giovedì 30 aprile 2015

Parola di vita: Dio ricco di misericordia

Quando il Signore Dio, apparve a Mosè sul monte Sinai, proclamò la propria identità dicendosi: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di grazia e di fedeltà» (Es 34, 6). La Bibbia ebraica, per indicare la natura di questo amore di misericordia utilizza una parola (raḥămîm) che richiama il grembo materno, il luogo da cui proviene la vita. Facendosi conoscere come “misericordioso”, Dio mostra la premura che ha per ogni sua creatura, simile a quella di una mamma per il suo bambino: gli vuole bene, gli è vicino, lo protegge, ne ha cura. La Bibbia usa ancora un altro termine (ḥesed) per esprimere altri aspetti dell’amore-misericordia: fedeltà, benevolenza, bontà, solidarietà.
Anche Maria, nel suo Magnificat canta la sua misericordia dell’Onnipotente che si stende di generazione in generazione (cf. Lc 1, 50).
Gesù stesso ci ha parlato dell’amore di Dio, rivelandolo come un “Padre” vicino e attento a ogni nostra necessità, pronto a perdonare, a donare tutto ciò di cui abbiamo bisogno: “fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti” (Mt 5, 45)
Il suo è davvero un amore “ricco” e “grande”, come lo definisce la lettera agli Efesini, da cui è tratta la parola di vita:

 “Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo”

Quello di Paolo è quasi un grido di gioia che nasce dalla contemplazione dell’azione straordinaria che Dio ha compiuto nei nostri confronti: eravamo morti e ci ha fatto rivivere dandoci una vita nuova.
La frase inizia con un “ma”, a indicare un contrasto con quanto Paolo aveva costatato precedentemente: la condizione tragica dell’umanità schiacciata da colpe e peccati, prigioniera di desideri egoistici e cattivi, sotto l’influsso delle forze del male, in aperta ribellione a Dio. In questa situazione essa avrebbe meritato In questa situazione essa avrebbe meritato lo scatenarsi della sua ira (cf. Ef 2, 1-3). Al contrario Dio, invece di castigare – ecco il grande stupore di Paolo – le ridà vita: non si lascia guidare dall’ira, ma dalla misericordia e dall’amore.
Gesù aveva già fatto intuire questo agire di Dio quando aveva narrato la parabola del padre dei due figli, che accoglie a braccia aperte il più giovane sprofondato in una vita disumana. Lo stesso con la parabola del pastore buono che va in cerca della pecora smarrita e se la carica sulle spalle per riportarla a casa; o quella del buon samaritano che cura le ferite dell’uomo caduto nelle mani dei briganti (cf. Lc 15, 11-32; 3-7; 10, 30-37).
Dio, Padre misericordioso, simboleggiato nelle parabole, non soltanto ci ha perdonato, ma ci ha donato la vita stessa del suo figlio Gesù, ci ha donato la pienezza della vita divina.
Da qui l’inno di gratitudine:

“Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo”

Questa parola di vita dovrebbe suscitare in noi la stessa gioia e gratitudine di Paolo e della prima comunità cristiana. Anche verso ognuno di noi Dio si mostra “ricco di misericordia” e “grande nell’amore”, pronto a perdonare e a ridarci fiducia. Non c’è situazione di peccato, di dolore, di solitudine, nella quale egli non si renda presente, non si metta accanto a noi per accompagnarci nel nostro cammino, ci dà fiducia, la possibilità di risorgere e la forza per ricominciare sempre.
Nel suo primo “Angelus”, il 17 marzo di due anni fa, papa Francesco iniziò a parlare della misericordia di Dio, un tema che poi gli è divenuto abituale: «Il volto di Dio è quello di un padre misericordioso, che sempre ha pazienza... ci comprende, ci attende, non si stanca di perdonarci…». In quella occasione narrò che, appena nominato vescovo di Buenos Aires, nel 1992, confessando una donna anziana le chiese: «“Nonna lei vuole confessarsi?”. “Sì”… “Ma se lei non ha peccato…”. “Tutti abbiamo peccati…”. “Ma forse il Signore non li perdona …”. “Il Signore perdona tutto”, mi ha detto: sicura. “Ma come lo sa, lei, signora?”. “Se il Signore non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe”». E il papa concluse: «Lui è il Padre amoroso che sempre perdona, che ha quel cuore di misericordia per tutti noi. E anche noi impariamo ad essere misericordiosi con tutti».
Quest’ultima indicazione ci suggerisce un modo concreto la parola di vita per vivere.
Se Dio con noi è ricco di misericordia e grande nell’amore, anche noi siamo chiamati ad essere misericordiosi verso gli altri. Se egli ama persone cattive, che gli sono nemiche, anche noi dovremmo imparare ad amare quanti non sono “amabili”, perfino i nemici. Non ci ha detto Gesù: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia»? (Mt 5, 7); non ci ha chiesto di essere «misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro»? (Lc 6, 36). Anche Paolo invitava le sue comunità, scelte e amate da Dio, a rivestirsi «di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza» (Col 3, 12).
Se abbiamo creduto all’amore di Dio, anche noi potremo amare a nostra volta con quell’amore che si fa vicino a ogni situazione di dolore e di bisogno, che tutto scusa, che protegge, che sa prendersi cura.
Vivendo così potremo essere testimoni dell’amore di Dio e aiutare quanti incontriamo a scoprire che anche verso di loro Dio è ricco di misericordia e grande nell’amore.


mercoledì 29 aprile 2015

La mano di Dio mi ha guidato. Storia dal Burundi

Leon Niyonkuru aveva otto anni quando, nel 1992, scoppiò la guerra nel suo Paese, il Burundi. Dopo tre anni il nascondiglio nella foresta non era più sicuro. Bisognava scappare. La famiglia attraversò i campi minati, riuscì ad evitare i soldati e giunse al grande fiume Rusizi, che segna il confine con il Congo Era notte, il papà tagliò una palma per ognuno e aggrappati ad esse, sfidando la corrente e i coccodrilli, passarono dall’altra parte.
Dopo 5 mesi un campo dei profughi, un lunedì mattina i militari attaccano con le mitragliatrici.
Centinaia di persone vengono uccise, le famiglie disperse. Quando i genitori, che lavoravano in campagna, tornano pensano che i figli siano stati trucidati. Invece Leon Niyonkuru con fratellini e sorelline sono riusciti a nascondersi in un angolo della casa, mentre la sorella più piccola, a casa di zia, è scappata con la famiglia di lei.
Inizia il grande esodo, manca solo la piccola Yvone.  Per un anno camminano giorno e notte nella grande foresta del Congo. Sono un migliaio di persone, braccate continuamente dai militari. Arrivano nella Zambia in un centinaio, gli altri sono morti per strada per il cattivo tempo, i serpenti, la fame, la stanchezza. In Zambia finalmente in un campo profughi, con due ettari di terreno da coltivare. Appena il papà è riuscito a guadagnare un po’ di soldi decide di continuare verso un Paese ancora più lontano dal Burundi, da cui si sente ancora minacciato: la Namibia.
Ancora un campo profughi. Leon dopo 7 anni può finalmente riprendere la scuola. “Ma che senso ha ormai la vita – si chiede. Perché studiare? Se c’è un Dio cosa sta a fare? La nostra sorella era perduta, la piangiamo notti e giorni”.  
Poi il miracolo: nasce un cuore un sogno: diventare una persona utile alla società, essere come Newton, inventare qualcosa… “Pensavo di studiare medicina e aiutare i malati. Mio fratelle grande pesava di diventare prete e il minore ingegnere. Mentre preparavo per l’esame di maturità arriva una lettera dal Burundi tramite la Croce Rossa, una lettera della mia sorella. La prima notizia dopo 8 anni”.
Nel 2006 conosce gli Oblati. “La mano di Dio mi ha guidato come gli Ebrei dall’Egitto alla Terra promessa. Gli Israeliti hanno attraversato il Mare Roso, io il fiume Rusizi; loro nel deserto, io nel foresta. Dopo tutti questi miracoli, che altro posso fare per ringraziare il Signore se non cooperare al piano di Dio e  dire Eccomi!”.
Il 1° maggio farà i voti perpetui qui nella nostra cappella a Roma. Con lui altri giovani Oblati dello Scolasticato internazionale, che in queste sere ci stanno raccontando le loro storie straordinarie.


martedì 28 aprile 2015

Al tavolo di sant'Eugenio



Prima di lasciare Aix la comunità mi ha invitato a porre la mia firma sul documento che 200 anni fa segnò la nascita dei Missionari Oblati: la richiesta dei primi cinque di poter riunirsi in comunità, per farsi santi insieme e iniziare la predicazioni delle missioni.
Un testo che rimane la magna carta ispiratrice della nostra vita: “I sacerdoti qui sottoscritti, vivamente colpiti dalla penosa situazione dei piccoli centri e dei villaggi della Provenza che hanno quasi completamente perso la fede…. Essendo giunti alla convinzione che le missioni sarebbero il solo mezzo… Desiderando rispondere alla vocazione che li chiama a consacrarsi a questo difficile ministero, e volendo farlo in maniera che risulti utile per loro e vantaggioso per la gente che si propongono di evangelizzare…”.
Ai “sottoscritti”, sant’Eugenio e primi compagni, si è ora aggiunta anche la mia firma… ormai faccio parte integrante della comunità di Aix.
Ho anche passato una giornata a lavorare nella stanza di sant’Eugenio, in cerca di ispirazione per una conferenza importante che sto scrivendo… E forse un po’ di ispirazione me l’ha data… È stato bello sedere al suo tavolo…


lunedì 27 aprile 2015

A La Ciotat in compagnia di un profeta


Se non vi dessi mie notizie, cara madre, potrei essere nei guai. Scrivo due righe per dirvi che siamo arrivati bene, tutto è andato alla perfezione.
Siamo molto soddisfatti di come è iniziata la nostra missione. Continuate a pregare che il bene si compia e che tutti traggano profitto della grazia tanto preziosa che viene oggi offerta al popolo di questa città. Dovendovi trattare un po’ da madre, non voglio dimenticare di dirvi che qui mangiamo ottimo pesce e che ci manca nulla.
Non ho avuto il tempo di dirvi di più su quanto avvenuto ieri. Oggi dove fare un po' di corsa e così non posso scrivervi alla casa della Missione, come mi ero proposto. Vi abbraccio con tutto il cuore, così come tutta la nostra famiglia.
Eugenio. La Ciotat, 6 novembre 1821.
Sant’Eugenio scrisse questa lettera alla mamma all’inizio della missione che predicò nella cittadina di La Ciotat, piccolo porto vicino a Marsiglia, dal 4 novembre al 23 dicembre.
 

In quegli stessi giorni scriveva all’amico Alfonso Tavernier:
Se ho dessi alcun segno di vita nel mio Alfonso, cosa penserebbe di me? Mi crederebbe insensibile, ingrato, mentre scrivendogli queste due righe saprà che io non gli rispondo, perché diffido del mio cuore che sarebbe davvero tentato di sottrarsi al dovere delle occupazioni dedicando a lui un momento che mi sarebbe dolce spendere assieme. L’abbraccio di tutto cuore. Che il mio caro amico sappia apprezzare questa piccola parola che gli scrivo nel bel mezzo del combattimento, sul campo di battaglia, ancora in armatura completa contro l'inferno, che, con l'aiuto di Dio, colpiamo duramente.


Sono stato sui passi di sant’Eugenio, per rivivere la sua passione missionaria. Da Aix sono appena 50 chilometri di distanza. In macchina basta un’ora. Allora, quando i missionari non si permettevano il lusso di andare in carrozza, impiegarono due giorni di cammino.
Il paesaggio dispiega tutta la bellezza della Provenza, dalla montagna della Sante Victoire ai boschi di pini marittimi, dalle scogliere color ocra tra le più alte d’Europa a picco sul mare, alle colline di macchia profumata, ai promontori rocciosi. Dall’alto della strada che serpeggia sulle creste appare la visione straordinaria di Cassis, il porticciolo di pescatori con le case pastello che si affacciano sull’acqua.
Poi finalmente il porto de La Ciociat, dominato dal castello e dalla chiesa nella quale sant’Eugenio predicava come un profeta e lottava come un eroe contro il male…


Adesso guardo con maggiore interesse le antiche stampe che ritraggono sant'Eugenio missionario a La Ciocat, mentre porta la grande croce al porto, proprio di fronte alla chiesa...


domenica 26 aprile 2015

Alla scoperta del carisma


Stati Uniti, Canada, Polonia, Sud Africa, Lesotho, Sri Lanka, India, Australia, Indonesia. Questi i Paesi da cui provengono gli Oblati che qui in Aix stanno vivendo “l’esperienza de Mazenod”, tre mesi di formazione continua. Missionari che hanno ormai alle spalle anni di lavoro apostolico e che si fermano per valutare il cammino fatto, approfondire la vita oblata, rinnovare le forze interiore.
Ho vissuto questa settimana con loro, dando un corso intensivo sul nostro carisma. È stato una immersione completa sulle fonti della nostra spiritualità. Un corso insieme di studio e di vita. Hanno avuto la pazienza di seguirmi giorno per giorno, per ora intere di lezioni. È stata una gioia per loro e anche per me.

Interessante le valutazioni di questa settimana da parte dei partecipanti:
What was your most enriching “experience” this week?

-                     Fabio's conferences were challenging, enriching and thought provoking, his love for the Founder and his knowledge was really overwhelming, I’m inspired.
-                     After this week’s experience I feel a need within me to deepen my love for our Congregation.
-                     Marvellous presentations, concluding with Mary is like concluding in heaven, that’s how I feel! It was enriching, obviously it will take time to digest everything but I feel grateful and challenged, a whole new world has been opened to me. I regret why I did this experience so late in my life...
-                     Excellent! Amazed by Fabio’s intellectual calibre, he shared his best with us.
-                     The week was energizing and enriching, excellent methodology, new insights on the Founder as a person who read the signs of the times, this is important for my focus today. I was challenged in hearing about the daring and zeal of the Founder and his first companions. It was great to be reminded of the aspect of dependence on others that "I can't do it on my own and alone" I need others..., I liked the Founder's attractive approach.

-                     The whole week was really enriching, I liked hearing of Jesus as the first Oblate, I am feeling challenged to be an Oblate, a total offering. I have new insights on the Charism as an experience and a way of life. I ask myself do I live it?
-                     Powerful talks! Amazing knowledge of the Congregation, very enriching, I feel the interest to read more on the Founder and deepen my knowledge of him. I regret that after 50yrs I didn't know much on the Founder and our charism, I’m ashamed! The Founder has never been well presented to me, it's a real sadness that after 50yrs I never got to know him... I had a chance to be involved in the Founder’s studies in my province but I took my name off, today I regret having missed that opportunity.
-                     The theme on apostolic holiness Fabio gave me new insights on this area. I’m feel shaken. It is amazing how it has been over 200yrs that people have lived this charism and being united till today. I feel strengthened in my vocation.
-                     The deepening of the theme on Oblation was great to hear. I have new insights on the word Oblation, that our consecration as Oblates was understood clearly as total offering long before we were called Oblates, very impressing!
-                     The pilgrimage to the cemetery was a beautiful experience. This was a special week indeed, I am feeling recalled in my vocation. So many precious and enriching things. I have a deeper understanding and new insights on the Charism.
-                     Enriching! It was my first time to hear such wonders! I feel motivated to learn more. Something is kindled within me, I want to deepen this fire that I feel within me...
-                     I feel a certain re-assurance of my vocation, I feel like I am at the right place, grateful of what I have heard this week... More Oblates need such an experience, send the Superiors here at the beginning of their ministry.
-                     Very intense week but fulfilling. There is a renewal in my heart.
-                     I am deeply touched. Amazing methodology, new insights on community as a family, love for each other becoming more like friends, that’s what the first community was, not just brothers but friends too.

-                     I feel a sense of pride in being an Oblate. Being reminded of the family aspect of our Congregation was enriching. I was touched by the new insights I’ve gained on community life, I liked a lot the idea of “Heterotopia” as opposed to “utopia”, making our communities true places of encounter of “come and see”.

sabato 25 aprile 2015

Il fascino di Aix-en-Provence



Che bello avere la porta di casa che dà sul corso. Anche se il lavoro è esigente e stancante, basta uscire un attimo per rifarsi. Subito in mezzo alla gente. La gente è sempre bella, specialmente in una città vivace e giovane come Aix. Va di corsa, va piano piano, siede sulle panchine, chiacchera, sfreccia con monopattino… Macchine non ce ne sono: tutta la città è un’isola pedonale.


Se poi sul corso è giorno di mercato l’incanto è assicurato. Chissà perché il mercato, dappertutto, attira come un magnete a cui non si può resistere. Non importa comprare, basta guardare, girare, urtare le persone, godere i colori, respirare i profumi. I colori sul corso Mirabeau qui sono quella Provenza, i profumi quelli della lavanda.

Quando non è sul corso il mercato si sposta attorno al palazzo di giustizia o altrove. C’è sempre il mercato in una città che si rispetta. C’è poi quello di ogni giorno, appunto sulla centralissima piazza del mercato; al mattino, perché nel pomeriggio la piazza si trasforma in una elegante sala da thè.
Ogni strada è festa, con negozi eleganti, tavolini di un indefinibile numero di bistrò, bar, ristoranti, pasticcerie, panetterie, pub... 

Ma basta girare un angolo ed eccoci in strade solitarie, silenziose, in tinte ocra o rosate. Ormai ho tutto in itinerario in centro città nel quale posso dirmi l’intero rosario nella più assoluta pace, come fossi nel chiostro d’un monastero.


venerdì 24 aprile 2015

Il Cardinale Francis George per il carisma del Fondatore

Ieri a Chicago i funerali del cardinale della città, p. Francis George, quarto cardinale Oblato. Se oggi sono qui ad Aix ad animare una sessione di studio sul carisma del fondatore lo debbo anche a lui.
Quarant’anni fa partecipai al primo congresso sul carisma, di cui p. Francis George era uno degli organizzatori. Il suo intervento iniziale, sui criteri per scoprire e vivere il carisma del fondatore oggi, è stato fondamentale per tutti i miei successivi studi. Aprì la strada al triplice approccio al carisma: storico, esperienziale, ermeneutico, che tanti frutto ha portato nella ricerca.
«Lo “spirito” di un Fondatore – scrisse allora, e si era agli inizi di questi studi – trova la sua sorgente in una grazia (charis) che gli è donata. Come ogni grazia è un dono personale. Ma, poiché egli ha fondato un istituto pubblico nella Chiesa, la grazia ricevuta implica conseguenze di grande portata. I suoi “discepoli” abbracciano un modo di vivere e di vedere che deriva in qualche modo dalla sua visione, dalla sua opera, dalla grazia della sua vita, o che è ispirato ad esse. Per questo si può parlare di un “carisma collettivo”, di una visione propria ad un gruppo».
Indicava proprio nella comunità il luogo di interpretazione del carisma, in analogia alla comunità cristiana: «Vi è una comunità cristiana perché tutti, nel presente, interpretiamo l’evento del passato – Cristo – in maniera tale da poter guardare in avanti verso la sua venuta nella gloria. Mentre invece chi non guarda indietro verso il Cristo di Nazaret come Signore e Salvatore e non guarda in avanti verso la Parusia, non è membro della comunità cristiana. In quest’ultimo caso non c’è più una comune interpretazione. Ogni comunità è l’incontro tra persone distinte che si riuniscono in nome di una memoria fatta insieme e di una speranza condivisa insieme. In questo senso tutta la comunità è una comunità di interpretazione».
È quello che anche questi giorni sto vivendo qui ad Aix con Oblati di 9 nazioni.
Grazie p. Francis per averci avviati, con tanta sapienza, in questa meravigliosa ricerca.
Ho anche un altro piccolo ricordo, tra i tanti. Il giorno nel quale venne creato cardinale dal papa, andai a salutarlo, durante il ricevimento in Vaticano. C'era moltissima gente attorno a lui. Quando mi dive, da lontano, lasciò gli altri e mi corse incontro gridando non il mio nome, ma: "Chiara"! Mi vedeva non soltanto come un Oblato, al quale aveva insegnato come studiare il Fondatore, ma anche come n discepolo di Chiara, quasi fossi diventato io stesso un'altra Chiesa. Grazie anche di questo augurio, p. Francis...
Ora è tempo di leggere il libro nel quale racconti la tua esperienza di vita: The Difference God Makes: A Catholic Vision of Faith, Communion, and Culture

giovedì 23 aprile 2015

Si prega anche a Marsiglia


Arrivando alla stazione Saint Charles di Marsiglia non posso non pensare a sant’Eugenio. Fu lui a inaugurarla benedicendo le 10 locomotive decorate con coccarde e fiori. Veramente il vescovo di Marsiglia ne benedì soltanto 9; arrivato alla decima si rifiutò di benedirla perché era stata chiamata “Lucifero”: come si fa a benedire il diavolo?
Scendo la grande scalinata ed eccomi davanti alla statua dorata dell’Immacolata, alta sulla colonna di marmo, anche questa inaugurata e benedetta da sant’Eugenio nel mezzo di una festa memorabile, l’8 dicembre 1857.


Ai piedi della statua, dove ci siamo dati appuntamento, vengono a prendermi per portarmi ad una grande scuola intitolata a san Vincenzo de Paoli, dove mi aspetta un bel gruppo di persone per la “conferenza-testimonianza”. Passiamo insieme una bellissima serata nella quale, tra l’altro, incoraggiato dalla gente a proseguire, parlo per due ore di seguito.
Il tema è ormai collaudato: “La preghiera, il momento più bello della giornata”, partendo dall’esperienza e dall’insegnamento di Chiara Lubich. L’attenzione e il dialogo con i presenti dice quando questo tema tocca il cuore di tutti.
La scoperta sempre bella e sempre nuova è la possibilità di pregare costantemente, lungo tutta la giornata, amando, facendo la volontà di Dio, essendo Gesù…


mercoledì 22 aprile 2015

Le due Terese del Carmelo di Aix


 
Eccomi ancora una volta nell’antico Carmelo di Aix, dove il 25 gennaio 1816 nascevano i Missionari di Provenza, gli attuali Oblati. La rivoluzione francese aveva disperso le Carmelitane e venduto l’immobile. Al tempo di sant’Eugenio c’era un Pensionato per ragazze. Per iniziare la sua opera egli comprò soltanto due stanze, poi gradatamente riuscì ad acquistare tutto il monastero.
Un monastero di clausura trasformato in una casa di missionari, splendida immagine di come la vita di contemplazione alimenta la missione e di come la missione porta alla contemplazione.


Teresa d’Avila è così divenuta una protettrice degli Oblati e mi piace ricordarla proprio qui, in casa sua, a 500 anni dalla sua nascita. Mi piace ricordare anche le monache che per due secoli hanno vissuto qui. Nel chiostro ci sono ancora delle lapidi che in poche parole dicono la vita e la morte di alcune di loro; gli antichi ambienti ricordano ancora i momenti di incontro della loro comunità.

Ma c’è anche un’altra Teresa, vissuta qui a lungo, di cui vale la pena fare memoria, Teresa Bonneau. Padre M. de L’Hermite, in un vecchio libro, racconta che questa donna era al servizio delle giovani del Pensionato, e che quando il Pensionato lasciò il posto alla comunità nei missionari ella rimase a loro servizio. “In questo periodo (1868) – scrive de L’Hermite – Teresa, che è ormai verso la fine della sua lunga vita cristiana, passata dal servizio al pensionato delle ragazze a quello dei missionari, ama raccontare il fervore e l’austerità dei primi giorni. Mons. de Mazenod le dava uno stipendio modesto di un centinaio di franchi. Non si viveva certo nelle comodità a quei tempi e spesso Teresa, impietosendosi della povertà della comunità, senza dire mai niente, usava i proventi del suo lavoro con la conocchia per arricchire la magra cena che serviva a missionari tanto penitenti. (RP Courtès, OMI, ... la sua vita, i suoi pensieri, Aix, 1868, p. 23).


martedì 21 aprile 2015

Rue Papassaudi, a casa dalla mamma



Palazzo Joannis
Sono arrivato ad Aix-en-Provence a notte fonda. La città è addormentata. Dopo una giornata di lavoro intenso, a fine pomeriggio esco per strada sotto un sole primaverile ancora splendente nel cielo limpido. Spira un venticello freddino, ma le pietre rosacee di case e palazzi, la vivacità dei giovani, lo scintillio dei negozi riscaldano l’ambiente cittadino.
Passo per rue Papassaudi, entro nell’elegante negozio di scarpe che un tempo era la corte del palazzo della famiglia Joannis. Vi abitava Rosa, la mamma di sant’Eugenio prima di andare sposa nella casa dei de Mazenod sul corso. Immagino Eugenio piccolino che viene qui con la mamma a visitare i nonni e la zia.
È qui che, dopo 12 anni di esilio in Italia, viene ad abitare. Il palazzo dei Joannis diventa la sua casa, al punto che presto tutti dimenticheranno che la casa natale era quella dei de Mazenod sul corso. Il primo biografo scrive che era nato in rue Papassaudi. Aveva vent’anni quando tornò ad Aix. In questa casa trovò la nonna, la zia, la mamma, la sorella. Vi rimase fin quando, sette anni più tardi, partì per il seminario di Parigi. Vi tornò giovane sacerdote e continuò a vivere con la mamma, fino al 25 gennaio 1816 quando la lasciò per sempre per andare ad abitare poco lontano, in due stanzette di un convento nelle quali iniziò la piccola grande avventura che diede vita ai Missionari Oblati di Maria Immacolata.
Fa sempre piacere tornare a casa della mamma…


lunedì 20 aprile 2015

Scuola Abbà: Una scuola di vita e di pensiero


Anche in questi ultimi tre giorni, come ogni mese da 20 anni, mi sono incontrato con gli altri membri della Scuola Abbà per il consueto lavoro, esperienza intensa di vita e di studio.
Nei suoi 25 anni di vita la Scuola Abbà ha fatto molta strada. All’inizio era composta da 7 membri: Chiara Lubich, Pasquale Foresi, Peppuccio Zanghì, Marisa Cerini, Padre Novo, Piero Coda, mons. Klaus Hemmerle. Si trattava di un gruppo particolarmente ferrato nelle materie teologiche e filosofiche. Via via, si sono aggiunti altri membri con altre competenze scientifiche, fino a raggiungere il numero di 30, in rappresentanza di oltre 20 discipline.
Una “Scuola” un po’ particolare, fatta di professori ridiventati discepoli. La “Maestra” era una persona eccezionale: Chiara Lubich. Il “libro di testo” la redazione delle sue esperienze di luce degli anni 1949-50. La convinzione che tutti ha guidato, la consapevolezza che da quell’esperienza sarebbe dovuta nascere anche una dottrina. La storia ci ha lasciato esempi di carismi che, insieme ad un nuovo stile di vita, hanno dato luogo anche ad una nuova corrente di pensiero, ad una propria dottrina. 

Segno tangibile del lavoro svolto in questi anni sono le sue numerose pubblicazioni, a partire dagli innumerevoli articoli pubblicati dalla rivista “Nuova Umanità”, ai volumi dei singoli membri, fino agli ultimo libri della collana di Studi della Scuola Abbà.
Da ottobre il gruppo si presenta con una formazione rinnovata e ringiovanita (12 membri nuovi su 24, appartenenti a 14 discipline, più 7 ambiti della teologia). Il ventaglio delle discipline rappresentate è ampio: dalla teologia biblica alle neuroscienze, dalla sociologia all’ecclesiologia, dall’economia all’ecumenismo, ecc. Le culture e le nazionalità presenti sono anch’esse molteplici. L’esperienza di luce continua…

Nuova composizione della Scuola Abbà
Arte: Thérèse Henderson
Biologia: Catherine Belzung
Diritto: Adriana Cosseddu
Economia: Anouk Grevin
Etica sociale: Alberto Lo Presti
Filosofia: Claudio Guerrieri
Linguistica/ Filologia/ Letteratura: Anna Maria Rossi
Matematica: Judy Povilus
Politologia: Pasquale Ferrara
Psicologia: Alessandro Partini
Scienze della comunicazione: Palko Toth
Scienze dell’educazione: Teresa Boi
Sociologia: Gennaro Iorio
Storia: Lucia Abignente
Teologia: Declan O’Byrne
Teologia anglicana: Callan Slipper
Teologia biblica: Giovanna Porrino
Teologia (ecclesiologia): Hubertus Blaumeiser
Teologia (ecclesiologia, mariologia): Brendan Leahy
Teologia evangelica: Stefan Tobler
Teologia ortodossa: Mirvet Kelly
Teologia spirituale: Fabio Ciardi
Renata Simon
Francisco Canzani


domenica 19 aprile 2015

Cattedrali di Salamanca: capolavori d'arte e d'umanità


Per andare ad Alba de Tormes sono dovuto passare da Salamanca. Avrei voluto visitare le famose università, ma non avevo proprio il tempo. Ho trovato comunque modo di fare una visitina alle due cattedrali attigue l’una all’altra, l’antica, iniziata nel XII secolo, la seconda ai primi del 1500: dominano la città.

Le cattedrale sono ovunque espressione del genio, della fede, della passione di un popolo. Raccontano le storie, gli amori, le devozioni, le leggende che hanno animato intere generazioni.

Capolavori d’arte e d’umanità, che rimangono nei secoli testimonianza di preghiera,  capaci di portare ancora alla preghiera.


sabato 18 aprile 2015

venerdì 17 aprile 2015

Il sentiero smarrito



In un viaggio succede che si sbagli strada e ci si ritrovi sperduti.
Ieri sera a sant’Eustachio, ne ho parlato con Umberto Paciarelli; come soccorritore alpino ne sa qualcosa.

Io ho portato il discorso sui tanti sbagli e fallimenti che si fanno nel cammino della vita. Bisogna metterli in conto, fanno parte del rischio della vita.
Trovarsi fuori strada. Può essere un divorzio, un licenziamento.
Possono essere anche prove spirituali, quando si smarrisce la fede, il senso di Dio.
Anche il viaggio di nostro Signore, proprio all’ultimo, quando la mèta era proprio lì per essere raggiunta, sembrò terminare in un fallimento. È come se egli avesse voluto seguirci fuori strada, per esserci accanto anche nei momenti più bui e deviati.
Nella sua famosa parabola, quando una pecora del gregge perde la strada e si smarrisce, il pastore non l’abbandona, ma la raggiunge proprio nel luogo perduto… Con lui presente (atro che soccorritore a,pino!) il vuoto si colma, il buio si illumina, la solitudine si popola. 



giovedì 16 aprile 2015

Para Vos nací


La chiesa dell'Annunciazione che custodisce il corpo dell sSanta
“Per voi sono nata”. Le parole della celebra poesia di santa Teresa d’Avila campeggiano ovunque su poster e pannelli. È il motto scelto per celebrare il V centenario della sua nascita.
Sono parole rivolte a Dio: “Vuestra soy, para Vos nací”, eppure vedendole riprodotte sotto il suo ritratto, vergate di sua mano, con l’inconfondibile calligrafia, mi sono sembrate rivolte a me, a noi. Come se mi dicesse che è nata proprio per me, che è mia. Non si potranno intendere anche così queste sue parole? Teresa, dono di Dio per me, che a sua volta si fa ella stessa dono, per farmi scoprire la bellezza di una vita trasformata in preghiera, in rapporto d’amicizia e di costante dialogo con Dio. Un appello a fare anche della nostra vita in dono.

 Per celebrare il centenario della sua nascita, sono stato ad Alba de Torbes, vicino a Salamanca, dove la sua vita si è conclusa. Un paese di cinquemila anime, con il castello di colui che l’ha reso nota, il Duca di Alba, appunto, amico e protettore della santa.
La chiesa di san Giovanni della Croce
L'urna con il corpo della Santa
Salendo al centro del paese passo davanti all’antica chiesa di san Pietro che accolse santa Teresa e san Giovanni della Croce quando vennero la prima volta per fondare il nuovo carmelo.
P. Paco, conosciuto a Roma, mi accoglie nel convento carmelitano. Celebro la messa nella chiesa di san Giovanni della Croce, la prima ad essere dedicata al santo.
Poi la visita al carmelo femminile, dall’altra parte della piccola piazza. La chiesa dell’Annunciazione conserva l’urna con il corpo della santa. I pellegrini si susseguono numerosi. Tra gli altri incontro un folto gruppo di coreani.

Teresa era in viaggio per tornare ad Avila, dopo aver visitato ad alcuni monasteri da lei fondati, quando la duchessa di Alba la volle accanto alla nuora che stava per partorire. Fu l’ultimo atto di amore, col quale diceva, ancora una volta: “Sono vostra, per voi sono nata”.