giovedì 18 settembre 2014

Francis Kelly Nemeck, l'uomo della contemplazione


“Lontano dalle luci della città, il cielo è pieno di stelle. Appena una falce di luna, ma basta a illuminare gli alberi magri. Nessun rumore se non quello monotono i grilli, l’ululato del coyote e l’agitarsi delle rade palme mosse dal vento. Sono in pieno deserto, a qualche chilometro da un minuscolo paese, Sarita, tra le città di Corpus Christi e Brownsville, nel Texas. La regione è desertica e solitaria. Acacie, quercioli, cespugli spinosi e un gran bel caldo secco tropicale, con il sole che picchia. I cervi passano tranquilli vicino casa; questa sera è venuta a pascolare un intero branco. I tacchini selvatici sono alti e snelli, lontani parenti di quelli di allevamento. Non ho ancora visto né gli armadilli né i cinghiali. I serpenti per fortuna sono in letargo. In cielo volano solenni i rapaci”.
Era il 13 dicembre 2010 quando scrivevo questa pagina di diario. Mi trovano nell’antica villa del ranch della famiglia Kenedy, che si estende per 400,000 acri e che, assieme al ranch della famiglia King, occupa la maggior parte del Deserto Cavallo Brado, la vasta area di confine tra Texas e Messico. Nel 1961 la villa divenne noviziato degli Oblati e dal 1973 è casa di preghiera. Attorno una quindicina di casette, veri e propri eremitaggi per un’esperienza di assoluto silenzio, di preghiera, di solitudine.

p. Francis Kelly Nemeck
Allora – nel 2010 – vi incontrai l’Oblato p. Francis Kelly Nemeck, che aveva fondato e ancora guidava la casa di preghiera, a cui aveva dato il nome di Lebh Shomea, una parola ebraica che significa “cuore docile”, e si espira alla preghiera di Salomone: “Signore, concedi al tuo servo un cuore docile… che sappia distinguere il bene dal male” (1 Re 3, 9).
Nell’America rumorosa ci vuole un luogo di silenzio e di pace per trovare la via alla contemplazione. E p. Francis era uomo di contemplazione. Così mi diceva: «Dio invita ognuno di noi ad abbandonarsi amorevolmente a Lui, almeno in punto di morte. Le nostre vite sono animate da ricerca di contemplazione, sia che dormiamo sia che vegliamo, sia che lavoriamo sia che preghiamo, sia nell’attività che nella passività. L’attrattiva verso la contemplazione viene dall’azione immediata e diretta nel nostro spirito da parte di Dio che ci conduce inesorabilmente all’unione trasformante con Lui in ogni nostra azione e in tutto il nostro divenire. Personalmente mi ritrovo in un’osservazione fatta nel 1924 dal padre Teilhard de Chardin: “Che io sia nell’azione o che preghi, che io dischiuda il mio spirito con il lavoro, o che Dio lo invada con le passività, dal di fuori o dal di dentro, io ho coscienza di unirmi... Del resto, io sono in Cristo Gesù; e solo dopo agisco, soffro, o contemplo”».
Pochi giorni fa è partito per il Cielo. Adesso è in piena contemplazione.


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