lunedì 28 dicembre 2015

Raccontare storie

Per la quarta volta mi accingo a raccontare la stessa storia. Perché? Perché raccontare storie è sempre bello. Non so se lo sia anche per chi ascolta. Lo spero. Io comunque non rinuncio a raccontare. Vediamo se l’inizio (provvisorio) del nuovo libro può piacere. Il soggetto è subito evidente.

Marsiglia, 27 ottobre 1802. Caro padre, vorrei poterti esprimere i sentimenti di gioia, misti ad apprensione e ansia, alla vista della madre che mi attendeva sulla banchina, dopo sette anni di dolorosa separazione. Vorrei poterti dire dei suoi caldi abbracci e baci, pari a quelli con i quali tu, lo zio Fortunato e lo zio Luigi mi avete lasciato quando sono partito da Palermo. In questa fredda serata il vostro affetto mi scalda ancora. Quanta gratitudine per la premura senza pari con la quale avete voluto accompagnarmi fino all’ultimo momento. Saliti con me sul veliero, vi siete assicurati che fossi bene alloggiato nella cabina, mentre lo zio Luigi, da buon ammiraglio di vascello, ha voluto raccomandarmi al capitano Reinier. Per quest’ultimo fatto, devo essere sincero, mi sono un po’ risentito, quasi non fossi ormai buono a badare a me stesso, ma ho visto anche in questo un gesto di attenzione e di premura, che mi ha fatto immenso piacere. Vi ho sempre davanti agli occhi, immobili sulla banchina, mentre la nave si allontanava. Eravate venuti per farmi sentire meno duro il distacco della partenza e invece le vostre lacrime mi ha lacerato il cuore d’un dolore acuto, che la lunga traversata lentamente ha tramutato in persistente nostalgia. Le mie lacrime hanno continuato a velare il futuro e a impedirmi di gustare la gioia del ritorno in patria.
Dicevo che vorrei renderti partecipe della stessa premura e dello stesso affetto da parte della mamma, appena mi ha visto arrivare. Ma non è così. Non c’era ad attendermi. Non c’era nessuno da Aix, neppure la zia, neppure la nonna, neppure un parente di Marsiglia. E pensare che hanno tanto insistito perché tornassi. Nessuno. Non c’era nessuno ad attendermi. Torno in patria e nessuno mi accoglie. Mi sento ancora più straniero e continuo a rimpiangere Palermo. O meglio, rimpiango voi, gli amici, i Cannizzaro. Mi sento stringere il cuore dalla solitudine e dall’angoscia.


Nessun commento:

Posta un commento