giovedì 11 dicembre 2014

La profezia della vita consacrata

Nell’aula magna dell’Università Urbaniana, gremita fino all’ultimo posto, si sta svolgendo il 40° convegno organizzato dal Claretianum. Oggi è stato il mio turno, con una relazione su “Carismi al servizio della comunione evangelizzatrice”. Ho concluso richiamando i tre elementi che, secondo la Lumen gentium, caratterizzano il popolo di Dio: «ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio… per legge il nuovo precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati… e finalmente, ha per fine il regno di Dio, incominciato in terra dallo stesso Dio, e che deve essere ulteriormente dilatato, finché alla fine dei secoli sia da lui portato a compimento…» (n. 9).
Partendo da questo ultimo aspetto ho potuto richiamare la dimensione profetica della vita consacrata che ha come missione tenere desta in tutta la Chiesa l’attesa della venuta di Cristo, la speranza nei cieli nuova e nella terra nuova, il cuore spalancato verso il cielo, sua ultima meta.
«Si tratta di mettere il trascendente nel nucleo stesso della vita e dell'attività quotidiana della nostra consegna», affermava Bergoglio al Sinodo del 1994, quando era vescovo ausiliare di Buenos Aires, di aprire una «breccia rivolta verso una trascendenza che non è un trascendere verso l'esterno, ma verso l'interno, verso la dinamica stessa della vita».
Nella lettera apostolica per l’Anno della vita consacrata papa Francesco ha detto chiaramente che si attende «che “svegliate il mondo”, perché la nota che caratterizza la vita consacrata è la profezia. Come ho detto ai Superiori Generali «la radicalità evangelica non è solamente dei religiosi: è richiesta a tutti. Ma i religiosi seguono il Signore in maniera speciale, in modo profetico». È questa la priorità che adesso è richiesta: «essere profeti che testimoniano come Gesù ha vissuto su questa terra… Mai un religioso deve rinunciare alla profezia» (29 novembre 2013).
“Svegliare il mondo”, un’altra delle parole efficaci bergogliane, che implica il pellegrinaggio verso il cuore del mistero cristiano e verso il mondo: sono i due imprescindibili aspetti della profezia. Essere rivolti verso il popolo per parlare di ciò che si è contemplato rivolti verso Dio.
L’inserimento presuppone il radicamento in Dio. Ancora una volta una tensione inevitabile e salutare. «Qui – leggiamo nell’intervento al Sinodo del 1994 – la tensione si stabilisce tra la vita attuale e la dimensione escatologica, tra il servizio apostolico concreto e il messaggio escatologico. Ogni vita consacrata deve essere inserita nell'ambito in cui lavora apostolicamente. Essere religioso non significa “risparmiarsi” per la vita eterna... ma è addentrarsi, come il Verbo di Dio, nella quotidianità del lavoro, mostrando il volto del Padre che attende, del Figlio che rifà tutte le cose, dello Spirito che anima. Inserirsi vuol dire portare l'esempio del limite dell'Incarnazione del Verbo fino all'ambito più intensamente drammatico».

Dopo la mia relazione, che sarà stata bella ma anche dottrinale, c'è stato uno sprazzo luminosissimo di luce: il racconto del "martirio" di quattro Fatebenefratelli, di una suora e di cinque collaboratori laici in Africa, contagiati dall'ebola durante il loro servizio ospedaliero. Questi sì che hanno raggiunto le "periferie esistenziali" e hanno esercitato la profezia!

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