venerdì 31 ottobre 2014

La santità: un sogno che non rimane tale

Festa di Tutti i Santi. Sant'Eugenio de Mazenod, ha nutrito un desiderio sempre crescente di santità. L’ha desiderata per sé e per tutti coloro ai quali era rivolto il suo ministero: voleva condurre le persone ad essere prima ragionevoli, poi cristiani e infine aiutarli a diventare santi. L’ha desiderata per gli Oblati, che supplicava: «In nome di Dio, siamo santi». Ha creato la comunità oblata come un luogo di santificazione, ha abbracciato la vita religiosa come mezzo efficace di santificazione, ha scelto la missione come ministero nel quale santificarsi e santificare. Ha compreso e costantemente sottolineato l’intrinseco  
legame tra santità e missione. Ha vissuto in modo da raggiungere la santità.
Per lui infatti la santità è un divenire dinamico, un cammino costante che dura tutta la vita. Gli Oblati, leggiamo nella Prefazione, «devono lavorare seriamente a diventare santi, […] vivere […] in una volontà costante di giungere alla perfezione». «Niente limiti alla nostra santità personale», esclamava uni dei nostri superiori generali, p. Léo Deschâtelets leggendo questo testo.
Già nella Supplique adressée aux vicaires généraux capitulaires d’Aix, il primo documento programmatico della nuova comunità (25 gennaio 1816) Eugenio aveva scritto: “Il fine di questa società non è soltanto quello d lavorare alla salvezza del prossimo, dedicandosi al ministero della predicazione» I suoi membri «lavoreranno all’opera della propria santificazione conformemente alla loro vocazione».
La Prefazione della Regola successiva conferma: «lavorare più efficacemente alla salvezza delle anime e alla propria santificazione», «per la propria santificazione e per la salvezza delle anime».

La comunità è proprio in vista della santità. Occorre una “santificazione comune”, aveva scritto al suo futuro primo compagno, proponendo un primo incontro fra tutti i futuri componenti della comunità: «ci aiuteremo l’un l’altro con i nostri consigli e con tutto quando Dio ispirerà ad ognuno di noi per la nostra santificazione comune».

Alla fine della vita, quasi a sintetizzare il proprio ideale di vita, scrive ai missionari del Canada: «prego ogni giorno perché la grazia di Dio vi mantenga tutti nella più alta santità. Non capirei altrimenti la vita di sublime dedizione dei nostri missionari».

Il suo non è rimasto un sogno. È divenuto una realtà: «Preti santi, ecco la nostra ricchezza!», diceva guardando la sua famiglia religiosa.
Queste parole dicono che la santità, nella congregazione degli Oblati, non è solo un ideale. Essa è stata vissuta da tanti dei suoi membri. La Chiesa ne ha riconosciuti ufficialmente 25 e un’altra schiera sta per essere proclamata santa. Per sant’Eugenio era normale ritenere che nella sua famiglia «tutti i membri lavorano a diventare santi nell’esercizio dello stesso ministero e nella pratica esatta delle stesse Regole». La morte santa degli Oblati era per lui la certezza che il suo ideale di vita poteva essere realmente vissuto: «La porta del cielo - scriveva in occasione della morte di p. Victor Arnoux, nel 1828 – è al termine del sentiero sul quale siamo incamminato».
Altre volte, guardando ai suoi Oblati, scrive: «In mancanza di virtù mie, mi vanterò di quelle dei miei fratelli e dei miei figli, e sono fiero delle loro opere e della loro santità».

L’esempio della santità di Eugenio e di tanti Oblati continui a tenere desto in noi il desiderio e l’impegno verso la santità. «Noblesse oblige - scriveva un altro superiore generale, mons. Dontenwill in occasione del primo centenario della Congregazione -. Figli e fratelli di santi, dobbiamo lavorare a essere santi noi stessi». Vale ancora di più oggi che stiamo per celebrare il secondo centenario.


1 commento:


  1. "La nostra debolezza quindi è molto aiutata dalla loro fraterna sollecitudine"... (è la Lumen Gentium che lo dice e mi pare una grandissima scoperta)
    Dulcinea del Taboso

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