giovedì 28 maggio 2015

Kinshasa, due passi nel quartiere


Due passi nel quartiere. Mi fermo a parlare con due sarti che hanno il loro atelier sul marciapiede. Al muro sono attaccate stampe con modelli di vestiti. Cuciono per tutti. Naturalmente i clienti più numerosi sono le donne. Le stoffe sono stampata con i soliti colori sgargianti.
All’incrocio della strada il traffico, di per sé relativamente leggero, diventa caotico, sia perché il centro c’è una consistente pozza d’acqua, sia perché la pavimentazione è molto sconnessa, sia perché non c’è semaforo. I semafori non esistono a Kinshasa, è una meraviglia. Ci si muove a piedi, per lavoro o per inerzia. Non mancano i pulmini privati, sgangherati , che fanno servizio da un capo all’altro della città.
Disseminati ovunque, lungo la strada, gli uomini sono seduti per terra o su di una sedia, all’ombra di un albero o di una tettoia. Parlano tra di loro o guardano semplicemente. Gesticolano o se ne stanno completamente immobili. La maggior parte fanno parte della metà dei 10 milioni di abitanti di Kinshasa: disoccupati. Alcuni sono le sentinelle che fanno la guardia alla casa. Non esistono le aperture automatiche dei cancelli: ogni cancello ha una guardia, o dentro o fuori, basta bussare e il cancello si apre.

Basta un saluto che il cerchio si apre e c’è subito un posto per me. Strette di mano, scambio di nomi e di provenienza. A Roma sarebbe semplicemente impossibile:
Come faranno tutte queste persone a mangiare almeno una volta al giorno? In effetti non tutti possono permetterselo. All’ora di cena qualcuno fa visita ad un amico o a un parente più fortunato che, se sta mangiando, condivide il pasto. E la moglie e i figli? La moglie si dà da fare dalla mattina alla sera, di industria nel commercio minimo, le basta una bacinella sulla testa con qualcosa da vendere, oppure lavora un po’ di terra, cosa che non possono fare gli uomini. I figli hanno la madre, o una zia, o uno zio, o un cugino… Gli uomini che invece di stare seduti si aggirano per strada sono quelli in cerca di lavoro, uno qualsiasi, anche di poche ore, per pochi spiccioli.
Sulla soglia del recinto della chiesa conosco Apollinaire, il guardiano. Lavora qui cinque giorni la settimana, poi rientra al suo villaggio, fuori Kinshasa. La vita in città è troppo cara. A casa la moglie fa quel che può per dare da mangiare ai figli. Tutti gli uomini del villaggio vengono a lavorare a Kinshasa, e tutte le donne portano il peso della famiglia. Apollinaire mi parla di un mondo di miseria, con il sorriso sulle labbra. Lavora come guardiano da 15 anni.
Attorno al santuarietto della Madonna una donna sistema delle sedie di plastica. Presto le persone verranno per il rosario che nel mese di maggio si dice ogni sera tutti insieme.


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