domenica 6 luglio 2014

Da Maria Goretti a Le Ferriere


La frazione Le Ferriere è silenziosa, perduta nelle campagne del basso Lazio. Le indicazioni scritte a mano che orientano le auto verso il parcheggio preannunciano l’imminenza della festa. Tra poco arriverà la processione da Nettuno, dopo un percorso di dieci chilometri. Le case coloniche, in una delle quali viveva la famiglia Goretti, sembrano essersi fermate nel tempo. Le suore si stanno dando da fare per addobbare il piccolo palco a ridosso della casa della santa. Già pronta, felice, la ragazzina vestita da Maria Goretti (da santa, come giace nel sarcofago del santuario a Nettuno, non da contadinella di quando correva qui nel cortile).
Salgo per la ripida scala esterna che porta alla stanza grande. Appena aperta la porta il luogo del martirio, protetto da una piccola cancellata, colmo di fiori che circondano la minuta statua di Maria Goretti come vi giaceva, pugnalata.
La stanza divideva in due la casa, da una parte la famiglia Goretti, dall’altra la famiglia Serenelli. Il fuoco e la mensa in comune. Adesso è adibita a cappella, ma è rimasta tale e quale come allora.
Dopo una vita passata nei Castelli Romani, mi sono finalmente deciso di venire a vedere il luogo del martirio di Marietta. Tutto semplice come lo era la vita di allora, la vita della santa, il suo martirio, uno dei tanti, dei troppi fatti di cronaca nera che si scorda dopo due giorni. Invece quella bambina non ancora dodicenne, da quel 5 luglio 1902, è rimasta nel cuore di tanti.

Mi ha colpito il testamento di Alessandro Serenelli:

«Sono vecchio di quasi 80 anni, prossimo a chiudere la mia giornata. Dando uno sguardo al passato, riconosco che nella mia prima giovinezza infilai una strada falsa: la via del male, che mi condusse alla rovina...  Consumai a vent’anni un delitto passionale del quale oggi inorridisco al solo ricordo. Maria Goretti, ora santa, fu l’angelo buono che la provvidenza aveva messo avanti ai miei passi per salvarmi. Ho impresse ancora nel cuore le sue parole di rimprovero e di perdono. Pregò per me, intercedette per il suo uccisore. Seguirono trent’anni di prigione… La piccola Maria fu veramente la mia luce, la mia protettrice; col suo aiuto mi comportai bene nei ventisette anni di carcere e cercai di vivere onestamente quando la società mi riaccettò fra i suoi membri... Ed ora aspetto sereno il momento di essere ammesso alla visione di Dio, di riabbracciare i miei cari, di essere vicino al mio angelo protettore ed alla sua cara mamma, Assunta. Coloro che leggeranno questa mia lettera vogliono trarre il felice insegnamento di fuggire il male e di seguire il bene sempre, fin da fanciulli... 5 maggio 1961».

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