martedì 30 settembre 2014

Passeggiando per Roma: il barbone santo



Basta uscire dai soliti circuiti per imbattersi in una Roma sempre nuova. Così ho fatto, ho lasciato via Nazionale e mi sono inoltrato del rione Monti, l’antica Suburra, il quartiere popolare dell’antica Roma. È proprio un’altra città, con un fascino discreto, erede del destino popolare che gli è rimasto attaccato ai vicoli e alle case. Via e piazza degli zingari ricordano ancora quei tempi lontani. E dove altro se non qui poteva essere la tomba di un santo zingaresco come Benedetto Giuseppe Labre? Non lo chiamavano lo “zingaro di Cristo”, il “vagabondo di Dio”?
Inutilmente tentò di farsi trappista, su rifiutato dai cistercensi di Montagne, dai certosini di Neuville, dai cistercense di Sept-Fons. Decise così di farsi pellegrino: il suo monastero sarebbe stato la strada, e più precisamente le strade di Roma. Nel sacco di povero pellegrino portava tutti i suoi tesori: il Nuovo Testamento, l’Imitazione di Cristo e il breviario; sul petto portava un crocifisso, al collo una corona e tra le mani un rosario. Di notte riposava tra le rovine del Colosseo e le sue giornate le passava nella preghiera contemplativa e nei pellegrinaggi ai vari santuari.
Morì proprio in questo quartiere, accanto alla chiesa di S. Maria dei Monti, dopo essersi accasciato sui gradini dell’entrata ed essere ricoverato nel retrobottega del macellaio.
Si recava spessissimo in questa chiesa per la recita delle Litanie davanti all’immagine miracolosa della Vergine. Iniziava al mattino presto, inginocchiato presso l’altare maggiore, “con gli occhi fissamente a Maria rivolti, parea che si liquefacesse in santo amore, né potea trattenere gli affetti interni senza esprimere il suo amore. […] Chiunque miravalo perovava compunzione, e tenerezza. Molti portavansi a bella posta in detta chiesa, e fatta una breve adorazione al Divin Sacramento, si mettevan di proposito ad osservarlo, destandosi ne’ loro cuori affetti di compunzione e devozione nel mirarlo così innamorato e devoto di Maria Santissima”.
Quando morì, quel mercoledì santo del 1783. I bambini di Monti iniziarono ad andare per il quartiere gridando: “E’ morto il Santo! E’ morto il Santo”. E “Tosto un immensa moltitudine di popolo di ogni età, di ogni ordine assediò la camera dove giaceva il corpo di quell’uomo miserissimo, ed ognuno faceva a gara d’avere un brandello delle lacere e luride vesti da lui usate”. La sua fama durò così a lungo che un secolo dopo, nel 1881, Leone XIII dovette canonizzarlo.
Ora se ne sta pulito e candito, disteso nella sua statua bianca, nella sua chiesa, accanto alla Madonna, lui che era stato così sporco e malmesso da diventare il simbolo del barbone, santo!
Chissà che bella “stanza segreta” doveva avere in cuore. Di lui J.R. Maritani ha scritto: “Fu cercatore di Dio sulle strade della terra. La solitudine fu la sua vocazione, foss’egli smarrito fra sentieri selvaggi o fra il popolo di Roma. La contemplazione dovette essere tutta la sua vita nel tempo che precedette la beatitudine eterna”.
Ne ha fatti di santi Roma! e i santi hanno fatto Roma santa.


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