domenica 2 agosto 2015

L’impronta della Bellezza di Dio



Annunciare la parola è un’arte. Lo attesta il parlare di Gesù che sfocia sempre in poesia. L’annuncio della parola diventa spesso un canto. La parola si visualizza nell’immagine e si materializza nell’architettura. È il cammino dell’incarnazione: il Dio invisibile si rende visibile nel volto di Cristo, eikôn, “icona-immagine” divina perfetta (cf. Col 1, 5). 

Teodoro Studita, nel IX secolo, non esitava ad affermare che «se l’arte non potesse rappresentare Cristo, vorrebbe dire che il Verbo non si è incarnato».

L’evangelizzazione non può fare a meno dell’arte. Nel messaggio che Paolo VI consegnò agli artisti in Piazza San Pietro l’8 dicembre 1965 alla chiusura del Concilio, si legge: «Il mondo in cui viviamo ha bisogno di bellezza per non oscurarsi nella disperazione. La bellezza, come la verità, è ciò che mette la gioia nel cuore degli uomini, è il frutto prezioso che resiste all’usura del tempo, che unisce le generazioni e le congiunge nell’ammirazione». Il 7 maggio 1964 li aveva convocati nella Cappella Sistina e aveva lanciato loro la grande sfida: «carpire dal cielo dello spirito i suoi tesori e rivestirli di parola, di colori, di forme, di accessibilità». 

Potremmo ripetere anche oggi l’appello che nell’VIII secolo Giovanni Damasceno rivolgeva ai cristiani di allora: «Se un pagano viene e ti dice: “Mostrami la tua fede!”, tu portalo in chiesa e mostra a lui la decorazione di cui è ornata e spiegagli la serie dei sacri quadri».

Ho visitato gli atelier d’arte delle Suore Discepole del Divin Maestro. Sono nate perché la liturgia sia sempre più bella. Le ho incontrate la prima volta in occasione dell’alluvione a Firenze, nel 1966, quando andai a liberare dal fango il loro negozio. Nel 1969 venni a visitare gli atelier qui a Roma, come oggi: icone, ceramica, vetri istoriati, mosaico… Nella nostra cappellina del noviziato a Marino il ricordo di quei giorni, il piccolo gioiello dell’Immacolata, un autentica miniatura.


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