mercoledì 11 marzo 2015

Nelle stanze di S. Filippo Neri

A Roma sant’Eugenio de Mazenod si trovava come a casa sua. Era ammirato della città che percorreva in fretta a piedi da un lato all’altro per mille incombenze. Ma non si prendeva il tempo per visitare i monumenti, se non quelli cristiani. Quando ormai il suo primo soggiorno, dopo cinque mesi, stava volgendo al termine, nel diario annotava: “Non ho quasi il coraggio di confessare che, unicamente preso dai miei affari a Roma, ho messo poca cura nel visitare le curiosità che attirano tanti stranieri in questa superba città. Attento solo a cercare i monumenti di cui la pietà di tutti i secoli ha lasciato tante tracce, ero soddisfatto nel visitare una basilica, pregare sulla tomba di un santo, contemplare qualcuna delle loro opere e i luoghi da loro abitati. Eccomi sul punto di lasciare Roma e non ho visto una sola villa…” (16 aprile 1826).
Il giorno dopo, sempre attratto dai santi, decise di visitare la chiesa di S. Girolamo della Carità tra Piazza Farnese e Via Giulia, dove san Filippo Neri aveva vissuto ben 33 anni della sua vita, dal 1551 al 1583, fondandovi l’Oratorio.
La chiesa sorge su rovine di epoca romana, identificate come la casa della nobile matrona santa Paola, che nell'anno 382 ospitò san Girolamo, invitato a Roma da papa Damaso. Per questo si chiama Chiesa di san Girolamo.Nel 1524 Clemente VII l’aveva data alla Arciconfraternita della Carità. Per questo san Girolamo alla Carità.
Oggi la chiesa è abitualmente chiusa. Per entrare devo suonare il campanello della attigua casa delle suore, che gentilmente mi introducono in questo gioiello. Subito appare la Cappella Spada, il capolavoro del Borromini. Dopo aver visto la cappella di san Filippo dello Juvarra, salgo su in alto, nella stanzetta dove viveva san Filippo e dove accoglieva amici e penitenti. Mi piacerebbe essere in compagnia degli altri visitatori del suo tempo, tra i quali S. Ignazio di Loyola, S. Felice da Cantalice, S. Carlo Borromeo, S. Camillo de Lellis… Oltre alle visite c’erano dei compagni fissi: la gatta, gli uccellini nella gabbia sempre aperta, il cagnolino Capriccio, bastardino bianco a chiazze rosse…
Visita che ti visito, la stanzetta risultò troppo angusta e fu necessario adattare il granaio posto sopra la navata destra della chiesa a sala di incontro. È così che nacque l’Oratorio.
Mi siedo nella stanza dove san Filippo ha vissuto e apro il diario di sant’Eugenio: “17 aprile 1826. Desideravo da molto tempo celebrare il santo sacrificio nella camera occupata per più di 30 anni da S. Filippo Neri e di servirmi dello stesso calice usato da lui. L’altro giorno, con questo scopo, sono andato a tastare il terreno per non illudermi. Mi promisero che qualsiasi giorno avessi scelto, sarebbero stati contenti di soddisfare la mia devozione. Sono dunque andato questa mattina e la cappella è stata immediatamente aperta ed è stato preparato il prezioso calice. L’altare si trova proprio nella piccola camera occupata dal santo, proprio quella in cui fu favorito da tante visioni celesti. Quella in cui fu visitato da S. Carlo Borromeo, S. Ignazio di Loyola, S. Felice da Cantalice. Questa stanza è stata la sola di tutta la casa a non essere stata preda delle fiamme. Il Signore non ha voluto permettere che un santuario così caro alla pietà fosse tolto ai fedeli che, da diverse parti del mondo vengono ad attingervi buoni sentimenti”.

San Filippo era dei santi preferiti di sant’Eugenio. Quando questi ebbe l’idea di dare vita ai Missionari di Provenza pensò subito di ispirarsi alle sue regole. Vedeva i membri della futura comunità uniti come i padri dell’Oratorio. Nella prima lettera a p. Tempier, che diventò il suo promo compagni, aveva scritto: «Spero che avverrà di noi quel che fu dei discepoli di S. Filippo i quali, liberi come resteremo noi, morivano prima di pensare di uscire da una Congregazione amata come una mamma». Un anno prima aveva scritto al suo amico Forbin Janson, in visita a Roma, perché gli procurasse una reliquia di Filippo Neri “che è uno dei patroni della mia piccola associazione della gioventù”, premurandosi di aggiungere: “ma che sia autentica!”. Insieme gli chiese “la vita migliore di s. Filippo Neri”. Infine gli raccomandò: “Nel tuo interesse non dimenticare di dir messa col calice di cui si serviva lui”. Ora finalmente Eugenio stesso poteva celebrare la messa con quel calice. Da giovane sacerdote Eugenio aveva scritto anche una pagina delle sue note spirituali nel quale raccontava in maniera dettagliata come san Filippo diceva messa. Sicuramente, quella celebrata nella stanza del santo, l’avrà vissuta, come san Filippo, “con una devozione straordinaria…”.
Come le suore con me, Eugenio scrive che anche allora il decano della chiesa e il sacrestano furono “gentili oltre misura… e, dopo il ringraziamento della messa, ho dovuto accettare una tazza di cioccolata”.
Tornò nella stanza di san Filippo dieci giorni più tardi, il 27 aprile, come annota ancora nel diario: “Non contento di aver detto la messa col calice di S. Filippo Neri nella camera che occupava a S. Girolamo della Carità e sull’altare dove riposa il suo corpo, ho avuto la devozione di dirla anche nella cappella vicina alla camera che occupava e che è la stessa cappella in cui si fermava molto a lungo per celebrare i divini misteri… Nella stanza davanti si vedono, in un armadio a vetri, il confessionale in legno comune con una griglia dai piccoli fori, la sedia dalla quale istruiva il popolo, il letto, un piccolo scaldino per riscaldarsi, scarpe, ecc. In seguito ho visitato la casa che è molto bella, la biblioteca che è stata salvata per intero”.
Una targa di marmo ricorda che quelle stanze furono un cenacolo di santità. Sant’Eugenio ha continuato la tradizione. Potremmo visitarle anche noi per entrare a far parte di quel cenacolo.

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