domenica 4 ottobre 2015

Salvare la vita: che promessa!


Nel Vangelo di Marco, per trovare una seconda promessa, occorre inoltrarsi fino all’inizio della seconda parte del suo scritto, uno dei momenti più drammatici. Gesù stava andando verso i villaggi attorno a Cesarea di Filippo, ai confini tra il territorio giudaico e il mondo pagano.
Alle pendici del monte Hermon la località era conosciuta come Bànyas, dal nome di Pan, il dio della campagna, delle greggi e degli armenti. Luogo ameno, che anche oggi, con le acque che sgorgano abbonanti e la rigogliosa vegetazione, infonde un senso di pace. I rossastri ruderi solitari a ridosso dell’imponente ammasso roccioso lasciano intuire la grandiosità del tempio costruito da Erode il Grande in onore dell’imperatore Augusto.
Proprio durante la sua peregrinazione fuori della Galilea, al di là del Giordano, Gesù, che fino ad allora voluto mantenere nascosta la sua vera identità, annuncia finalmente il senso della sua missione e della sua messianicità: il Figlio dell’uomo dovrà soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare.
Nelle orecchie dei discepoli l’ultima parola, risuscitare, scivolò via come le acque di Bànyas, troppo oscura per essere capita. Le altre invece li impressionarono terribilmente, al punto che Pietro lo prese da parte e lo rimproverò: non si dicono neppure per scherzo cose del genere!
Allora Gesù le rivolse non soltanto ai suoi pochi intimi, ma alla folla, convocata assieme ai discepoli. Stava per iniziare il suo grande viaggio che lo avrebbe riportato prima in Galilea poi a Gerusalemme, dove si sarebbe compiuta la sua profezia di morte e risurrezione. Non sarebbe stato un viaggio solitario, invitava piuttosto tutti a seguirlo, condividendone il destino, fino a rinnegare se stesso e prendere la croce come lui e con lui. Non si può seguire Gesù altrimenti.
Ed ecco la grande promessa: “Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà”.
Perdere la vita. Semplicemente morire. È il destino del discepolo di un Maestro che è venuto per dare la vita. Un Maestro che ha avuto paura davanti alla morte e ha chiesto se era possibile salvare la propria vita piuttosto che offrirla per la salvezza del mondo: “Se è possibile, passi da me questo calice”. Se non è stato facile per lui, non lo sarà certamente per noi. L’istinto di autoconservazione suggerisce l’impossibile pur di indurci a fare ciò che piace a noi, ad evitare di sacrificarci per gli altri: “mors tua, vita mea”. Eppure è proprio questo che il Maestro ci chiede: “mors mea, vita tua”, pensare all’altro e non a sé, morire a sé per dare la vita all’altro, in una parola, vivere per l’altro. Ma chi me lo fa fare?
Tutti e quattro gli evangelisti riportano questa parola di Gesù. Luca e Giovanni omettono le motivazione che inducono a perdere la vita, Matteo afferma che è a causa di Gesù, Marco completa asserendo che la si perde a causa di Gesù “e del Vangelo”. Ecco chi me lo fa fare: il movente è Gesù e il suo Vangelo. Dà la vita con lui, come lui l’ha data, perché egli mi fa una cosa sola con sé: seguirlo vuol dire diventare un altro Gesù, nell’identificazione di vita e di destino. E per chi dare la vita? Ancora una volta per Cristo, che si identifica in ogni persona, e quindi do la vita per la vita di chi mi sta accanto; e per il Vangelo, perché si compia l’annuncio di Cristo e Cristo diventi tutto in tutti.
Finisce qui, con la morte?
Gesù non ha dato la vita e basta, l’ha ripresa, nella sua risurrezione. Morto come un chicco di grano è risorto come una spiga, attirando tutti a sé. Anche a chi lo segue fino in fondo egli protette la fecondità del chicco di grano che muore, la resurrezione, una vita nuova, piena come una spiga, capace di trascinare con sé l’umanità intera.

È promessa: “ci perde la sua vita… la salverà”. La ritrova non come quando l’ha perduta, ma infinitamente arricchita, una vita che non deperisce con gli anni, ma che rimane per sempre, nella gioia sovrabbondante che non ha fine. È una promessa: la vita è salva! Non saremo noi a salvarci, sarà lui stesso a salvarci, a farci risorgere, così come lui è stato risuscitato dal Padre. È una promessa.

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