giovedì 19 marzo 2015

Auguri Celso




40 anni fa Celso veniva ordinato prete.
40 anni di vita missionaria in Africa.
Così lontano, come facciamo a farti festa?
per fortuna ci hanno pensato le Suore di Madre Teresa, questa mattina.
La torta è modesta, ma la sfilata dei bambini è da grandi occasioni.

Ricordi il primo incontro, a Vallada, nel 1968? Sul mio computer ho un tuo racconto che rievoca quei giorni antichi:

A dire il vero, l’inizio non fu dei più entusiasti. Non ero mai uscito dalla mia terra, se non per un viaggio a Roma a far visita a mia sorella. (…) Presi il treno a Verona e cambiai a Vicenza, direzione Belluno. Scesi a Sedico Bribano. Da lì pullman di linea per Agordo, e dopo un attimo di ristoro, altro pullman per Canale. Scesi a Celat, una frazione di Vallada. Mi sembrava un viaggio interminabile, specie quello in treno. Erano queste le parole della prima lettera scritta a mia madre una volta raggiunto il posto.
Da Celat cominciai a salire, con la zaino sulle spalle, in direzione di Andrich (secondo le istruzione ricevute). Arrivato, mi fu indicata la casa dove “si trovavano i giovani”. La prima persona che incontrai fu Scolastica, che mi accompagnò dentro e mi mostrò il letto che mi era destinato. Era una cameretta con 4 o 5 letti. Incontrai poi il primo “giovane” chiamato Raffaele Fiorenza, che mi chiese subito, sorridente: sei Celso? Quel primo approccio mi fece tanto piacere. Mi disse che potevo riposare, se volevo. E così mi distesi sul letto. Dopo circa un’ora arrivarono gli altri: un gruppo di sette o otto ragazzotti, che parlavano tra loro a voce alta. Vedendo l’intruso, fecero silenzio e poi si fecero avanti intorno al letto. Uno mi chiese: chi sei? E un altro: da dove vieni? E altre domande di questo genere. Poi si ritirarono e si consultarono. Avevano deciso di chiedermi se avevo fame. Pensai che era meglio rispondere di sì, perché ero già stanco di stare a letto. E così uno mi accompagnò in cucina mostrandomi il pane e il salame. (…)
Il tempo passava tra passeggiate sui monti e incontri. Durante gli incontri ci si soffermava spesso su una frase del Vangelo, che chiamavano la Parola di Vita. Tutti avevano sempre qualcosa da dire, eccetto io. Non ero abituato a dire le mia cose in pubblico. (…)
 Pochi giorni dopo arrivò il superiore: si chiamava P. Marino. Era una persona seria e di poche parole. Arrivò anche P. Angelo, che avevo avuto modo di conoscere alcuni anni prima. E fece la sua apparizione anche un certo Fabio, proveniente da Firenze. Si vedeva subito, e soprattutto si sentiva, che proveniva dalla terra di Dante. Non credo di avergli fatto buona impressione, con la mia serietà. Dopo alcuni giorni vedevo che anche lui prendeva l’andazzo degli altri e quindi stavo perdendo un po’ di stima nei suoi riguardi. Un giorno andammo a fare una passeggiata nei boschi, per prendere un po’ di legna per il fuoco. Fabio avevo una zaino e vi mise dentro un grosso ceppo. Mi dissi subito: non dovevo pensare male di lui, non è un teorico, ma si sta dando da fare per la nostra cucina. Fu grande però la mia delusione quando la sera vidi Fabio lavorare attorno a quel ceppo per farne un oggetto artistico. Fabio però non rimase a lungo, forse una settimana, e non fu possibile conoscerci meglio. Gli anni che seguirono furono ben diversi. (…)

Chi mi ha aiutato a fare il passo sono state varie circostanze, ma specialmente sono stati i padri che ho incontrato a Vallada. In un periodo di contestazione come era il ‘68, vedere sacerdoti che davano una testimonianza di semplicità e di carità in un modo tanto  visibile e concreto era qualcosa di unico. Per me poi era assolutamente nuovo.

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