domenica 25 ottobre 2015

Padre Jan Tillemans, pittore della luce


 

Sono quasi 350 le vetrate incastonate sulla grande piramide della basilica di Notre-Dame de la Madeleine. Ogni giorno mi sono fermato ad ammirarle, con calma, una per una. Sono nate per avviare alla contemplazione: “Una vetrata è una finestra sul cielo, evoca il mondo dell’aldilà. Lo stesso vetro della vetrata è una materia mistica che riveste tutte le sfumature e le tutte le tonalità seguendo il grado o l’angolazione della luminosità della luce”. Sono parole di p. Jan Tillemans, l’Oblato che ha dedicato otto anni al compimento di questa straordinaria opera d’arte.


Nato esattamente un secolo fa in Olanda in una famiglia di artisti, aveva iniziato i suoi studi in questo campo, ma quando entrò in noviziato gli fu chiesto di lasciare tutto e di non eseguire neppure uno schizzo. Una volta diventato sacerdote poté riprendere gli studi all’Accademia delle belle arti ad Amsterdam e Maastricht, per otto anni, primo prete a sedersi su quei banchi. Aveva già realizzato varie vetrate in Olanda, quando il superiore generale gli chiese se era disposto a intraprendere la grande opera per il nuovo santuario che si stava costruendo in Canada.

Arrivò al Cap nel 1956 e vi rimase un anno a studiare l’architettura della chiesa, le variazioni di luce del cielo nel volgere delle stagioni, ad abbozzare disegni… Poi tornò in Olanda dove lavorò a lungo in uno dei più importanti atelier, facendo arrivare le lastre di vetro dalla Cecoslovacchia e dalla Germania.


“Le vetrate – diceva – sono un mosaico di vetro antico che soltanto la luce deve far cantare… Nelle mie vetrate occorre vedere tutto in maniera simbolica… Una vetrata la si guarda, non la si spiega; ognuno la contempla con la sua sensibilità”.
E da contemplare c’è davvero tanto: storie della Bibbia, di Maria, del Canada e del santuario, santi e virtù, angeli e rosario… Vi ho passato delle ore a contemplare. “Le vetrate – diceva p. Jan – devono far cantare i muri. L’impiego dei colori è ritmo, canto. Occorre guardare le vetrate a distanza come una musica di colori. È tutto questione di colori: volti, mani, vesti, tutto deve integrarsi nell’insieme. Siamo pittori della luce”.
Era consapevole di aver lasciato un’opera che sarebbe rimasta: “Se, almeno una volta nella vita, si arriva a fare qualcosa che vale veramente la pena, allora non si  vissuto invano”.  


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