l’Oblato polacco beatificato insieme a 107 compagni, vittime come lui della furia nazista. Oggi è la sua festa.
Questo il ricordo di uno dei testimoni:
La vita di Padre Cebula, durante gli arresti domiciliari, è dolorosa; diventa ancora più difficile dopo che gli altri Oblati vengono deportati in campo di concentramento. Vive con due fratelli oblati laici in una stanza e condivide con essi la triste sorte. Quante precauzioni da prendere, quante attenzioni per non pregiudicare né se stesso né gli altri, mentre adempie il suo ministero sacerdotale. Durante il giorno lavora come semplice operaio e durante la notte celebra la Messa, e segretamente, porta conforto ai moribondi, benedice matrimoni e battezza i neonati. Nel febbraio del 1941,  gli viene categoricamente proibito di esercitare qualsiasi ministero sacerdotale. Nonostante questo, celebra il Santo Sacrificio ogni giorno a mezzanotte, nelle rimesse agricoli o spesso anche in cantina, accompagnato solo da un fratello.
Sente che presto sarebbe arrivato il momento nel quale non avrebbe più potuto portare Gesù sulla terra martoriata di Kujawy. Il 2 aprile, dopo la messa, celebrata a mezzanotte, dice al suo fratello, che gli era rimasto sempre fedele: "Fratello, oggi è stata l'ultima volta che ho festeggiato l’offerta a Dio. Vi consiglio di confessarvi da me per l'ultima volta".
Tutto avviene come predetto. Il giorno dopo, durante il pranzo, la polizia fa irruzione e porta padre Cebula al campo di concentramento di Inowroclaw. Lì trova altri sacerdoti e subisce dure torture, insieme al vescovo Kozal, futuro martire di Dachau. Poi vengono separati in Poznai e il 7 aprile 1948, è portato nel campo di concentramento di Mauthausen.
Qui doveva spaccare grosse pietre e portarle sulle spalle salendo una scala di 144 gradini sconnessi, sotto i colpi delle guardie che pretendevano che intonasse inni sacri. Non si lamentava mai, anzi il suo atteggiamento ispirava venerazione ai compagni, che cercava di consolare e coi quali spartiva il poco cibo. Le SS si divertivano a fare con lui giochi perversi. Il 9 maggio 1941 lo colpirono con otto pallottole e poi lo trascinarono, ancora vivo, al forno crematorio.


Da una sua lettera alla famiglia, scritta il venerdì santo, 15 aprile 1938, mentre suo padre Adrian è gravemente malato:
Mia cara sorella, mio amato Wilhelm!
Le feste di Pasqua si avvicinano e ci scambiamo gli auguri di "Liete feste di Pasqua". Saranno liete per voi? È difficile gioire quando nostro padre è malato senza speranza di guarigione. Durante la Settimana Santa, la Chiesa ci ricorda che anche il Signore ha dovuto soffrire. Com’erano dolorose per sua Madre queste sue sofferenze! Eppure tutto ha avuto un termine. Anche i nostri dolori durano solo poco tempo. Ciò che conta è trarne profitto. Dobbiamo sottometterci alla volontà di Dio, convinti che è Dio che permette la malattia e la morte. Egli è il Signore e lui fa ciò che vuole e come vuole.
Nostro Signore disse: "Quello che avete fatto ad uno dei miei piccoli, l'avete fatto a me". Più un ammalato rimane a letto, più ha bisogno di cure adeguate. Ma coloro che se ne preoccupano guadagnano più meriti; avranno una maggiore ricompensa in cielo e la benedizione di Dio su questa terra. (...) Vi auguro molte grazie e benedizioni dal Cristo Risorto. Vi saluto cordialmente, Józef.




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