sabato 13 settembre 2014

La cultura è un bene superfluo?



Sono appena riemerso da un tuffo nel passato che mi ha portato indietro di oltre duemila anni. Strato dopo strato, l’antico sito di San Sisto Vecchio mi ha mostrato i mosaici della villa romana, le colonne della basilica paleocristiana, la sala capitolare di san Domenico, gli affreschi due-trecenteschi di Pietro Cavallini recuperati da vecchie intercapedini e ancora inaccessibili al pubblico a causa dell’arresto dei restauri per mancanza di fondi, oltre che per le solite imbrigliature burocratiche.
Mi basta riaccendere il cellulare per vedere apparire sul display le solite news telegrafiche che mi risvegliano dal sogno: nuovi massacri su vasta scala e altri di portata domestica, nuovi sbarchi e naufragi di profughi, l’innalzamento dell’indice di disoccupazione e il calo di quello dei consumi… Per un momento mi sento quasi in colpa. Davanti a situazioni così drammatiche posso ancora permettermi di gustare la bellezza del nostro patrimonio artistico e ripercorre l’affascinante storia dei nostri antichi con le loro straordinarie avventure?
Nei momenti di crisi, soprattutto di natura economica ma anche politica o valoriale, la prima mossa è il taglio delle spese per la cultura: prima vivere, poi filosofare. Gli investimenti, familiari e pubblici, si fanno più selettivi a scapito di quella voce generica che è appunto la cultura. Si chiudono biblioteche e musei, librerie e case editrici, teatri e cinema.
Ma è davvero superflua la cultura? Tante manifestazione di violenza mi sembrano proprio il sintomo di mancanza di cultura, di imbarbarimento. I guerriglieri di Boko Haran, che ripudiano i libri occidentali, hanno mai letto un libro della grande letteratura filosofica, mistica, poetica musulmana? I giovani dell’Occidente che si arruolano tra i mujaheddin hanno mai visitato la Grande moschea di Cordoba o la Cappella Palatina di Palermo? Gli arricchiti esosi e spendaccioni di casa nostra sanno cos’è il mecenatismo. Quanti sgozzano moglie e figli hanno mai letto Kahlil Gibran, Rabindranath Tagore, Pablo Neruda, Francesco Petrarca? Meglio una pizza in meno e un libro in più.

È promuovendo e coltivando la cultura che possiamo sperare creatività in politica e in economia, rinascita di etica sociale, gusto per l’impegno nella ricerca. “La bellezza salverà il mondo” non è soltanto una bella frase retorica.

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