lunedì 22 settembre 2014

La camera segreta / 2



Ognuno di noi può essere dunque un luogo di Dio?
Le testimonianze sono innumerevoli. Meister Eckhard scrive che il Padre, generando il Figlio nell’eternità, «lo ha generato nell’anima mia… Egli mi genera come suo Figlio e lo stesso Figlio. Dico di più: mi genera non solo in quanto suo Figlio, ma in questo lui stesso, e lui in quanto me, e me in quanto suo essere e sua natura… È questa una sola vita, un solo essere, una sola operazione» (Opera tripartita, 6). Umanizzazione e divinizzazione coincidono.
«L’anima – scrive nel proprio diario Matilde di Magdeburgo parlando della propria esperienza – si trasforma tutta in Dio e, per modo di partecipazione, pare che ella sia talmente unita a Dio, come ella fosse dentro nel Medesimo, e lì stesse nuotando nel mare infinito del suo divino amore e della sua infinita misericordia. Appunto ella fa come il pesce che sta nuotando nel mare».
Non diversamente Veronica Giuliani narrando una delle sue molteplici esperienze: «La mattina, nella santa Comunione, ebbi un’intima unione con Dio. Quando io dico: intima, è cosa che non si può raccontare. È opera di comunicazione, e si conosce che tutto opera l’amore; e fa che l’anima nostra sia talmente al suo Dio unita, che più inoltrare non può. Ella ben conosce che Esso è il suo centro. Ivi sta tutta assorta, e quasi in riposo. Iddio le vien comunicando Se stesso; le fa capire che Egli è tutto per lei; si dà tutto a lei; ma, nel medesimo punto, è tutto di tutti, e si dà a tutti».


Mentre affermano l’identificazione con Cristo e con Dio i mistici ne affermano la distinzione. Immagini ricorrenti in proposito sono quelle dell’amicizia e del matrimonio. Abramo e Mosè sono chiamati dalle Scritture ”amici di Dio”. Gesù stesso, rivolgendosi ai suoi discepoli, dice loro: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi» (Gv 15, 15). Uno dei primi tra i più grandi scrittori mistici cristiani, Gregorio di Nissa, trova in questa amicizia il culmine del cammino spirituale: «Questa è veramente la perfezione: staccarsi dalla vita di peccato non più per il servile timore di venire punito, né fare il bene per la speranza delle ricompense, mercanteggiando la vita virtuosa con intendimento affaristico e interessato; ma trascurando anche tutti i beni che speriamo di conseguire secondo la promessa, ritenere temibile soltanto il decadere dall’amicizia di Dio e giudicare per noi onorevole e desiderabile solo il divenire amici di Dio» (Vita di Mosè, II, 320)
Se questa è l’esperienza dei santi, che sarà stato della “stanza segreta” della vergine Maria? Cosa vi sarà avvenuto, quale dialogo si sarà articolato, a quale rapporto avrà condotto? Da tutta l’eternità Dio si era preparato il luogo più adatto e degno per venire ad abitare. L’aveva preservato da ogni macchia di peccato e adornato di ogni grazia e bellezza. Mai prima di allora egli si era reso così presente nella creazione come quando il Verbo si fece carne nel grembo di Maria. Ciò che il mondo intero non può contenere si rimpicciolì fino ad essere contenuto dalla Madre. La terrà abbracciò il cielo e lo raccolse in sé. È Maria “il giardino chiuso e la fontana sigillata” con cui il Cantico dei Cantici designa la sposa (cf. 4, 12). Nessuna creatura ha mai conosciuto intimità più profonda con Dio, rimescolamento di carne e di sangue, compenetrazione di volere e di esistenza. Chi può di lei può dire: «Io sono per il mio diletto e il mio diletto è per me» (6, 3)?
Anche dopo aver dato alla luce il figlio, il suo cuore rimane la stanza segreta, lo spazio interiore del raccoglimento nel quale ella “custodisce e medita” (cf. Lc 2,19; 2,51b), continuando il dialogo silenzioso, la lode del Magnificat per tutto quanto Dio compie in lei e attorno a lei, l’immedesimazione di destino e di vita con il Figlio.

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